Il ristorante a casa? «Un’attività economica soggetta a regole»

Il ristorante a casa? «Un’attività economica soggetta a regole»

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Aprire un ristorante nella propria abitazione è una tendenza che sta prendendo sempre più piede in Italia. Il cosiddetto home restaurant, che sulla scorta di esperienze già diffuse all’estero, dà la possibilità di cenare a casa di appassionati di cucina e conoscere persone nuove stando attorno a una tavola.

Un fenomeno che, per quanto social e informale, è stato riconosciuto come un’attività economica a tutti gli effetti e, dunque, soggetta a requisiti professionali, igienico sanitari e a una serie di norme in materia di sicurezza, urbanistica ed edilizia, a cominciare dalla Scia da presentare al comune di residenza.

A stabilirlo è una recente risoluzione del ministero dello Sviluppo Economico che fa chiarezza su come possano configurarsi questo tipo di iniziative, che hanno come principale canale di promozione e contatto Internet e sono in rapida diffusione (se ne stima una media di 200-300 nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Venezia). «Anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto, anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela» si legge nella risoluzione (n. 50481 del 10 aprile 2015) del Mise (Direzione generale per il Mercato e la concorrenza) che risponde all’istanza di una Camera di Commercio.

«Infatti – prosegue la nota -, la fornitura di tali prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo e, quindi, anche con l’innovativa modalità, l’attività si esplica quale attività economica in senso proprio, di conseguenza non può considerarsi un’attività libera e pertanto non assoggettabile ad alcuna previsione normativa tra quelle applicabili ai soggetti che esercitano un’attività di somministrazione di alimenti e bevande».

La Direzione ricorda di aver già classificato (nota n. 98416 del 12-6-2013) come un’attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande «quella effettuata da un soggetto che, proprietario di una villa, intendeva preparare cibi e bevande nella propria cucina fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte di un committente e quindi solo per gli eventuali invitati». Pertanto la direzione ritiene che, previo possesso dei requisiti di onorabilità nonché professionali (di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i.), gli home restaurant sono tenuti a presentare la Scia o a richiedere l’autorizzazione, nel caso si tratti di attività svolte in zone tutelate.

«Ben venga l’innovazione che rispetta le regole!» è stato il commento di Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe e vicepresidente Confcommercio. «La risoluzione del Ministero – ha detto – ripristina, senza spazio per dubbi e interpretazioni, le regole per una competizione leale e corretta: a parità di attività ci vuole parità di regole, di tributi e di obblighi. Non è, infatti, ammissibile, prima di tutto per garanzia e sicurezza dei cittadini, che ci possano essere modalità diverse di fare ristorazione: da un lato quelle soggette a norme e prescrizioni rigorose a tutela della qualità e della salute; dall’altro quelle senza vincoli, senza controlli, senza tasse, senza sicurezze igieniche. Il settore della ristorazione è sempre più attento e aperto all’innovazione e alla sperimentazione di nuove formule, come dimostrano le migliaia di imprese che nel nostro Paese si sono conquistate la fiducia e l’apprezzamento dei clienti. Ben vengano quindi nuove idee e nuovi approcci, purché siano sostenute da un corretto spirito imprenditoriale, da trasparenza e da lealtà verso i consumatori e verso lo Stato».