Fusini (Ascom): “Così siamo riusciti a limitare il pesante impatto della Direttiva”

image_pdfimage_print
Oscar Fusini
Oscar Fusini

 

di Oscar Fusini*

In Italia, spiace constatarlo, i principi sono troppo spesso messi in discussione. Dai cittadini, ma anche dai loro rappresentanti politici. Prendiamo la Bolkestein. Parlare in questi giorni dell’ormai arcinota Direttiva, significa evocare un’epocale scossone che ha terremotato il sistema e i principi delle professioni, ma anche additare una delle cause che hanno portato via via allo sfilacciamento dell’Ue. La sua introduzione, ce lo ricordiamo tutti, fu un parto più che difficile. A sostenerla, a suo tempo, c’era il Regno Unito e i Paesi freschi membri dell’Ue, a contestarla tutti gli altri. Posizioni in contrasto, che hanno generato una forte disaffezione dei cittadini europei verso le istituzioni comunitarie. Non a caso, oggi la Bolkestein è considerata una delle ragioni del fallimento dei referendum francese e olandese sulla Costituzione europea. La Direttiva, che porta il nome impronunciabile dell’omonimo politico olandese, all’epoca Commissario europeo, fin dalla sua introduzione ha impattato pesantemente sui nostri principi. Perché un conto è affermare che un cittadino comunitario può esercitare una professione o erogare un servizio senza discriminazioni rispetto ad un residente e secondo le norme del suo Paese di origine, un altro asserire che quel diritto giustifica la destrutturazione completa del sistema di requisiti e autorizzazioni per l’esercizio. Che è poi quel che è avvenuto in Italia con la fine delle autorizzazioni o delle licenze. In altre parole, quelli che per una parte erano lacci e lacciuoli – o addirittura barriere all’ingresso nel mercato – per l’altra rappresentavano un sistema di regolazione e di tutela. Evidente, quindi, lo scontro sui principi: la prevalenza del singolo a intraprendere (e su questo siamo forse tutti d’accordo) rispetto al diritto di avere un sistema di regole che favorisca programmazione, tutela del cliente consumatore ecc. ecc.

Diciamolo, in molti casi si sarebbe potuto trovare l’equilibrio. Invece, abbiamo spazzato via cinquant’anni di storia di commercio e servizi. Anziché di liberismo o liberalizzazione, abbiamo parlato di deregulation o, addirittura, di destrutturazione dei comparti, ben oltre la portate della Direttiva. Oggi, alla luce dello shock Brexit, possiamo ben comprendere come parte del rancore verso l’Unione Europea sia attribuibile – è vero, spesso in modo strumentale e artificioso – anche alla stessa partecipazione al progetto europeo e alle scelte impopolari spesso giustificate in nome del “Ce lo chiede l’Europa”. In Italia, l’impatto della Bolkestein sui nostri settori è stato sin dall’inizio negativo. Perché la Direttiva è stata interpretata in maniera distorta, recepita male e accettata peggio. L’effetto sarebbe stato ancor più devastante se non ci fosse stato il lavoro costante e incisivo delle Associazioni di categoria. E’ una verità inoppugnabile. Penso, per esempio, agli agenti immobiliari, che ne hanno risentito in modo pesante ed hanno assistito alla fine del ruolo agenti. Senza l’intervento delle Associazioni, che hanno difeso l’obbligo dei requisiti per l’esercizio, ci saremmo trovati come la Spagna, dove le truffe ai danni dei clienti si sono moltiplicate a seguito delle liberalizzazione dell’attività di mediazione. Poco, purtroppo, è stato ottenuto nell’ambito della somministrazione, dove è stato difeso il requisito professionale pur nella liberalizzazione totale delle autorizzazioni che – dopo le “lenzuolate” di Bersani sulle “distanze minime” – ha messo di fatto fine alla programmazione nell’insediamento dei pubblici esercizi. Il tutto si è tradotto, nel giro di pochi anni, in un incremento verticale del numero di esercizi in un mercato fortemente indebolito.

Il problema maggiore, anche se in Bergamasca poco ci tange, resta quello della riassegnazione delle concessioni balneari. In questo caso, la rigidità delle posizioni, l’assenza di colloqui e di riconoscimenti reciproci hanno creato un problema che sembra insormontabile tra Stato, Unione Europea, Regioni, con il rischio che a decidere sulla sua futura applicazione sarà chiamata la Corte Europea di Giustizia. Il risultato migliore dall’applicazione della Direttiva, unitamente all’affermazione dei nostri principi, ci giunge invece dal versante dei posteggi su area pubblica. Non è casuale. In questo ambito, le associazioni Fiva e Anva stanno giocando egregiamente la partita, congiuntamente ed in piena sintonia. Con un lavoro instancabile, prima in Conferenza Stato-Regioni e poi sulle singole Regioni, hanno affermato i principi dell’assegnazione attraverso il bando, il diritto di concorrenza ma anche il criterio della professionalità, promuovendo l’anzianità di impresa e l’anzianità di posteggio come valori da riconoscere, al pari della regolarità contributiva e della compatibilità ambientale.

Il sistema, quindi, premia chi crede nella propria impresa, chi s’impegna e si sacrifica e tutela la concorrenza leale. La stabilità delle regole resta fondamentale per investire, ammodernare, assumere e sostenere la qualità nei servizi. Regione Lombardia, prima fra tante, ha già emanato le disposizioni necessarie per rendere operativi i principi. Quanto fatto oggi costituisce un esempio virtuoso. Basti pensare che l’anno scorso la Conferenza unificata Stato-Regione ha esteso l’applicabilità dell’ intesa del 5 luglio 2012, raggiunta per gli ambulanti, anche alle edicole che operano su suolo pubblico. Il lavoro, tuttavia, non è ancora terminato. Inizia infatti la partita, altrettanto difficile, dell’applicazione della legge che vedrà da un lato gli enti locali chiamati a redigere e amministrare i bandi e, dall’altro, le Associazioni di categoria pronte ad assistere le imprese nella partecipazione. Senza dimenticare il lavoro necessario per il superamento di alcune rigidità della legge e il monitoraggio della sua applicazione.

*direttore di Ascom Confcommercio Bergamo