Fipe e Confcommercio Lombardia: “Dalla Regione troppe concessioni agli agriturismi”

La decisione di estendere ai giorni festivi la possibilità di superare i pasti somministrabili crea danni e malumori nei pubblici esercizi 

Lino Stoppani

“Stigmatizziamo il comportamento della Giunta e del Consiglio di Regione Lombardia che, a più riprese continuano ad allargare l’attività degli agriturismi creando una totale sovrapposizione con i pubblici esercizi.  E’ grave la decisione del Consiglio di estendere ai giorni festivi la possibilità di superare il numero massimo di pasti somministrabili negli agriturismi”. Così il presidente di Fipe Lombardia Lino Stoppani commenta l’approvazione nel PDL 25 in discussione – Legge di revisione normativa ordinamentale 2023 di Regione Lombardia – di una modifica alla legge sugli agriturismi, consentendo a quest’ultimi di derogare al limite di 160 pasti somministrati al giorno anche nei giorni festivi, potenzialmente oltre dieci all’anno (tra queste: Festa della Liberazione, Festa dei Lavoratori, Ferragosto). Si tratta di giornate estremamente importanti, capaci di dare respiro al settore della ristorazione, anche grazie al comparto dei ricevimenti.

Con tale modifica ancora una volta Regione Lombardia consente alle aziende agricole di svolgere l’attività di ristorazione da una posizione di concorrenza sleale. Le attività agrituristiche operano, infatti, in condizioni più favorevoli rispetto a quelle dei pubblici esercizi: per quanto riguarda la fiscalità generale, le agevolazioni e gli obblighi burocratico-amministrativi (es: doppi servizi e spogliatoi per dipendenti previsti per i ristoranti). A questo, si aggiunge un differente regime dei controlli, che per i ristoranti sono disciplinati dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza.

“Qui non si tratta di essere contro la libertà di mercato – sottolinea Stoppani – Tutt’altro: si tratta di affermare il principio ‘stesso mercato stesse regole’, coerentemente con quanto previsto anche dal Mercato Unico Europeo. Inoltre, il comparto della ristorazione è uscito a fatica e con gravi ferite dalla crisi pandemica. E, a differenza delle attività agrituristiche, non ha altri mezzi sui quali poter basare la propria economia se non quelli dati dalla propria attività”.

“Una scelta – aggiunge Carlo Massoletti, vicepresidente vicario di Confcommercio Lombardia – che mortifica il lavoro di molte migliaia di imprenditori della ristorazione che hanno già affrontato la crisi pandemica. Imprenditori che, grazie alla professionalità e alla qualità del servizio, si stanno ritagliando un ruolo sempre più da protagonisti nella filiera del turismo e che giocano un ruolo fondamentale per la vitalità delle comunità e la rigenerazione dei luoghi”.


Buoni pasto, il tetto al 5% delle commissioni in capo agli esercenti vale un risparmio di 1,5 milioni

Fusini: “Maggiore sostenibilità per gli esercenti e miglior servizio per i lavoratori”

Il taglio alle commissioni per i buoni pasto dei dipendenti pubblici fissato al 5% sta per diventare realtà. Con le aggiudicazioni della gara Consip “BP10” (ancora non efficaci, ma rese pubbliche al 27 febbraio, aggiudicate in Lombardia da “Up Day” e “Welfare Pellegrini”) Fipe- Federazione italiana pubblici esercizi italiani stima un risparmio per gli esercenti per il 2023 di circa 150 milioni di euro a livello nazionale e di 14,1 milioni in Lombardia.  Un primo importante  risultato del lavoro che ha visto unite le associazioni della ristorazione e del commercio per rispondere al disagio di migliaia di imprese costrette a pagare una tassa occulta del valore di centinaia di milioni di euro per assicurare il servizio ai lavoratori che utilizzano ogni giorno il buono pasto. Basti pensare che le commissioni della precedente gara lombarda erano al 16,17%, con punte in altre regioni dal 19,80% in Sicilia e Campania al 21,07% in Calabria. Ascom Confcommercio Bergamo esprime tutta la sua soddisfazione per questo primo risultato raggiunto. L’associazione ha diffuso un vademecum per informare dell’importante novità tutti gli accettatori di ticket (esercenti, bar, ristoranti,  esercizi di vicinato a supermercati) . I nuovi contratti di convenzione legati a una committenza pubblica sia che si tratti di Consip che di altra amministrazione pubblica potranno richiedere una commissione massima del 5% del valore nominale del buono pasto senza alcun costo accessorio. L’emettitore non potrà infatti richiedere alcun costo aggiuntivo né per la dematerializzazione dei buoni cartacei, né per i Pos di lettura per i ticket elettronici, né per la gestione di fatture ed emissione.
La normativa  secondo le stime Ascom interessa circa 21mila lavoratori pubblici bergamaschi ( il dato, su elaborazione dato Inps non comprende i dipendenti scolastici, universitari e altri comparti che normalmente non percepiscono buoni) e oltre 800 tra trattorie, bar, ristoranti e negozi di alimentari che accettano ticket. Il risparmio complessivo per gli esercenti bergamaschi stimato da Ascom è di circa 1,5 milioni di euro. Una cifra considerevole in un mercato dal valore complessivo (includendo tutti i lavoratori beneficiari, pari a 58.200, di cui 21mila pubblici) di oltre 70,3 milioni di euro (dato 2022, in crescita di oltre 4 milioni di euro rispetto al 2021, secondo stime Ascom).  In tempi di costi e burocrazie crescenti è un primo segnale di tutela degli operatori commerciali e, di pari passo, dei beneficiari e utilizzatori dei ticket. “ Dare sostenibilità all’esercente significa migliorare la qualità del servizio e aumentare il valore reale del buono anche per il lavoratore- sottolinea il direttore Ascom Confcommercio Bergamo Oscar Fusini-.  Resta comunque la necessità di una riforma strutturale del sistema dei buoni pasto, per intervenire anche sulle gare private che oggi non sono interessate dal provvedimento  e che, tuttavia, valgono quasi  due terzi del mercato. Occorre adottare modelli di regolazione mutuati da altri Paesi europei, mettendo al centro la salvaguardia del valore reale del buono pasto, da quando viene acquistato dal datore di lavoro a quando viene speso dal lavoratore. Ed è bene ricordare che questo strumento prevede già importanti vantaggi sia per il datore di lavoro con la decontribuzione, sia per il lavoratore con la defiscalizzazione”.


