Letto per voi / Lara Cardella (“Volevo i pantaloni”), vive a Bergamo da 4 anni.  “Insegno al Pesenti, ma ogni anno ho il terrore di dover cambiare”

Letto per voi / Lara Cardella (“Volevo i pantaloni”), vive a Bergamo da 4 anni. “Insegno al Pesenti, ma ogni anno ho il terrore di dover cambiare”

Lara Cardella
Lara Cardella

Lara Cardella è salita alla ribalta della cronaca a soli 19 anni con il suo romanzo più famoso, «Volevo i pantaloni», dove ha descritto le vicende di una ragazza nella Sicilia maschilista di fine anni 80. Un libro che ha fatto il giro del mondo, ha venduto due milioni di copie ed è diventato anche un film. Lara, dopo varie vicissitudini, da quattro anni vive a Bergamo insieme al figlio Junior, 24 anni, e insegna all’Istituto Pesenti. A Bergamo ha detto di sentirsi più libera perché i bergamaschi sono riservati e non interferiscono mai troppo nel privato. Al giornalista bergamasco, Alessandro dell’Orto, conferma questo pensiero in una lunga intervista pubblicata da Libero Quotidiano che qui vi riproponiamo

di Alessandro dell’Orto (Libero Quotidiano)

Lara Cardella voleva che la sua Sicilia fosse meno maschilista. Voleva che ci fossero più biblioteche e consultori familiari. Voleva che le violenze sulle donne fossero denunciate e non nascoste. Voleva tutto ciò e a 19 anni l’ ha raccontato nel romanzo Volevo i pantaloni. Un libro che ha scosso l’ Italia di fine anni Ottanta ed è diventato un fenomeno letterario: traduzioni in dieci lingue e due milioni di copie vendute in tutto il mondo. Ma anche un libro che è diventato motivo di contrasti pesanti tra lei e Licata (Agrigento), città di origine. Ora Lara Cardella vive a Bergamo e insegna. E racconta la sua vita di battaglie e sofferenze, sogni e successi.

«Io fumo. Ne vuole?».

No grazie, niente sigarette. Solo sigari.

«Appunto, io fumo sigari».

Ah. Insolito per una donna.

«Sono abituata a certi sguardi».

Soprattutto in una città un po’ chiusa e bacchettona come Bergamo.

«Io invece trovo che i bergamaschi non siano bacchettoni né chiusi. Anzi. Sono più chiusa io di loro».

A proposito, Lara. Che ci fa qui?

«Insegno all’ istituto tecnico industriale “Pesenti”. È la mia famiglia. Ma ogni anno ho il terrore di dover cambiare».

Non è di ruolo?

«Per sostenere quel concorso infame ho pure spostato l’ intervento, ma…».

…Intervento?

«…ma sono stata svantaggiata: troppo poco tempo per rispondere per chi, come me, non è abituato a dattiloscrivere. E poi chiedono competenze di inglese».

Beh, però sulla scrittura sarà andata benissimo. Perché sorride?

«Mi hanno tolto mezzo punto per errori inesistenti, il che dà il senso di come hanno corretto le prove. Divertente però che reputino che non conosca l’ italiano. Forse perché ero Graziella Cardella e non Lara».

Graziella?

«Il mio vero primo nome. Ci gioco anche quando qualcuno pensa di avermi riconosciuta. «No, no, non sono quell’ odiosa della Lara Cardella».

Buona questa. Curiosità: è una prof severa?

«Vietato andare in bagno durante le lezioni e qualche volta nei voti scappa un “1”. Ma non dimentico mai che quasi tutti gli studenti sono extracomunitari, quindi con più difficoltà nella lingua. Amo i miei ragazzi».

E lei scrive ancora?

