Certe notizie sono come il maiale: non si butta via niente. Le notizie che riguardano la figura di Benito Mussolini, poi, sono come il maiale al cubo: possono essere insaccate, affumicate, conservate per anni ed anni, e, quando le servi in tavola, fanno sempre la loro – è il caso di dirlo – porca figura.
Mussolini, a settant’anni dalla sua morte, è ancora uno scoop: ogni tre per due, salta fuori qualcosa che riattizza l’interesse intorno al Duce. Una volta è la vera storia della sua morte, un’altra un reportage sull’oro di Dongo, un’altra ancora un epistolario che non vuole saltare fuori: in un modo o nell’altro, Mussolini fa ancora notizia. E vende. Qualunque direttore di giornale sa perfettamente che una copia in cui si parli di lui, in cui si offrano gadget del Ventennio, speciali sul fascismo, volumetti da due soldi su qualche carattere ducesco, vende cento volte più di una copia qualunque. E mi sento di dire che anche tutta questa polemica, all’apparenza vieta e fuori tempo massimo, sulla revoca della cittadinanza onoraria concessa dal comune di Bergamo a Mussolini, nel 1924, appartenga al medesimo filone degli speciali sul fascismo e degli inserti sul Duce: è una questione di vendite, in un certo senso.
Tant’è che, ultimamente, tutti quanti, e specialmente quelli che, altrimenti, non si filerebbe nessuno e che nessuno sa chi diavolo siano, cercano di appendere il cappello all’attaccapanni della revoca. Lo dico bello chiaro, a scanso di equivoci: per me, la cittadinanza onoraria a Mussolini potreste toglierla anche domani: in primo luogo, perché delle benemerenze in genere mi frega men che zero, in secondo luogo perché Mussolini mi pare tutto meno che un benemerente e, in terzo luogo, perché le onorificenze concesse dal Comune di Bergamo mi sembrano più o meno tutte quante prodotto di piaggerie e consorterie, non soltanto quella assegnata al Duce. Sicché, valgono quanto il due di coppe con la briscola a denari, a chiunque vengano appioppate: parenti, amici e benefattori.
Ma qui, in questo accanimento su di un tema che, evidentemente, alla stragrande maggioranza dei cittadini importa pochissimo, ci vedo qualcosa di diverso da una banale diatriba, di quelle che ci fanno sbadigliare da decenni, tra destra e sinistra, buoni e cattivi, ricciolini e crapepelate: mi pare di riconoscere i segnali di una precisa campagna di marketing. Marketing politico, ma pur sempre marketing. Rivediamo dall’inizio tutta la faccenda.
L’antefatto è che i temi della scorsa maturità hanno dimostrato che agli studenti italiani la Resistenza, coi suoi annessi e connessi, a furia di venir bombardati da celebrazioni e discorsi, è decisamente venuta in uggia. Ahia, devono essersi detti i professionisti della memoria partigiana: qui rischiamo di restare disoccupati! Di questo passo, a qualcuno di questi signori, che hanno costruito una salda fortuna ed una carriera sulla propria vocazione antifascista, avrebbe potuto toccare di andare a lavorare: e magari dover perfino esibire il proprio curriculum, anziché basarsi sulla fiducia. Ed ecco scattare l’operazione di marketing: Mussolini, orrore, ha ancora la cittadinanza onoraria! Quale miglior occasione per dimostrare al mondo la propria vitalità e la propria indiscussa competenza negli affari in cui storia e morale vanno a braccetto? Così, è partita la polemica, opportunamente amplificata dalla stampa locale, che, su cose come questa, va a nozze, sempre per ragioni di numeri: fare degli speciali sul Duce per aumentare la tiratura sarebbe politicamente scorretto, ma, se qualcuno ti offre la notizia su di un vassoio d’argento…ci siamo capiti.
Così, mentre i Bergamaschi se ne fregavano serenamente di tutta la questione, la polemica è rimbalzata sui muri della città: hanno detto la loro tutti i malati di protagonismo del comprensorio, ci si sono ficcati tutti i padrini della storiografia locale, hanno abbracciato la santa causa politichini di terza e quarta linea, sperando, probabilmente, di venir promossi in cavalleria. Questa, se ve la devo dire piatta, è la mia impressione sull’affaire Mussolini: una banale, tristissima, storia di provincia. Un siparietto tra gente culturalmente e politicamente sorpassata, che non vuole accettare la realtà del sorpasso e che cerca, in ogni modo, di restare sotto il riflettore, di tenere il palcoscenico un minuto di più. Una questione di caratteri e non di revisione della storia, insomma. E, allora, caro Gori, compi un atto di generosità verso questi protagonisti delle ribalte orobiche del tempo che fu: è un po’ come la legge Bacchelli, che soccorre gli artisti in disarmo. Revoca questa benedetta cittadinanza: sarà un’opera di bene. Per questi uomini che non sanno accettare la propria giubilazione politica e, forse, neppure l’incalzare del dato anagrafico; ma, soprattutto, per noi, gente normale, che non sa che farsene di riflettori e di ribalte e che, soprattutto, vorrebbe occuparsi dei cittadini vivi, non dei dittatori morti.