San Valentino, cene a lume di candela per un giro d’affari che sfiora i 4,3 milioni

Presenze ottime nei locali, sempre apprezzati anche mazzi di fiori e gioielli tra i regali

Torna la voglia di festeggiare San Valentino, ricorrenza che continua a rappresentare l’occasione per molti di uscire a cena, di ricevere e scartare regali o splendidi mazzi di fiori. Ascom Confcommercio Bergamo stima un giro d’affari per i pubblici esercizi che si attesta attorno ai 4 milioni e 300mila euro (4.298.200 euro), portando  oltre138 mila bergamaschi ai tavoli di ristoranti e locali.  Un trend positivo, in linea con il dato nazionale diffuso da Fipe, con 5,3 milioni di italiani che festeggeranno al ristorante, per un giro d’affari di 270 milioni di euro.
La passione è più forte dell’inflazione, anche se gli acquisti- eccezion fatta per chi può concedersi qualche follia, a partire dai gioielli più preziosi- sono sempre più meditati. Per molti, specialmente per chi ha trascorso le vacanze lontano dalla città, è la prima ricorrenza utile dopo le festività di fine e inizio anno  e c’è chi opta per regali più importanti, cogliendo l’occasione di acquistare anche gioielli. Se questa scelta resta comunque appannaggio di pochi, la cena al ristorante (oltre all’aperitivo o al cocktail dopo cinema o teatro)  si conferma  l’opzione più gettonata dalle coppie  per celebrare la festa degli innamorati. Tra menù speciali e proposta alla carta, ci si potrà sbizzarrire nella scelta tra menu di terra e di mare, con mise en place e atmosfera quanto mai curate, dai centrotavola alle candele , alla musica in sottofondo. “La voglia di uscire continua e nonostante la crisi stiamo lavorando molto bene– commenta Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori Ascom Confcommercio Bergamo-. San Valentino si conferma una festa sentita e senza età e le prenotazioni  nei ristoranti sono buone”.  Per celebrare la festa, non tramonta la voglia di regalare fiori, rose (rosse) in testa: “Come fioristi abbiamo cercato di limitare gli aumenti considerevoli di rose, tulipani, ranuncoli e narcisi, legati ai rincari delle serre e al boom di richieste per quella che resta una festa condivisa con tutto il mondo- commenta Emiliano

Amadei, presidente del Gruppo Fioristi Ascom Confcommercio Bergamo-. San Valentino resta una delle festività più amate e una delle occasioni preferite per regalare fiori,  come mostra la continua crescita delle vendite in questa giornata. La spesa media si attesta attorno ai 25 euro”.  La festa del 14 febbraio è l’occasione per regalare gioielli, da piccoli pensieri in argento a pietre semi-preziose, fino a gioielli ricercati per chi, non senza visite e valutazioni nelle scorse settimane, decide di sfruttare l’occasione per stupire con un regalo importante inatteso. “San Valentino è una ricorrenza simpatica e sentita, che rappresenta per la maggior parte l’occasione di donare qualcosa di carino da portare tutti i giorni, ma che qualcuno usa sempre più spesso per regali più importanti” commenta Alessandro Riva, presidente del Gruppo

Commercianti di Preziosi Ascom Confcommercio Bergamo. Nonostante la maggior parte delle coppie abbia deciso di trascorrere la serata di San Valentino al ristorante, anche una breve “fuga a due”, da trascorrere nel fine settimana, si è rivelata essere un’opzione particolarmente apprezzata da molti innamorati. Secondo le stime elaborate da Confcommercio-Swg, la spesa prevista è in media di 350 euro a persona per una “luna di miele” che in 3 casi su 4 è di due notti al massimo. Le presenze negli hotel bergamaschi si confermano buone, specialmente per gli alberghi con spa e zone benessere.

 


Turismo invernale sempre più gourmet: il 90% cerca degustazioni e prodotti tipici in quota

Gastronomia, ristorazione e produzioni tipiche di qualità. Fabbriche di cioccolato per lei, i birrifici per lui

