Chef sugli yacht: «Una carriera, mille emozioni»

Chef sugli yacht: «Una carriera, mille emozioni»

image_pdfimage_print

Nel mondo della ristorazione c’e una realtà che in pochi conoscono. Parliamo della cucina private extralusso, ovvero la professione di chef per il jet set. Se ne parla poco: i committenti, ricchi magnati e armatori, esigono la massima riservatezza e d’altro canto gli chef eletti sono pochi. Eppure è un mestiere affascinante, avventuroso e molto ben remunerato, che può dare grandi soddisfazioni. Gli stipendi vanno dai 2mila fino ai 10-12mila euro per i cuochi più prestigiosi. E si è spesati di tutto, dai trasferimenti agli abiti fino alle necessità personali. Ad esempio, se lo yacht è attraccato a Miami e si viene chiamati, l’aereo è a carico del committente.

Dario Tagliasacchi, 42 anni, cuoco di Credaro cresciuto nella brigata di Gualtiero Marchesi, ha alle spalle anni di esperienza alla corte del jet set internazionale. Ci racconta aneddoti e curiosità oltre agli aspetti positivi e negativi di questo mestiere che – dice – «fa aprire la mente, conoscere tanti modi di cucinare e vivere vere e proprie avventure». Come, ad esempio, inseguire uno yacht con la borsa della spesa a bordo di un tender per cucinare una cena speciale in una caletta in mezzo all’atlantico, oppure essere mandati a fare un corso a Merano da Henri Chenot per lavorare a una dieta speciale. Cucinare il risotto lombardo per le Eurotoque a Bruxelles, imbandire un buffet di gala sotto le stelle di New York, improvvisare una cena alle cinque di notte a bordo di uno yacht MY Montrevel di 37 metri.

Come si e avvicinato a questo mondo?

«È iniziato tutto per merito di Gualtiero Marchesi. Un giorno sono tornato a Erbusco a trovare lo staff per un saluto. Parlando con il patron mi disse “vuoi partire in barca?”. In quegli anni Marchesi aveva in gestione un Club sulla Costa Atlantica. Dall’oggi al domani si è deciso che sarei andato io. Ho fatto otto mesi tra i Caraibi e il Mediterraneo. Poi qualche crociera tra Venezia, Bari, Istanbul e Pireos. Finita l’esperienza ho lavorato per tre anni e mezzo come secondo di Marchesi a Parigi, al Lotti della catena Jolly Hotel che in quegli anni ottenne una stella Michelin. Qui ho avuto il mio primo incontro con il mondo private extralusso».

Cosa è accaduto?

«Il passaparola è stato importante. Tramite degli amici conosciuti a Parigi ho fatto dei colloqui a Cannes e in un’agenzia di Nizza. Come prova, mi hanno mandato in due abitazioni di lusso a Montecarlo. La prima era uno stabile di 14 piani che ospitava due famiglie e l’azienda. La seconda una villa bellissima abitata da una famiglia e da 12 dipendenti fissi: eravamo due cuochi, uno cucinava per i proprietari, l’altro per i dipendenti».

Come si svolgono il colloquio e la selezione?

«Le selezioni vengono fatte da agenzie specializzate, si chiamano Crew Agency. Ad Antibes ce ne sono molte, valutano le caratteristiche del candidato e cercano di abbinarle a quelle degli armatori. Il colloquio è in due lingue, inglese e francese: ti viene richiesta una breve presentazione, poi ti fanno fare la spesa e cucinare».

Dario TagliasacchiQuali sono le doti necessarie per fare gli chef privati di lusso?