«Solo testi teatrali per la scuola. Qui facciamo molte iniziative interessanti, organizziamo spettacoli e manifestazioni per beneficenza. Ora stiamo raccogliendo oggetti personali di vip da mettere all’ asta per raccogliere soldi da dare ai bambini malati di cancro. Mattarella ci ha inviato una cravatta. Abbiamo scritto anche a Renzi e stiamo aspettando una risposta».

Basta libri?

«Non sono una venditrice, scrivo solo ciò che ho dentro. Se un editore mi dice di uccidere un personaggio o cambiare dei nomi per fare più copie lo mando affanculo. Meglio scrivere per me o per il teatro».

Lara, scusi la domanda. E risponda solo le va. Prima parlava di un intervento. Intendeva operazione chirurgica?

«Sì non sto benissimo».

Ne vuole parlare?

«Ho un cancro, a maggio mi hanno tolto una parte di polmone e delle costole: ora mi sto sottoponendo a radioterapia. Però hanno scoperto che ho pure un aneurisma al cervello e a dicembre mi dovrò operare di nuovo. Ma non ho paura, con la morte ho sempre convissuto».

In che senso, scusi?

«Da ragazzina, come tutti i deficienti che lo pensano, ero convinta che sarei morta giovane, intorno ai 30 anni. Ora sono già a 47, quindi sono molto oltre».

Il sigaro però…

«Dovessi stare attenta a tutto non uscirei nemmeno di casa. Vivo alla giornata e l’ unica preoccupazione è mio figlio Junior che ha 24 anni e vive con me. È per lui che non mi posso permettere di morire, ho il dovere di vivere per dargli un futuro».

La malattia l’ ha cambiata?

«Sono ancora più schietta, non ho tempo da perdere con tanti giri di parole. Il cancro mi ha fatto capire chi mi vuole veramente bene: i miei genitori e mia sorella mi sono stati vicini».

A proposito di famiglia, torniamo agli inizi. Lei nasce a Licata il 13 novembre 1969.

«Bambina silenziosissima e osservatrice, inizio a parlare molto tardi.

Ma, anziché con una semplice parolina come tutti i bambini, esordisco con una frase di senso compiuto».

Infanzia?

«Disastrosa, capisco cosa si provava nei lager».

Cioè?

«Alle elementari veniamo picchiati. Una suora, la più cattiva, utilizza un bastone con cui dà botte alla schiena e poi ti obbliga a dire “grazie”. Nasce in quelle occasioni il mio senso di colpa che mi accompagna da tutta la vita».

Perché?

«Provo piacere quando a essere percosso è un altro bambino, perché significa che la suora si stanca e non picchierà me».

Poi?

«L’ adolescenza a Licata è complicata. Vengo considerata una pazza o una puttana perché mi trucco, mangio il gelato e metto le minigonne. Nel frattempo leggo, leggo e leggo e grazie a Moravia scopro che ciò che lì è considerato normale – come usare violenza – altrove non lo è. Capisco che c’ è un altro mondo differente».

E lo denuncia nel romanzo Volevo i pantaloni, storia di un’ adolescente costretta alle restrizioni mentali e culturali della Sicilia di quegli anni. E che subisce le violenze dello zio. Quanto c’ è di autobiografico?

«In realtà racconto la storia di un’ amica che considerava normale essere violentata dal padre».

Come nasce l’ idea del romanzo?

«Il mio sogno a 19 anni è fare la giornalista, non la scrittrice. Non ho nessuna intenzione di pubblicare un libro, ma un giorno il mensile “Cento cose” della Mondadori indice un concorso per esordienti e per vincere una scommessa con un’ amica mi metto al lavoro. In venti notti nasce Volevo i pantaloni. E sa una cosa buffa?».

Dica.

«Nelle intenzioni era una romanzo ironico. Leggevo ogni capitolo a mia sorella e, se rideva, andavo avanti».

Il libro funziona e vince.

«Mi telefonano per comunicarmi l’ esito, ma non credono che sia io la vera autrice: troppo giovane».

È il boom: verrà tradotto in dieci lingue e venderà oltre due milioni di copie. Ma a Licata si arrabbiano.