Sci, escursioni ed esperienze gourmet: nelle località di montagna è tornato il turismo. Siamo nel pieno della stagione invernale, le piste da sci dell’arco alpino sono state prese d’assalto già prima di Natale e ora a febbraio, il mese più importante per le settimane bianche, si conferma il trend positivo. Nella scelta della vacanza invernale, oggi non conta soltanto la qualità dell’offerta sciistica ma anche, e sempre di più, quella legata alla gastronomia, alla ristorazione e alla produzione di cibi che rappresentano l’espressione del territorio. È quanto emerge dall’anticipazione dell’edizione 2023 del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano, a cura di Roberta Garibaldi e realizzato sotto l’egida dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, che sarà presentato a maggio. La nuova edizione del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano di Roberta Garibaldi, vicepresidente della Commissione Turismo dell’OCSE-Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e professore di Tourism Management all’Università degli Studi di Bergamo, analizza la volontà di unire la vacanza in alta quota con la scoperta delle produzioni locali e della ristorazione. Oltre il 90% degli intervistati vuole partecipare a degustazioni in montagna e i due terzi intende visitare i luoghi di produzione del cibo. La popolazione femminile è particolarmente attratta dalle fabbriche di cioccolato, quella maschile dai birrifici. Il fine dining seduce soprattutto i più giovani. Per la prima volta, il Rapporto ha analizzato le attese e le propensioni di spesa del turista che sceglie la montagna come destinazione per le proprie vacanze e il risultato non lascia spazio al dubbio: oltre il 90% degli intervistati, senza distinzione tra la popolazione femminile e quella maschile, ha intenzione di unire l’esperienza in montagna con le degustazioni che si possono provare nel territorio. In particolare, il 68% circa vuole degustare in un ristorante locale i piatti tipici del luogo prescelto e più di un intervistato su quattro ha previsto la visita a un ristorante o un bar storico durante la permanenza in montagna. L’esperienza di fine dining tra i monti tenta soprattutto la parte maschile e ancor più la fascia di età 18-24 anni, dove si supera il 27%.
E se la cucina tipica di montagna resta il punto di riferimento per la maggioranza degli intervistati, va segnalato come il turista enogastronomico contemporaneo sia sempre più aperto a nuove esperienze. Al di là della ristorazione, una vacanza in montagna offre la possibilità di visitare tanti luoghi di produzione del cibo e questo aspetto sta diventando particolarmente interessante per una piena immersione nel mood territoriale. Due turisti su tre manifestano la volontà di approfondire questa conoscenza organizzando attività di vario tipo. La più “gettonata” è la visita a un’azienda agricola (24%) e a seguire troviamo i caseifici (23%) e le cantine (22%). Tra i maschi si nota una particolare predisposizione a organizzare visite nei birrifici, mentre le donne sono attratte in maggior misura dalle fabbriche di cioccolato.
Tra le altre esperienze da provare compaiono la visita a un mercato locale, scelta da oltre il 40% del campione, e alle attività di piccole botteghe artigiane del gusto con oltre il 37%. E più del 57% degli intervistati punta a partecipare a un evento legato all’enogastronomia, meglio se focalizzato sul cibo e a seguire sul vino e sulla birra. Tra le esperienze di turismo attivo, invece, svettano quelle dei trattamenti di benessere (SPA, massaggi, …) a tema vino, birra e olio. Tra i più giovani (età 18-24) è particolarmente alta l’intenzione di partecipare ad attività sportive all’aria aperta come trekking del gusto, tour in bicicletta o mountain bike tra i luoghi di produzione del cibo.
“Il binomio enogastronomia e montagna si conferma essere di grande appeal tra i turisti italiani, l’interesse è forte e si traduce nel desiderio di partecipare ad una pluralità di proposte, dalle più tradizionali ai nuovi format tra sport e gusto”, afferma Roberta Garibaldi, vicepresidente della Commissione Turismo dell’OCSE e autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano. “Valorizzare l’enogastronomia nelle aree montane del Belpaese contribuisce ad arricchire l’offerta, la diversifica e la destagionalizza. È certamente un’opzione percorribile per slegarsi dai tradizionali modelli turistici ed orientarsi verso forme di sviluppo più sostenibili e in grado di generare benefici diffusi per le filiere dell’agroalimentare e del turismo”.

 

 


Zona gialla, grossisti e distributori di bevande lanciano l’appello

Giampietro Rota, presidente della categoria che ha subito un crollo della categoria che ha subito uncrollo del fatturato di oltre il 40% nel 2020:”si identifica una exit strategy per far ripartire la filiera”

Bene la zona gialla, ma auspichiamo un ritorno alla normalità d’esercizio il prima possibile perché non si può resistere a lungo in queste condizioni. Il rischio di tornare in zona arancione con aperture stop e go è dietro l’angolo e per questo occorre definire una comune exit strategy che metta al centro la riapertura dei locali, con tutti i protocolli di sicurezza che sono stati fin da subito messi in atto, per la sicurezza del consumatore e dei lavoratori”. A lanciare l’appello a nome di tutta la categoria è Giampietro Rota, presidente dei grossisti e distributori di Ascom Confcommercio Bergamo che propone una lettura in chiaroscuro del ritorno in zona gialla della Lombardia.

“Il settore delle imprese all’ingrosso di distribuzione HoReCa (Hotellerie, Restaurant, Cafè) che comprende tutto il circuito dei consumi “fuori casa” ha chiuso un 2020 da dimenticare, registrando a livello provinciale un crollo del fatturato di oltre il 40%, con punte fino a l’80% nell’ultimo mese a seguito dell’ennesima chiusura di bar, pizzerie, ristoranti e alberghi – aggiunge Rota -. Siamo a rischio collasso: in Bergamasca ci sono infatti una cinquantina di aziende strutturate che riforniscono ciascuna centinaia di bar, ristoranti e alberghi che sono rimasti chiusi per circa un anno e ora non sappiamo ancora quanto potranno rimanere aperti”.

 

Il paradosso: grossisti operativi ma locali chiusi

“La grave sofferenza del comparto dei pubblici esercizi si abbatte a cascata anche sulle altre filiere collegate come quella della distribuzione di bevande e alcolici – sottolinea Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo -. Di fatto, grossisti e distributori hanno vissuto un paradosso: stiamo infatti parlando di una categoria che ha sempre potuto operare e che è stata persino esclusa dagli ultimi ristori, senza contare sgravi e crediti di imposta mai definiti, a fronte del fatto che gli operatori (gestori e distributori) sono interconnessi. Se non lavora uno non lavora l’altro e se si blocca l’anello conclusivo della filiera si blocca tutto”.

 

Il problema dello smaltimento delle scorte

Un danno economico ma non solo: c’è anche il problema dello smaltimento delle scorte sotto scadenza con tutte le conseguenze ambientali che ne derivano: “Molti prodotti come birra e bevande analcoliche sono le prime ad andare in scadenza – conferma Rota -. A questo si aggiungono i costi fissi aziendali, dalle spese per l’energia elettrica necessaria per alimentare le celle frigorifere alle coperture assicurative per le flotte aziendali fino alla formazione obbligatoria del personale. La zona gialla finalmente ci dà un po’ di respiro ma la preoccupazione di tutti gli operatori è che al momento non c’è ancora una visione a lungo termine. Per questo chiediamo alle istituzioni di definire una strategia comune per poter ripartire e di non ricorrere ad aperture stop e go a seconda dell’altalena dei contagi”.


