Il nuovo pericolo nel campo minato delle banche

Il nuovo pericolo nel campo minato delle banche

image_pdfEsporta in PDFimage_printStampa

MontepaschiBanche, avanti la prossima. Che a questo punto dovrebbe essere Veneto Banca. Sono già stati superati cinque ostacoli (i quattro istituti della risoluzione e Popolare Vicenza) nel campo minato che il sistema bancario sta cercando di disinnescare, con il sostegno del governo, ma la strada è ancora lunga e soprattutto il fiato inizia a farsi sentire. Con tutta la buon volontà legata anche all’interesse della propria sopravvivenza, sia del sistema creditizio che di quello economico e di conseguenza di quello politico, l’impresa è ciclopica: si tratta di spianare, o almeno di ridimensionare, senza che frani tutto, una montagna di prestiti di difficile, se non impossibile, restituzione cresciuta con la crisi, ma allo stesso tempo lasciata lievitare anche per mancati interventi precedenti. Inutile comunque recriminare, a questo punto: il bubbone c’è e bisogna sgonfiarlo evitando che esploda.

Le banche hanno tutto l’interesse per farlo perché il tracollo di un istituto, lo insegna la storia non solo italiana, ha effetti a catena che travolgono tutto il sistema. Così, con uno sforzo congiunto diretto, le banche sono riuscite in passato a salvare il Banco Ambrosiano (diventato poi la base di uno dei due big nazionali, Intesa Sanpaolo) e con uno indiretto, attraverso il Fondo interbancario,  a propiziare soluzioni per istituti minori, come Tercas e Caripe. Operazioni, queste ultime che continuano a fare le Bcc con il loro Fondo di categoria. Ma Salvatore Maccarone, il presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, l’istituto che dovrebbe garantire i depositanti sotto i 100 mila euro, ha ammesso recentemente di avere le casse vuote anche per il contributo, a rigore fuori competenza, al rimborso degli obbligazionisti delle quattro banche salvate. Questo perché, come capita spesso in Italia, buone iniziative rovinano in maniera distorta.

Aggiungendo che in questo momento nessun istituto è disposto a impegnare il proprio patrimonio in salvataggi dei quali non si riesce a capire a priori il costo, le risorse per gli interventi con gli strumenti utilizzati finora ormai scarseggiano, drenate dall’intervento autunnale, per quelli che in fondo erano ostacoli da primo allenamento. E già si è rischiata la guerra civile per evitare la frana di quattro banche che si possono definire al massimo medie come Banca Marche, Popolare Etruria, Carichieti e Cariferrara. Con lungimirante intervento promosso dal governo, seppure con appoggio essenzialmente esterno per evitare aiuti di Stato, è nato comunque il fondo Atlante: sessantasette istituzioni, quasi tutti istituti di credito, hanno  dato vita a uno strumento dotato di 4,3 miliardi per intervenire in salvataggi e nell’acquisto di “Non performing loans”, i prestiti non performanti, con l’obiettivo di assicurare un rendimento del 6% attraverso queste operazioni. Un terzo delle risorse però sono già state consumate per rilevare la Banca Popolare di Vicenza, che nessuno voleva, dato che l’aumento di capitale da 1,5 miliardi è andato praticamente deserto. Adesso non si può escludere che un altro miliardo possa essere impiegato in un’altra ricapitalizzazione difficile, quella di Veneto Banca.  Se così fosse, il Fondo Atlante si troverebbe ad avere il controllo di due istituti che per anni si erano corteggiati senza riuscire però da soli a trovare un accordo. Si può ipotizzare in ogni caso che anche buona parte delle residue risorse di Atlante debbano essere poi utilizzate per il rilancio di quello che si presenta come un polo bancario potenzialmente di grande interesse.

In questo caso il Fondo Atlante avrà avuto un ruolo meritorio per il sistema credito, disinnescando la quinta mina, ma lascia ancora aperto il problema dei crediti in sofferenza, che era quello di partenza.  E apre a quella che si prospetta come la prossima (sesta) mina. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, a marzo le sofferenze lorde bancarie erano pari a 196,9 miliardi, con una crescita del 3,9% rispetto ai 189,5 miliardi di un anno prima (ma se si tiene conto della cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti o cancellati, il tasso di crescita sarebbe del 13,6%). A fine 2015 il Monte dei Paschi aveva in portafoglio 11,8 miliardi di sofferenze garantite da immobili, 6,5 miliardi con garanzie personali e 8,3 miliardi di sofferenze unsecured. Al netto delle rettifiche già effettuate, le sofferenze sono in bilancio per 9,7 miliardi. Il doppio della dotazione di partenza del Fondo Atlante. Una cifra enorme: ma se si vogliono considerare tutti i crediti deteriorati lordi (non solo quelli in sofferenza) del Montepaschi si arriva a 47 miliardi. Più di dieci volte della dotazione di Fondo Atlante, ottima iniziativa e che senza la quale ora ci troveremmo mezzo Veneto alla presa con il bail-in. Ma purtroppo ancora insufficiente.

 

 

 

image_pdfEsporta in PDFimage_printStampa