«A Licata il libro non lo legge nessuno. Però quando vengo ospitata al “Costanzo Show” e racconto le cose che tra ragazzine ci ripetevamo tutti i giorni in piazza, scoppia il caos. Vengo accusata di mentire, di farlo per soldi. La stampa si interessa alla vicenda e un giornalista viene a controllare di persona: mentre passeggiamo nelle vie del centro la gente, a destra e sinistra, mi urla: “Puttana! Puttana!”. La vita diventa un inferno: gente sotto casa, scioperi per togliermi la cittadinanza licatese, amici che spariscono».

Nell’ 89 si sposa e va a Gela con Marco, il fidanzato storico.

«Il rapporto è particolare, di simbiosi assoluta. Di gelosia folle. Gli impedisco di guardare le donne anche in tv e lui mi impedisce di leggere. Vivo segregata in casa: quando esce mi chiude dentro a chiave».

Nel 1991nasce Junior.

«Stravoluto. Ma un anno dopo lascio mio marito».

Perché?

«Si droga, eroina. E un giorno fa cadere Junior. Così mi trovo con due grandi amori che si contrastano e non possono coesistere. Devo scegliere. E scelgo il figlio».

Si trasferisce a Roma.

«Marco viene a trovarci per vedere Junior, ma mi considera ancora una cosa sua anche se non siamo più insieme. Una volta cerca di violentarmi e così lo denuncio. Ora non abbiamo più rapporti».

Nel frattempo lei si gode la fama e conosce la bella vita. Da segregata a Licata a vip nella capitale.

«Anni meravigliosi. Sesso, incontri culturali, amicizie».

Partiamo dal sesso. Vero che ha avuto 100 uomini?

«Moltiplichi per tre. Un ragazzo diverso ogni giorno».

E perché non si è mai risposata?

«A me piacciono solo quelli delle altre: l’ importante è che abbiano una compagna».

Qualche incontro importante?

«Ho conosciuto Moravia, Giordano Bruno Guerri e Sgarbi, Berlusconi e la Bertè».

Ne scelga due.

«Un giorno sono con il mio ex marito e arriva Berlusconi. “Cribbio, ecco la nostra grande e bella scrittrice!”. E intanto mi guarda le gambe. Penso: ora mio marito si incazza. Invece niente. Capito? Di fronte al potere anche la gelosia frena».

Il secondo?

«Loredana Bertè mi ha salvato la vita. Un pomeriggio viene a trovarmi nel residence in cui vivo. Mi fa chiamare ma non rispondo. Si preoccupa e convince quelli della reception a buttar giù la porta. Ero in coma: cocktail di farmaci per un errore del medico».

Nel frattempo esce il film Volevo i pantaloni. «Uno schifo, pessima scelta della protagonista».

Poi lei pubblica altri romanzi e diventa pure opinionista di calcio.

«Al “Processo di Biscardi”. Ma dico sempre ciò che penso e questo dà fastidio a molti dirigenti. Così dopo un po’ vengo lasciata a casa. C’ è una causa ancora in corso».

Pian piano sparisce dai riflettori.

«Mi occupo della crescita di mio figlio e nel 2004 mi laureo. E inizio a insegnare, prima in Sicilia e da quattro anni qui a Bergamo».

Ultime domande veloci

1) Canzone preferita?

«”One” degli U2».

2) Film preferito?

«”9 settimane e mezzo”. Mickey Rourke è sempre stato il mio sogno, ma che delusione quando l’ ho incontrato a Roma: era tutto rifatto».

3) Libro preferito?

«Qualsiasi di Umberto Eco».

4) Ultima volta che ha pianto?

«Piango solo di felicità: quando a scuola abbiamo ricevuto la cravatta di Mattarella».

Ultimissima: Lara a 19 anni voleva i pantaloni. Ora cosa vuole?

«Che mio figlio sia felice»