Via libera al servizio mensa e catering da Ascom il vademecum per i ristoratori

L’attività va comunicata al Comune e occorre un accordo con le aziende. Il direttore Fusini: “Ringrazio la Prefettura”

Via libera al servizio di mensa e catering continuativo da parte di ristoranti e pubblici esercizi. Dopo ripetute sollecitazioni da parte di Ascom Confcommercio Bergamo, finalmente la Prefettura si è espressa con il parere favorevole. Per svolgere l’attività è necessario che ci sia la stipula di un’apposita convenzione con l’impresa mediante contratto di appalto avente per oggetto la somministrazione di pasti ai dipendenti oltre alla comunicazione al Suap  se richiesto dal Comune) di mensa/catering con relativo aggiornamento del codice Ateco in Camera di Commercio. Infine, occorre ovviamente rispettare i protocolli e le linee guida diretti a contenere il contagio.
“Ringraziamo la Prefettura dei chiarimenti sul servizio mensa e catering – spiega il direttore Ascom di Bergamo, Oscar Fusini -. Certo la situazione per ristoratori e baristi è sempre grave. Ma se alcuni ristoratori se in possesso dei requisiti richiesti potranno fare un po’ di lavoro, sarà un vantaggio per loro e aiuto per tanti operai e impiegati, che potranno pranzare al caldo e non nelle cabine dei camion e nei capannoni. Abbiamo concordato con la Prefettura le interpretazioni e dato delle indicazioni alle quali i titolari di attività di ristorazione dovranno attenersi, Il servizio può essere reso nel rispetto della normativa sanitaria, sicurezza del lavoro anche alla luce dei disciplinari di contenimento del Covid. Per ora il parere esclude espressamente la possibilità che le medesime attività possano esser svolte, sempre sulla base di un contratto, anche nei confronti di un libero professionista (o di un titolare di partita Iva), in quanto in tal caso la fattispecie non sarebbe riconducibile alle attività di mensa o di catering continuativo, mancando un elemento imprescindibile di tali prestazioni, costituito dalla “collettività”. Anche su questo tema con le Federazioni siamo al lavoro per cercare di migliorare l’interpretazione”.

 

Il vademecum

A seguito della novità del servizio di mensa ammesso in deroga al Dpcm dal parere della Prefettura ed erogabile nei pubblici esercizi che possono fornire pasti e nei ristoranti, Ascom Confcommercio Bergamo ha delineato alcune osservazioni a partire dal fatto che l’attività è chiusa al pubblico ed è possibile effettuare solo l’asporto o la consegna a domicilio.

Pratica
Per erogare il servizio mensa occorre inviare la Scia al Comune/suap e comunicare  il codice Ateco 56.29.10 del servizio della mensa.

Contratto 
Il servizio mensa può essere fornito ogni giorno anche il sabato e la domenica nel rispetto dell’erogazione ai lavoratori e non al pubblico. Le persone che accedono devono essere inserite in un elenco allegato al contratto che il legale rappresentante dell’impresa ha sottoscritto con il ristorante. Il contratto può essere stipulato anche in presenza purché sia sottoscritto dal legale rappresentante.

Prezzo e pagamento
Il prezzo è stabilito dal contratto ed è per persona/gg. Possono esserci anche più formule es. 10/12/15/20 euro a seconda delle portate. Il conto della prestazione e il documento commerciale è emesso sull’azienda.
Il portatore di un buono pasto non può accedere al ristorante tout court. Può farlo solo se rientra nell’elenco dei dipendenti beneficiari del contratto di mensa. Non è possibile il pagamento con buoni pasto, che non prefigurano un servizio mensa.

Servizio
Il servizio è erogato secondo criteri di normalità. Il cliente è obbligato alla mascherina ogni volta che non è seduto al tavolo. Al tavolo è consentito un numero massimo di 4 persone salvo che siano conviventi. Il personale deve usare sempre la mascherina e igienizzare frequentemente le mani. L’erogazione del servizio deve avvenire secondo quanto stabilito dalle linee guida per la ristorazione.

Può essere preferibile assegnare una parte o una sala ai dipendenti della stessa impresa; stabilire dei turni di presenza in modo di sanificare i locali e arieggiare le sale prima del successivo turno ed erogare il servizio al tavolo salvo gestione del personale del buffet o monoporzioni.

Controllo
In caso di controllo è necessario possedere copia contratti con elenco dei beneficiari del servizio mensa e l’elenco dei presenti con la relativa azienda per la verifica veloce del numero dei presenti in caso di controllo delle Forze dell’ordine.

Il cartellone
Per chi svolge l’attività di mensa è obbligatorio  esporre il cartellone (clicca qui per  scaricarlo) che indica gli orari del servizio in funzione. Per evitare sanzioni si consiglia di effettuare il servizio di asporto facendo attendere la clientela fuori dal locale.

Aggiornamento del 29/01/21

 

Servizio mense, per ora la Prefettura di Bergamo dice no

Per un settore allo stremo come quello della ristorazione, il parere positivo della Prefettura di Rovigo in merito alla possibilità per i pubblici esercizi di erogare il servizio di “mensa contrattualizzata” può rappresentare un’opportunità per attenuare gli effetti devastanti delle chiusure imposte. Non è così a Bergamo dove si sta aspettando il via libera da parte della Prefettura dopo il primo parere negativo espresso nei mesi scorsi.

