Dopo la cucina, è la pasticceria la nuova passione e il nuovo mito professionale. Ulteriore declinazione del desiderio di esplorare il mondo del gusto che caratterizza questi anni, ha trovato una sponda potente nel moltiplicarsi di trasmissioni tv, fino ai talent show e ai programmi sulle maggiori reti nazionali. Un boom mediatico e con esso di appassionati e di aspiranti pasticcieri, conquistati da pan di Spagna, ganache, cremosi, croccanti e dalla sottile alchimia che permette di realizzare un dolce perfetto. Un fenomeno che Leonardo Di Carlo conosce bene. Campione del mondo di pasticceria nel 2004, ha scelto di fare il consulente e formatore ed è stato, insieme a Luigi Biasetto e Roberto Rinaldini, giudice del talent di Raidue “Il più grande pasticcere”. sarà docente di due corsi per professionisti all’Accademia del Gusto di Osio Sotto lunedì 30 marzo (“Ristorazione: il carrello dei dolci” – 8 ore) e martedì 31 (“La pasticceria salata” – 8 ore).
Ora tutti vogliono fare il pasticciere, la forza della tv?
«Senza dubbio, anche se si deve ricordare che dietro l’immagine serve sempre la sostanza. È proprio con questo obiettivo che io e i miei colleghi abbiamo partecipato alla trasmissione: far vedere cosa c’è dietro la giacca del pasticciere – ossia preparazione, competenza, sacrificio, confronto – e per valorizzare il più possibile la pasticceria italiana».
A che punto è la nostra pasticceria?
«Io credo molto nella nostra tradizione pasticcera e la mia missione è proprio quella di diffonderla in tutto il mondo. Abbiamo degli ottimi prodotti, delle ottime materie prime, nulla da invidiare al resto del mondo. Si tratterebbe piuttosto di trovare quella competenza e sicurezza necessarie a promuovere le nostre specialità. Anche lo Stato dovrebbe essere più presente, aiutare le pasticcerie, non chiedere solo, ma dare degli incentivi, promuovere l’aggiornamento, perché il pasticcere è un artista, un artigiano, ma anche un imprenditore».
Quali possono essere i prodotti vincenti?
«Penso ai mille modi in cui si può realizzare un tiramisù o una panna cotta e poi i lievitati classici, panettone, colomba, pandoro, i dolci della domenica, anche in formati più piccoli. Ce ne sono di possibilità…».
E il cake design dove lo mettiamo?
«Anche questo fenomeno è stato soprattutto importato in Italia, grazie alla tv! Personalmente lo considero frutto di una esteriorità che in generale abbaglia ma non conquista. Ovvero potrebbe anche essere accostato in pasticceria, ma il pasticcere che adotta il cake design nel suo laboratorio, se riesce a farlo bene, deve anche far pagare il dolce finito al prezzo giusto: tenendo presente che questo tipo di decorazione porta via molto tempo ed il tempo è un costo per l’impresa artigiana, possiamo decidere di far pagare al cliente un prezzo elevato, ma giusto per non rimetterci, o decidiamo di regalare il nostro prodotto, magari anche usando materie prime scarse. Per quanto mi riguarda, amo le decorazioni minimaliste, curate ed eleganti, in grado di catturare l’occhio e di far sognare ancora prima di degustare».
Quali sono, allora, le nuove tendenze?
«La ricerca è verso prodotti un po’ più leggeri, digeribili, attenti anche all’apporto calorico. Non che le pasticcerie debbano diventare delle farmacie, intendiamoci. I dolci sono dolci per definizione e lo zucchero resta uno dei ingredienti principali di tutte le preparazioni. Non va demonizzato, anche perché è un prodotto naturale, ma può essere utilizzato in maniera più accorta, salvaguardando il piacere».
Da consulente e formatore professionale richiestissimo, quali sono le principali criticità che ha individuato nelle pasticcerie?
«Le criticità sono date dall’imposizione fiscale per le piccole/medie aziende artigiane, che opprime con la tassazione e gli oneri. Ciò che si può fare per cercare di mettersi in tasca qualcosa in più è ottimizzare la produzione con le attrezzature necessarie, migliorando i processi e l’impiego della manodopera. Si può fare il dolce più bello del mondo, ma deve essere realizzabile e sostenibile economicamente».
I due corsi che terrà all’Accademia del Gusto sono dedicati alla pasticceria salata e al carrello dei dolci nella ristorazione, due aspetti solitamente poco considerati…
«La pasticceria salata è un’interessante opportunità, nell’ottica dell’ampliamento e dell’integrazione delle proposte, soprattutto ora che molte attività effettuano servizio nell’arco di tutta la giornata ed hanno l’esigenza di offrire prodotti anche per la pausa pranzo o l’aperitivo. Non si tratta di realizzare preparazioni complicate, io sono convinto che la genialità stia nella semplicità, senza però cadere nella banalità, ma occorre credere in quello che si fa e non accontentarsi di seguire gli altri. Sempre nella logica dell’ottimizzazione del lavoro e della fattibilità, ad esempio, da un panetto base si possono realizzare tipologie diverse di panini, aromatizzati con peperoncino, con origano, con olive e noci e altro ancora».
E dei dolci al ristorante cosa ne dice?
«Sono sempre stati il tallone d’Achille, spesso non hanno alcuna coerenza con la proposta e passa quasi la voglia di ordinarli. Non è però solo un problema di costi e organico, perché si possono preparare dolci semplici, che non richiedono tante ore di lavoro, ma curati, come crème carmel, dolci da forno, crème brûlée. Non ci sono alibi per non proporre un buon dolce».
La sua filosofia della semplicità è tutto il contrario della corsa all’invenzione che sembra animare la pasticceria di questi tempi…
«Sono sempre stato controcorrente. Non ho mai seguito le mode, ho semmai cercato di crearle, ragionando sui fondamentali. È la stessa visione che ho adottato nel mio libro “Tradizione in Evoluzione”, che ha richiesto quasi quattro anni di lavoro ed ora è alla terza edizione e ha debuttato nella versione inglese da poche settimane. Non è un volume che vuole dimostrare quanto sono bravo, ma dare a chi lo consulta tutti gli strumenti per costruire un proprio modo di lavorare e di evolversi».