Adesso che lo dicono anche i numeri non ci sentiamo più confortati. Nella nostra Provincia aumenta il tasso di disoccupazione e restano scoperti i tre grandi problemi del lavoro: la disoccupazione sebbene resti tra i più bassi in Lombardia, secondo i dati CGIL di base Istat, è salita dal 4,23% (2017) al 4,86% (2018), la disoccupazione giovanile sale dal 14,23% al 16,2% (2018) ed infine l’atavico problema del tasso di occupazione femminile al 54,78% che ci vede ultimi in Lombardia e al 57° posto in Italia.
Questi elementi unitamente ad altre rivendicazioni del sindacato sulla precarietà come l’alta percentuale dei contratti a termine (51,6% delle assunzioni).
Le cause sono presto trovate: il decreto Dignità, come avevamo anticipato, sta colpendo il mercato del lavoro in quei settori che ancora oggi stanno crescendo come il turismo e la ristorazione. Negli altri, quello manifatturiero, il freno della produzione e le prospettive sull’export stanno facendo il resto.
Il problema non è solo quantitativo. L’attuale mercato del lavoro, così come è disegnato dai principali osservatori, evidenzia alcuni paradossi. Da un lato le imprese faticano a trovare figure appropriate mentre la disoccupazione sale. Dall’altro mentre aumenta il numero degli occupati contestualmente si riducono il numero di ore di lavoro rispetto al periodo pre-crisi. In buona sostanza mentre aumentano i posti, crollano la quantità e la qualità del lavoro e triplicano le fughe all’estero di giovani talenti.
Diceva a fine febbraio Roberto Monducci, responsabile statistiche di Istat, a La Repubblica “I giovani sono i più penalizzati dalla crisi: in presenza di ampie sacche di sottoutilizzazione e non utilizzazione del lavoro, i giovani sovraistruiti si contrappongono agli adulti sottoistruiti, le cui competenze non sono spesso adeguate all’evoluzione delle tecnologie e delle competenze”. È un’osservazione giusta e che sottoscrivo del tutto, in quanto è ciò che accade in molte nostre realtà lavorative.
Da qui nasce il mio timore che venga minato il sentiero che ha sempre contraddistinto la crescita professionale, basata su: un ottimo percorso scolastico, entry level con successivi passaggi a junior e a senior; un percorso basato su competenza e esperienza che costruisce la struttura portante del management dell’impresa italiana, che ha sempre lavorato sulle motivazioni delle persone, sul loro impegno al fine di raggiungere buoni risultati e l’affermazione professionale e sociale. Oggi purtroppo questa struttura rischia di crollare. Se le nuove generazioni non hanno futuro è il sistema Paese ad essere a rischio. I giovani non hanno la colpa per quello che sta avvenendo, anche perché le chiavi dell’ “ascensore sociale” non è in mano loro.
La politica deve intervenire su questo fronte evitando l’arretramento del nostro Paese, anche in quello delle province come la nostra che hanno sempre costituito un bacino fondamentale per la produzione e il lavoro.