“La nostra Associazione sta ricevendo molte richieste sulla possibilità di esercitare il servizio di mensa aziendale da parte di bar e ristoranti – commenta Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo -. C’è grande confusione nell’interpretazione sia da parte dei Comuni e che dalle stesse Forze dell’ordine. Il servizio sarebbe utile per i tanti lavoratori oggi obbligati ad ammassarsi o costretti a mangiare al freddo e per le nostre imprese che potrebbero lavorare in un momento di grave difficoltà. La nostra preoccupazione principale è però quella di evitare multe e problematiche per i nostri soci, che oltre al grave danno economico della chiusura potrebbero essere oggetto di verifiche e sanzioni”.

A novembre la prima richiesta

Il 20 novembre Ascom aveva già richiesto un parere alla Prefettura di Bergamo che, dipendendo dal Ministero dell’Interno, interpreta le norme dei provvedimenti del Governo. Il parere dato dalla Prefettura era negativo, così come la linea seguita dai Comuni e dall’ATS in caso di controllo. “In riferimento al quesito qui pervenuto concernente l’oggetto, si rappresenta che, ai sensi dell’art. 3, comma 4, lett. c), del DPCM 3 novembre 2020, l’attività degli esercizi di ristorazione è sospesa – si legge nel parere –. Dal tenore testuale della norma sembra, pertanto, che essi non possano in ogni caso restare aperti, nemmeno ove prestino il servizio esclusivamente a favore dei dipendenti di aziende convenzionate. Peraltro, alla luce del rapporto contrattuale di convenzione con datori di lavoro terzi, i predetti esercizi potranno svolgere il servizio pattuito mediante asporto ovvero consegna dei pasti nei luoghi dove si ritenga più opportuno”.

L’ 11 gennaio è stato richiesto nuovamente un parere che non ha ottenuto ancora risposta. “Terremo aggiornati i nostri associati – conclude Fusini – nella speranza che l’interpretazione possa presto cambiare, come per esempio in Veneto, a Rovigo per l’esattezza, dove viene richiesto in caso di controllo la copia dei contratti sottoscritti dai datori di lavoro”.


Ristorazione in profondo rosso Frosio: “Ci sentiamo vittime sacrificali”

La presidenza del Gruppo Ristoratori di Ascom fa il punto sulla crisi in atto tra restrizioni e prospettive incerte: delivery, asporto e ristori del Governo salvagenti di una categoria messa in ginocchio

 

Nel 2020 il mondo della ristorazione è rimasto chiuso in media 160 giorni, mentre le imprese di catering e i locali di intrattenimento hanno di fatto perduto l’intero anno. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi nei primi nove mesi del 2020 la ristorazione ha perso 23,4 miliardi di euro. E solo nell’ultimo trimestre dell’anno la contrazione del fatturato è stata del 16,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un profondo rosso ben visibile nelle strade delle città con saracinesche abbassate, ingressi sbarrati, tavolini impilati e sedie accatastate.
A fare il punto sul mondo della ristorazione tra crisi, restrizioni e prospettive incerte, e delivery, consegne a domicilio e ristori del Governo come unici salvagenti di una categoria messa in ginocchio è Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori di Ascom Confcommercio Bergamo, e chef del ristorante Posta di Sant’Omobono Terme.

Tra riaperture a singhiozzo proposte dai diversi decreti come giudica le decisioni del Governo prese finora?
“Il mio giudizio non è del tutto negativo perché Conte non ha fatto peggio di altri Paesi. Quello che è accaduto è stato di una gravità immane che non aveva precedenti nella nostra storia recente. La comunicazione è stata il punto carente tanto da generare confusione nei cittadini ma soprattutto nel nostro settore che dalle chiusure è stato maggiormente penalizzato: conferenze stampa notturne, comunicati dei vari organi  (comitato tecnico scientifico, presidenti di regioni, virologi, infettivologi) che si sovrapponevano e a volte erano contraddittori, bozze di Dpcm anticipate dai media, decisioni stop and go sui congiunti, decreti scritti in politichese difficili da interpretare tanto da richiedere migliaia di Faq, illusioni date ma difficili da mantenere data l’imprevedibilità e la non conoscenza del virus”.

Ristoranti sempre chiusi nonostante gli investimenti fatti nei mesi scorsi, mentre molte altre attività aperte: è il caso di dire due pesi due misure?
“Durante il primo lockdown, vista la drammatica situazione, soprattutto nella nostra provincia ce ne siamo fatti una ragione. Le successive chiusure avrebbero dovuto essere meglio spiegate. Ad esempio, ci chiediamo perché è consentito andare nei supermercati superaffollati e non nei ristoranti dove la situazione è più sotto controllo anche grazie alla messa in atto di tutti i protocolli che ci erano stati richiesti, oppure perché in zona gialla si può aprire a pranzo e non a cena. La possibilità di contagio dovrebbe essere la stessa. L’unica spiegazione che mi sono data è che i ristoranti sono l’unico luogo in cui le persone sono senza mascherine. Per questi motivi e per il prolungarsi delle chiusure oggi ci sentiamo ‘vittime sacrificali’”.

Quali sono i costi di un ristorante e del suo indotto? È possibile fare una stima?
“Lo stop and go e le chiusure prolungate hanno generato notevoli perdite nella gestione delle materie prime ma soprattutto in tutta la filiera che lavora con i ristoranti. Inoltre, ogni ristorante è una realtà a sé perché ognuno è diverso dall’altro. Non stiamo parlando di catene standardizzate perché gestire una pizzeria è diverso che gestire una mensa o un ristorante gourmet. Di certo, in questo periodo molti sono stati i costi sostenuti in assenza totale o riduzione sostanziale di entrate. Viviamo nella società degli abbonamenti: contratti annuali di manutenzione, revisione annuale del registratore di cassa che ora dobbiamo aggiornare o cambiare per l’invenzione della lotteria degli scontrini, revisione della caldaia, abbonamento Rai e Siae (piccolo sconto iniziale poi più nulla), per non parlare di energia, gas, telefono, Tari, corsi di aggiornamento obbligatori per titolari e di dipendenti, quota associativa ad associazioni di categoria. La voce più importante rimane comunque l’affitto dei locali, e per molti colleghi l’affitto del ramo d’azienda. A riguardo il governo è intervenuto con specifici aiuti che non hanno soddisfatto appieno visto il malumore che si è venuto a creare”.