«Innanzitutto e richiesta preparazione sui piatti, sui prodotti e sulla cucina classica. Essere un cuoco italiano è un’eccellenza che da il 30% di punti in più rispetto agli altri candidati. E poi occorre avere una buona esperienza ed essere curiosi, avere una mente aperta. Si tenga conto che quando si lavora sugli yacht, si gestiscono situazioni impreviste, a volte estreme, e si lavora con persone di lingue e culture molto diverse. Servono voglia di sperimentare e capacità di mettere insieme anche culture alimentari diverse, tenendo conto dei gusti e delle tradizioni degli ospiti».

Lei ha lavorato per anni sullo yacht di un armatore. Che tipo di impegno viene richiesto?

«La giornata non finisce mai. È un impegno costante. Gli armatori chiedono di essere disponibili 23 ore su 24, in ogni momento bisogna essere pronti a soddisfare qualunque richiesta, anche stravagante. È un mondo extralusso dove si ottiene sempre quello che si vuole. Poi ci sono mille imprevisti».

Ad esempio?

«Può capitare di cucinare per gli ospiti negli orari più impensati, all’una di notte come alle quattro del mattino e poi alle cinque tornare in cucina per preparare la colazione al personale di bordo. Una sera l’armatore per cui lavoravo mi ha chiesto una cena a base di astice. Non l’avevo, cosi quando è sceso sull’isola sono sceso anch’io e ho girato tra i ristoranti per trovarlo. È costato una fortuna».

Quali sono invece gli aspetti positivi?

«Il mestiere ti porta a conoscere tanta gente e a buttarti senza paura in situazioni nuove. Si impara qualcosa ogni giorno e si allacciano rapporti con altri chef e colleghi. Inoltre nei momenti liberi si può godere al meglio la vita in mare e i posti che si incontrano».

Cosa si mangia sugli yacht? Chi decide il menù?

«Il cuoco è una figura speciale, si deve interfacciare con gli ospiti, si presenta a loro, raccogliere le loro richieste, i loro desideri e in base a quelli formula il menù per il giorno dopo o la sera stessa. La cucina mediterranea e la più apprezzata, poi dipende dall’origine e dalle tradizioni culinarie dell’armatore e degli ospiti e dai loro gusti. Ci sono anche ospiti che mangiano panini e insalate da mattina a sera. In questo caso a bordo non chiedono cuochi professionisti ma stewart tuttofare».

Le esperienze più belle che ricorda?

«Sono davvero tante. Ho comprato pesce al mercato di Saint Tropez per una cena in barca, scelto una miscela di the ad Oxford Circus per uno stuzzichino serale, imparato a fare il Gazpacho da un fruttivendolo di Valencia, comprato pesce fresco sottobordo a Lipari. Ma forse le emozioni più grandi sono state le regate. Per due anni sullo yacht abbiamo seguito l’American’s Cup e ho conosciuto politici e personaggi del mondo della vela e pubblici, come D’Alema e Bertarelli. Un altro anno partecipammo al Classic Week presso lo Yacht Club Montecarlo: è una manifestazione dove sfilano le più belle imbarcazioni del mondo e i loro cuochi si sfidano. In quell’edizione vincemmo noi».

Può essere un’opportunità di lavoro per i giovani cuochi?

«Può essere un’aspirazione. Prima bisogna imparare a cucinare. A un giovane che vuole fare questa avventura il mio consiglio è di insistere, di buttarsi, di non fermarsi al primo no. Anche a me obiettavano che non avevo esperienza in questo settore, ho insistito finché non mi hanno preso. Consiglio anche di fare il libretto di navigazione, il documento marittimo che si ottiene dopo avere superato degli esami, perché chi lo possiede ha tutte le carte in regola per navigare ovunque».

Ha dei rimpianti per quella vita?

«Ora sto focalizzando le mie energie su due ambiti diversi, la consulenza professionale alle attività enogastronomiche che vogliono migliorarsi e la realizzazione di eventi domestici personalizzati ed esclusivi come “Chef a domicilio”. E un’ulteriore evoluzione del mio cammino che non manca di stimoli e che mi fa svegliare ogni mattina pensando: amo il mio lavoro».