nella foto: Marco Fortis
Sa di essere una voce fuori dal coro, ma, a maggior ragione, ribadisce le sue ragioni. Marco Fortis, economista, vice-presidente della Fondazione Edison, docente alla Cattolica di Milano, collaboratore de il Sole 24ore, non si stanca di dimostrare le sue tesi, nella speranza che in Italia e soprattutto in Europa si faccia un rapido dietrofront rispetto a quasi tutte le politiche di austerità adottate. Ne ha parlato anche a Bergamo, davanti agli imprenditori di Confindustria, dove ha snocciolato dati su dati per dimostrare che da un lato i conti del paese non sono poi così male, e dall’altro che la nostra manifattura, pur fiaccata da politiche incongruenti, è una forza mondiale di tutto rispetto, competitiva ed evoluta e non mostra i segni del declino, ma anzi di una positiva evoluzione. Le imprese, secondo Fortis, fanno abbondantemente il loro dovere, visto che nonostante la nostra presunta «specializzazione sbagliata», che la Commissione Europea continua a rimproverarci, l’Italia è uno dei soli 5 paesi del G20 (con Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus commerciale strutturale con l’estero per i manufatti. La manifattura italiana è la seconda d’Europa e la quinta al mondo per valore aggiunto.
Sempre secondo l’indice del commercio mondiale l’Italia è prima al mondo per competitività in tre settori: tessile, abbigliamento, pelli-calzature; ed è seconda dopo la Germania in altri tre settori: meccanica non elettronica, manufatti di base (cioè metalli, ceramiche, ecc.) e altri prodotti manufatti (cioè occhialeria, gioielleria, articoli in materie plastiche). L’Italia è inoltre sesta anche nei prodotti alimentari trasformati.
Il made in Italy dunque, non è più solo cibo, moda e mobili ma anche e soprattutto meccanica. In questo settore, che è sorretto da un’importante filiera metallurgica e dei prodotti in metallo, il nostro surplus con l’estero è il terzo al mondo dopo quelli di Giappone e Germania.
E ancora, secondo l’Indice Fortis-Corradini elaborato dalla Fondazione Edison, su circa 5.000 prodotti, l’Italia è risultata prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero in quasi 1.000 prodotti. Tra i più importanti primi attivi con l’estero detenuti dall’Italia nel commercio mondiale vi sono quelli per: calzature in pelle, macchine per imballaggio, attrezzature frigorifere per supermercati, pasta, occhiali, elicotteri, yacht di lusso, pelli conciate, tubi in acciaio, pompe per liquidi, pomodori lavorati, mele. Tra i secondi posti vi sono: vini e spumanti, rubinetti e valvole, mobili, lavori in acciaio e alluminio, bulloneria, navi da crociera, forni e cucine, uva.
Se l’industria italiana va indietro, dice Fortis non è perché non sia competitiva o esporti poco, infatti il fatturato estero italiano corre. Se l’industria italiana è in crisi è perché l’eccessiva austerità ha spento la domanda interna di consumo e di investimento.
“Le imprese fanno ricerca – ha spiegato Marco Fortis durante l’incontro stampa che ha preceduto la Serata per l’imprenditore – e innovano nonostante tutte le difficoltà del paese e la loro ridotta dimensione. Ma le politiche europee ed italiane fanno disastri”.
Così mentre gli Stati Uniti e il Giappone crescono, pur con alti e bassi, la politica del rigore senza sviluppo sta portando l’Europa, ma soprattutto l’Italia verso una grande depressione ed un autentico disastro occupazionale, che colpisce soprattutto i giovani.
“La UE – ha accusato Fortis – ha confuso la crisi di credibilità politica dell’Italia con una crisi di «fondamentali» economici ed ha chiesto al nostro paese di applicare una cura fiscale «greca» assolutamente sbagliata nel nostro caso perché il debito pubblico italiano non era, né è oggi, così pericoloso da richiedere una politica fiscale restrittiva ed aggressiva come quella che è stata applicata in questi ultimi due anni e perché non si può chiedere ad un importante paese produttore come l’Italia di mortificare per un lungo tempo la propria domanda interna e di investimento, perché si mortifica così la stessa produzione e si distrugge capacità produttiva, innescando una pericolosa crescita della disoccupazione”.
Secondo Fortis non è vero che il debito pubblico italiano è il secondo più alto d’Europa dopo quello della Grecia. O, meglio, lo è solo in rapporto al PIL, un indicatore che ormai si sta rivelando sempre più inadatto.
“Il nuovo ministro Padoan – ha insistito – dovrebbe spiegare a Bruxelles che l’Italia è da oltre 20 anni in avanzo primario, eslcusi gli interessi, quasi sempre oltre al 2% del Pil, un record assoluto per l’Occidente avanzato, e che dal 2008 il debito pubblico è quello che è aumentato percentualmente di meno, tranne che in Norvegia e Svezia. E ancora: nel quadriennio 2012-2015 il rapporto deficit/PIl è stato sempre sotto il 3% e nel quadriennio 2012-2015 l’Italia sarà il paese UE non aiutato con il più alto avanzo statale primario in rapporto al Pil”.
La stessa Commissione Europea riconosce che nel medio-lungo termine, grazie soprattutto alle riforme pensionistiche l’Italia, presenta il più basso profilo di rischio finanziario del debito pubblico tra tutti i paesi UE.
Ma tutto ciò è vanificato dagli spropositati interessi. Di qui la proposta: “L’Unione Europea dovrebbe introdurre misure compensative, come eurobond, per sterilizzare gli interessi eccessivi di quei Paesi che si dimostrano in grado di mantenere il surplus statale primario sopra il 2% del Pil”. Togliendo questa zavorra il paese sperimenterebbe un rilancio che lo farebbe uscire definitivamente dalle secche.
Per Fortis è però essenziale interrompere l’autodenigrazione nazionale, basata anche su ignoranza e il diffuso potere dei burocrati, sia a livello nazionale che europeo.
“Il nuovo presidente del Consiglio Renzi – ha concluso – ha fatto tutte enunciazioni positive. Servono subito alcune mosse concrete, è importante fare subito qualcosa che ci permetta di presentarci all’Europa sotto una nuova veste, per reclamare una revisione di alcune delle misure prese. Il semestre europeo sarà sicuramente un’occasione importante: se riuscissimo a intervenire sul cuneo fiscale per quella cifra di cui si parla, 10 miliardi, se si potessero attivare le garanzie della Cassa depositi e prestiti, se si potessero fare alcuni tagli di spese improduttive di 7-8 miliardi, ci presenteremmo più forti. Con un prossimo governo stabile per 5 anni avremmo tutto il tempo per riprenderci”.