 

 I ristori erogati nel 2020 e quelli già approvati per il 2021 sono sufficienti?
“I ristori sono arrivati abbastanza puntuali anche se inizialmente alcuni codici Ateco legati alla ristorazione sono stati ignorati. Se sono congrui è difficile dirlo perché ogni realtà ha caratteristiche diverse dall’altra. Del resto, quando si prendono decisioni in fretta che riguardano una vasta platea di situazioni raggiungere l’equità è difficile. Per il 2021 pare che i ristori saranno calcolati sulla perdita di fatturato del secondo semestre 2020 tenuto conto di quelli già erogati ma non si conosce ancora la percentuale applicata. Banale affermare che più sostanziosi saranno meglio sarà per tutti”.

Che aria tira in questi giorni?
“Il sentimento dei ristoratori è nella voglia che tutto ciò finisca il più presto possibile perché siamo al culmine della sopportazione. Oltre all’importantissimo fattore economico, questa situazione comincia a pesare anche psicologicamente e non solo su di noi ma anche sui nostri dipendenti. Mi riferisco alle incertezze per il loro futuro e all’esasperante e non sostenibile lentezza della cassa integrazione al punto che alcuni ristoratori hanno dovuto anticipare la cassa o addirittura parte del Tfr per aiutarli”.

Da mesi il delivery pare essere l’unica valvola di sfogo: come si sono organizzati i ristoratori bergamaschi e ritiene possa aprire nuovi scenari per la ristorazione?
“Molti ristoranti, visto il prolungarsi della prima chiusura, si sono organizzati per asporto e delivery. Quando torneremo alla normalità alcuni continueranno a proporre il servizio perché se ben organizzato può essere un’ulteriore opportunità. Certo, l’asporto è tutt’altra cosa rispetto all’esperienza del ristorante: buon cibo cucinato al momento, accoglienza e socialità mancano tanto a tutti noi quanto ai nostri ospiti per non dire che i margini sono diversi”.

Nei giorni scorsi c’è stata la protesta di “Io apro”: come giudica un’iniziativa di questo tipo?
“È stata un’iniziativa dalla quale, in linea con la nostra associazione, mi sono dissociata pur condividendo i validi motivi che l’hanno ispirata. La scarsa adesione alla protesta si commenta da sola. Abbiamo dimostrato senso civico senza rinunciare a far conoscere il nostro disagio e le nostre ragioni. E, di fatto, le associazioni che ci rappresentano sul territorio il giorno precedente alla protesta hanno organizzato un incontro con i politici bergamaschi per presentare una serie di proposte concrete per superare questo momento ma soprattutto per aiutarci a ripartire”.

A proposito quale è la strada da seguire per risollevare le sorti di una delle categorie più colpite dai decreti?
Staremo a vedere I l mondo della ristorazione e tutta la filiera hanno bisogno di programmazione, certezze e investimenti continui. Le aziende del settore non possono strutturalmente accendersi a singhiozzo e, se non possono lavorare, hanno bisogno di essere aiutate a stare in vita. Nel manifesto promosso da Ascom Confcommercio Bergamo e Confesercenti Bergamo vengono messe in evidenza tutte le richieste del settore da sottoporre al Governo, compatibilmente con la crisi in atto.  Tra i punti chiave spicca la richiesta di ammettere ai ristori, come già accaduto a novembre, anche le imprese con fatturato superiore ai 5 milioni, paradossalmente trascurate dal primo decreto bilancio. Chiediamo anche di mantenere i crediti d’imposta per gli affitti, per le spese di adeguamento di sanificazione dei locali e di trasformazione digitale dell’impresa che consentono, tra l’altro, di investire nel delivery, e di allungare il periodo della cassa integrazione o consentire i licenziamenti prevedendo indennizzi di disoccupazione”.

 


Emergenza Covid-19: le nuove regole in vigore fino al 15 gennaio

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1 che dispone le nuove restrizioni in vigore dal 7 al 15 gennaio. Fino al 10 gennaio le misure saranno uguali per tutto il territorio nazionale, poi dall’11 gennaio si tornerà alla divisione per colori, ma con nuovi parametri e che riportano in area arancione Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia e Veneto. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati e delle indicazioni della Cabina di Regia dell’Istituto superiore di sanità, ha firmato in serata una nuova ordinanza che andrà in vigore a partire da domenica 10 gennaio fino a venerdì 15 gennaio, data in cui scadrà il Dpcm. 

Fino al 15 gennaio, quindi, bar e ristoranti saranno chiusi (consentita la consegna a domicilio e l’asporto fino alle ore 22.00), le scuole superiori proseguiranno con la didattica a distanza e sarà vietato uscire dal proprio Comune, ad eccezione degli spostamenti da quelli con popolazione fino a 5mila abitanti per un raggio di 30 chilometri dai confini. A far scattare la zona arancione per le 5 regioni sono state le modifiche introdotte con il decreto del 5 gennaio, che hanno abbassato la soglia dell’Rt che determina il posizionamento nelle fasce: con Rt superiore a 1,25 anche nel valore minimo e rischio moderato si passa in zona rossa, con Rt ad 1 si va in arancione.

 

Nuovo Dpcm in arrivo

Nel nuovo Dpcm con le misure antipandemiche è prevista, secondo quanto apprende l’Ansa, la conferma delle attuali misure mentre si stanno valutando nuove restrizioni, anche se al momento non sembrerebbero essere già state definite le nuove misure. Tradotto: prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 luglio, mondiali di sci a Cortina a porte chiuse, niente riapertura degli impianti sciistici. Gli esperti del Comitato tecnico scientifico ribadiscono la loro contrarietà all’allentamento delle misure restrittive e, anzi, invitano il governo in vista del nuovo Dpcm che entrerà in vigore dopo il 15 gennaio a mantenere i provvedimenti emergenziali per altri sei mesi.

