IL COMMENTO / Occupazione ai livelli pre-crisi, i “lati oscuri” di una buona notizia

IL COMMENTO / Occupazione ai livelli pre-crisi, i “lati oscuri” di una buona notizia

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colloquio-lavoro

di Oscar Fusini*

La notizia rimbalzata sui media qualche giorno fa relativa al recupero dell’occupazione in Italia non ci ha affatto rinfrancato. I giornali hanno pubblicato i numeri diffusi dall’Inps secondo i quali il mercato del lavoro in Italia ha pressoché recuperato i posti (ne mancano solo 230mila) persi nella doppia crisi 2008-2012 ed ha raggiunto il massimo storico di lavoratori in attività da aprile 2008. La disoccupazione, sempre secondo le stime ufficiali, è calata sotto i 2,9 milioni di unità, valore più basso da dicembre 2012.

Se la notizia è positiva, dal nostro osservatorio la situazione non è però così rosea.

Senza essere pessimisti ad ogni costo, siamo preoccupati per la graduale ma continua riduzione dei lavoratori indipendenti, che in Italia sono passati, dal 2008 ad oggi, dal 35 al 31%.

C’è quindi, e prosegue, il ridimensionamento del mondo dell’impresa, con calo di unità, volume d’affari e, insieme, del numero delle persone, titolari e collaboratori, che lavorano nell’impresa stessa.

Per qualcuno questa concentrazione potrebbe rappresentare una risposta al problema del nanismo delle imprese italiane, per noi il dato rappresenta soprattutto il ripiegamento di un modello economico e sociale che ha garantito crescita e prosperità nel nostro paese. Quel modello ha sostenuto l’imprenditorialità diffusa e la classe media con il suo innalzamento della qualità della vita. E l’elezione americana è lì a confermare quanto la frattura e l’impoverimento della classe media possa determinare esiti inaspettati anche nella politica.

L’impoverimento non è solo quantitativo. Se il lavoro era già pesante per il piccolo imprenditore ieri, oggi è addirittura estenuante perché, a fronte di un ridimensionamento economico e di status, non è corrisposto un effettivo aiuto nella diminuzione degli adempimenti e della burocrazia. Difficile pensare che la spinta al lavoro in proprio come ricerca di uno status e di maggiore guadagno possa mantenersi anche nella nostra provincia ai livelli degli anni del boom economico. I numeri tengono in forza di un turnover di nuovi imprenditori che aprono e chiudono alla ricerca di uno sbocco occupazionale o come risposta alla precarietà del posto di lavoro.

Anche per i lavoratori dipendenti la situazione pensiamo non sia affatto migliorata in questi anni. Crescita inconsistente se non riduzione, mancanza di prospettiva delle imprese unitamente a obiettivi più complessi e budget ridotti hanno imposto impegno più snervante e remunerazioni più contenute per i lavoratori dipendenti. D’altronde sembra quantomeno difficile che un imprenditore che perde o guadagna molto meno possa pagare di più i suoi dipendenti.

Senza una crescita effettiva, di almeno il 2-3% annuo, difficilmente potremo invertire una rotta che offre poche prospettive ai titolari di impresa ed anche ai loro dipendenti. Occorre snellire, sburocratizzare e in generale offrire prospettive di lungo termine e di largo respiro agli imprenditori.

La partita si giocherà sui giovani, la formazione e il loro inserimento nel mondo del lavoro.

Il sistema educativo deve intensificare la crescita delle competenze e i ponti tra scuola e impresa. Il Job’s Act ha dato un segnale di discontinuità rispetto al passato nel rompere il modello dei compartimenti stagni formazione/lavoro/pensione verso un processo più liquido che immette la formazione nell’intero percorso lavorativo della persona. Segnale di cambiamento che deve tradursi in leggi, incentivi, sgravi per non restare nelle intenzioni del legislatore.

Le istituzioni e le scuole devono compiere i passi necessari per rendere realmente appetibile l’assunzione dei giovani. Infine il cambio culturale è anche del mondo dell’impresa che, al di là degli incentivi, deve saper rileggere i propri modelli di alternanza e di inserimento lavorativo che non possono essere interpretati in una logica solo conservativa ma di cambiamento e miglioramento continuo.

Insomma, numeri in crescita a parte, c’è ancora molto, ma molto, da fare.

*direttore Ascom Bergamo Confcommercio