L’impianto del nuovo provvedimento è comunque definito: verranno confermati il divieto di spostamento tra le regioni, anche quelle gialle, il coprifuoco dalle 22 alle 5, l’apertura dei ristoranti fino alle 18 nelle zone gialle, la regola che consente una volta al giorno a massimo due persone di andare a trovare parenti e amici. Con il Dpcm sarà poi introdotto il divieto di vendita d’asporto per i bar a partire dalle 18 (anche se nelle ultime ore si sa strada l’ipotesi di vietare solo la vendita di bevande) per evitare gli assembramenti e, soprattutto, l’intervento sugli indici di rischio, per facilitare l’ingresso in zona arancione delle regioni a rischio alto. Una misura che si accompagna all’abbassamento della soglia dell’Rt: con 1 si va automaticamente in zona arancione, con 1,25 in zona rossa. Modifiche che porteranno mezza Italia in arancione e una parte in rosso: ad oggi sono 12 tra regioni e province autonome in questa situazione, con Lombardia e Emilia Romagna nelle prime posizioni.

Fino al 15 gennaio

Fino al 15 gennaio 2021, nelle regioni in cui si applicano le misure di cui all’articolo 3 del Dpcm 3 dicembre (cd zona rossa), è altresì consentito lo spostamento, in ambito comunale, una sola volta al giorno, tra le ore 5:00 e le ore 22:00, verso una sola abitazione privata, nel limite di due persone, ulteriori rispetto a quelle già conviventi in tale abitazione, e ad esclusione dei minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale, e alle persone disabili o non autosufficienti che con queste convivono. Per i comuni con popolazione non superiore a 5000 abitanti lo spostamento è consentito anche per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.

Vediamo nel dettaglio cosa cambia per il mondo della ristorazione e del commercio al dettaglio.

 

BAR E RISTORANTI

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA” (7-8 GENNAIO)

  • Le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5.00 fino alle 18.00.
  • Dopo le ore 18,00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico.
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00 con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie).
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00.

 

 

ATTIVITÀ COMMERCIALI AL DETTAGLIO

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA “ (7-8 GENNAIO)

  • Negozi aperti

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Nei giorni festivi e prefestivi sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e dei centri commerciali, a eccezione delle farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole.

 

 

 


Sicurezza, pubblici esercizi virtuosi per il 92% degli italiani

I ristoranti sono luoghi sicuri, a confermarlo i loro stessi clienti. E’ quanto emerge da una recente indagine condotta da Format Research secondo cui per ben il 92% degli intervistati l’osservanza delle norme di sicurezza sanitaria da parte dei ristoratori è stata “molto o abbastanza” soddisfacente.
Esercenti virtuosi, dunque, in materia di norme anti-Covid. La tutela della sicurezza, dice la Fipe, è inoltre ai primissimi posti tra le motivazioni che inducono i consumatori a scegliere un posto piuttosto che un altro. L’aspetto più importante da valutare per il 47,4% dei consumatori è l’attenzione alle norme igieniche, a seguire ci sono il distanziamento dei tavoli (per il 35,2%), la dotazione di tavoli all’aperto (per il 34%), e l’attenzione al numero di persone all’interno del locale (per il 20%).

Ulteriore conferma arriva dall’analisi delle principali motivazioni che inducono a non mangiare fuori. A farla da padrone la paura del contagio per il 66,5% e la scarsa godibilità dell’esperienza dovuta alle rigide regole (per il 41,5%). Una larga parte degli intervistati, il 35%, non mangia più fuori a causa dello smart working.

”Bar e ristoranti sono luoghi sicuri sia per i clienti che per i lavoratori. Anche gli ultimi dati diffusi dall’Inail sui contagi da Covid-19 nei luoghi di lavoro, letti nel modo giusto, ne danno conferma. Al netto di un leggero e fisiologico aumento dell’incidenza dei casi nel settore del turismo dovuto ad effetti stagionali le attività di ristorazione restano tra i luoghi più sicuri. Come Federazione inoltre – conclude la Fipe – sosteniamo con convinzione la campagna a favore dell’utilizzo dell’app Immuni, che riteniamo possa essere uno strumento efficace per contrastare la diffusione del contagio. A questo proposito invitiamo tutti i nostri associati a esporre nei propri locali il QR code dell’app per consentire ai loro clienti di scaricarla”.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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I ristoranti di Brescia solidali ora hanno il marchio della “bontà”

I ristoranti e agriturismi etici di Brescia ora hanno il marchio della bontà. È nata “Brescia Buona. Il gusto dell’accoglienza”, una rete formata da dieci cooperative sociali attive nell’ambito della ristorazione e dell’accoglienza solidale. L’iniziativa è promossa da Fondazione ASM e ha l’obiettivo di far conoscere realtà che, lontano dai riflettori, ogni giorno mettono nel piatto una cucina di qualità che valorizza i prodotti e le ricette del luogo, un’ospitalità genuina e cordiale e il gusto dell’accoglienza e dell’inclusione sociale. Nei ristoranti e negli ostelli gestiti dalle cooperative che aderiscono alla rete lavorano infatti donne e uomini con difficoltà e condizioni di svantaggio sociale, che ogni giorno si mettono alla prova per crescere e trovare il proprio posto nella comunità. Il risultato è che la cucina è buona due volte, per il palato e per la comunità. Ogni ristorante è un laboratorio di sapori, la proposta spazia da piatti più veloci a menù sofisticati.
Per ora Brescia Buona è una vetrina virtuale che racconterà sul sito internet (www.bresciabuona.it) e sui social network i luoghi, le persone, le storie e le esperienze uniche che si nascondono dietro i ristoranti e gli agriturismi solidali del territorio bresciano.
Non appena l’emergenza Coronavirus e le necessarie limitazioni imposte a tutte le attività di ristorazione rientreranno, BresciaBuona diventerà anche un laboratorio di iniziative culturali, in chiave anche di promozione turistica per favorire la conoscenza di ciascuna realtà e del territorio in cui opera e attivare così un circuito virtuoso di crescita e sviluppo.

CHI PARTECIPA A BRESCIABUONA
Al progetto Brescia Buona hanno aderito 9 “Dimore del gusto” tra ristoranti e attività di catering solidale e 6 “Dimore dell’accoglienza” tra ostelli, alberghi e rifugi solidali, della città e della provincia. 

DIMORE DEL GUSTO

Cascina Parco Gallo
Via Corfù, 100 – Brescia
Tel. 334 1046966
cascinaalgallo@gmail.com
Cooperativa Alborea

Bar Trattoria Villa Glori
Via Villa Glori, 36 – Brescia
Tel. 338 7825951
monia.pluda@libero.it
Cooperativa Anemone

Bistrò Popolare
Via Industriale, 14 – Brescia
Tel. 340 2278334
bistropopolare@cooperativalarete.it
Cooperativa La Rete

CENTOTTANTA Cantina&Cucina
Via Enrico Mattei – Corte Franca
Tel. 347 1278891
centottanta@cascinaclarabella.it
Cooperativa Cascina Clarabella

Fattoria La Mirtilla
Via Vargne, 1 – Idro
Tel. 348 5593186
fattoria@coopcogess.org
Cooperativa Co.Ge.S.S.

Bistrot
Via A. De Gasperi, 3 – Sabbio Chiese
Tel. 328 6757651 – 0365 1870253
info@coopser.org
Cooperativa Coop. Ser

Ristorante Pizzeria Cascina Cattafame
Via Seriola, 62 – Ospitaletto
Tel. 349 5788924
pizzeria.cattafame@fraternita.coop
Cooperativa Fraternità Impronta

Ristorante Pizzeria Desenzanino
Lungolago Cesare Battisti, 1
Desenzano del Garda
Tel. 030 9128096
info@desenzanino.eu

Ristorante Il Circolino
Via S. Zeno, 83 – Desenzano del Garda
Tel. 030 9110775
Cooperativa La Cascina di Desenzano del Garda
 
DIMORE DELL’ACCOGLIENZA
 
Rifugio Antonioli
Passo del Mortirolo – Mazzo di Valtellina
Tel 338 7825951
rifugio.antonioli@libero.it
Cooperativa Anemone
 
Cascina Clarabella Agriturismo
Via Enrico Mattei – Corte Franca
Tel. 347 1278891
centottanta@cascinaclarabella.it
Cooperativa Cascina Clarabella
 
Ostello Villa dalla Rosa
Via Roma, 61 – Toscolano Maderno
Tel. 0365 641416
ostellovillarosa@fobap.it
FOBAP Onlus
 
Casa Vacanze Saoghe
S.P. 50, Km. 6 n°14 Marmentino
Tel. 334 6810758
casa.saoghe@fraternita.coop
Cooperativa Fraternità Impronta
 
Ostello Antica Pieve
Strada Provinciale, 39
Manerba del Garda
Tel. 0365 654488
info@ostelloanticapieve.it
Cooperativa Tempo Libero
 
Hotel Ristorante Miramonti
Via Panoramica, 96 – Gardone Riviera
Tel. 0365 20905
info@hrmiramonti.it
Cooperativa Tempo Libero

COSA SONO LA RISTORAZIONE E L’ACCOGLIENZA SOLIDALE

Affidarsi alla ristorazione di una cooperativa sociale non significa solo consumare un buon pasto, è un’esperienza etica e solidale.
Le cooperative che aderiscono al progetto si occupano di formare e di inserire nel mondo lavorativo della ristorazione e dell’accoglienza, attraverso l’impegno e la dedizione di altissime figure professionali del settore, persone svantaggiate: giovani e adulti con disabilità fisiche e psichiche, soggetti in trattamento per problemi psichiatrici o dipendenze, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, detenuti ammessi al lavoro all’esterno cui viene offerta una preziosa opportunità di formazione professionale come parte essenziale del percorso di reinserimento.
L’obiettivo che si pongono le cooperative è ambizioso. La tutela delle categorie protette è intesa come coinvolgimento attivo delle fasce più deboli della popolazione in progetti di ristorazione qualificati, proposti non come temporaneo ripiego ma come esperienze professionali in grado di proporsi al pubblico secondo standard non inferiori alla ristorazione comune.
La valorizzazione di aree territoriali, quartieri e spazi pubblici è promossa nel rispetto dell’ambiente, con una speciale attenzione ai prodotti e alle ricette del territorio, è la chiave perché l’impegno delle persone nelle esperienze di ristorazione solidale si sviluppi in armonia con la comunità che le ospita.
La ristorazione solidale costituisce dunque da un lato un indispensabile e troppo poco conosciuto presidio territoriale al fianco delle persone svantaggiate e delle loro famiglie, dall’altro un’esperienza imprenditoriale virtuosa e sostenibile, che produce ricchezza per il territorio senza consumarne le risorse, ma anzi moltiplicandole in uno spirito di condivisione e crescita collettiva.
Analogamente, l’accoglienza solidale è una tipologia di ospitalità costruita attorno alla persona e alle sue esigenze, nel segno della condivisione di esperienze, della scoperta del territorio e del rispetto per l’ambiente.
Negli ostelli e nei rifugi solidali i visitatori sanno di trovare location semplici e confortevoli e personale preparato e cordiale, in una forma di turismo consapevole che dà a persone svantaggiate l’opportunità di mettersi alla prova e crescere professionalmente.