Ecco, è già Natale: io non ci faccio mai caso, al maledetto tempo che passa, finché gli anni non me li ritrovo sul groppone. Stavolta, però, faccio in tempo a farvi gli auguri: certo, dato il vostro esiguo numero, gentili lettori, stupende lettrici, forse farei prima a farveli personalmente, uno per uno. Ma sono qui, nel mio studio, davanti al computer, e non posso tirarmi indietro: qualcosa di un po’ intelligente me lo devo inventare. Intanto, vi auguro pace e felicità: ma a fare quello sono capaci tutti, in fondo. E, poi, vorrei farvi un augurio un tantino più mirato, meno mielosamente generico. Vi auguro di svegliarvi in un Paese normale. Ecco, vi auguro un anno di tranquilla, rilassante, normalità. Siamo stati oberati di idiozie, di capziose distinzioni, di criminali generalizzazioni, al punto da domandarci se si possa ancora aspettare Babbo Natale o ci si debba chiedere se si tratti di un babbo, di una mamma o di uno struzzo. Mamma Natale, Babba Natale, Mammo Natale: l’onomastica fa fatica a stare dietro ai ghiribizzi e, talora, alle psicopatologie linguistiche, di certa gente. Così, quale che sia il nome assunto da Santa Klaus, vi auguro davvero che vi porti una ventata, anzi una tramontana di buon senso. E che torniamo ad essere, lo ripeto, normali. Un posto in cui le persone lavorano per vivere e per mettere via due soldini per il proprio futuro, non per pagare le tasse e per ingrassare un esercito di parassiti: sono stanco di vedere la mia gente far girare la macina, come un mulo fottuto di fatica, col paraocchi ed i fianchi scavati e sanguinosi per le bastonate del padrone.
Vorrei che potessimo dire quel che pensiamo, senza le bubbole e le finzioni dei social network: che tornassimo a parlarci, come si fa tra gente perbene, pianamente, semplicemente. E che chi sbaglia paghi e chi merita venga premiato. Che non ci siano ministri che millantano lauree e laureati che non trovano lavoro: questo vorrei per noi tutti, e molto altro. Vorrei che i nostri figli avessero speranze piccole e felici: non sogni miliardari e delusioni gigantesche. Mi piacerebbe che Bergamo tornasse ad essere un pochino quella che era quando io ero un ragazzo: non tornare indietro, ma andare avanti, in direzione di una civiltà e di una serenità che non conosciamo più da troppo tempo. E ci siamo talmente abituati a questo modo di vivere che, purtroppo, non ci si fa più caso: ci siamo rassegnati ai furti in casa, al degrado, alla sporcizia, ai mendicanti, agli spacciatori. Così, io vi auguro di non perdere la voglia di arrabbiarvi per quello che ci stanno facendo, per come ci stanno riducendo. Natale è una festa soprattutto per i bambini: gioite come i bambini, ma arrabbiatevi come i bambini. Come fanno i bambini di fronte ad un’ingiustizia o a un torto, senza pensare alle conseguenze, a cosa dirà la gente, a dove va la corrente.
Io vi auguro di arrabbiarvi, gentili lettori, stupende lettrici: vi auguro un Natale in cui la tristezza e la noia lascino il posto allo sdegno e all’ira. Perché mi piacerebbe vedere cacciare i mercanti dal tempio: tutti i mercanti da tutti i templi. Farla finita con le menzogne, con gli imbrogli, con i ricatti, non è poi così difficile: basta avere il coraggio di dire che il re è nudo. Che il ministro tale è un imbecille, che l’assessore talaltro è un ruffiano: la verità va gridata, non sussurrata tra pochi intimi. Io vi auguro un anno di coraggio, cari lettori. Perché la nostra Patria non ce la fa più: perché la ripresa è soltanto l’ennesima bugia televisiva. La ripresa siamo noi: dobbiamo riprenderci le nostre vite e le nostre città, questa è l’unica ripresa possibile. E, per farlo, bisogna fare pulizia: cacciare questa generazione di governanti imbolsiti ed incapaci, tutti con le medesime cravatte, le stesse facce flaccide, lo stesso sguardo da servitore scaltro, destra, sinistra e centro. Io, dunque, vi auguro un anno di pulizia: di cambio di lenzuola.
Avrei dovuto scrivere qualcosa di un po’ intelligente e, invece, eccomi qui a scrivere le solite stupidaggini che vi infliggo da tanti anni: questa è la 317a volta che mi metto davanti al computer, nel mio studio, e apro il file “La Rassegna”. Ma io sono un cretino seriale: non demordo dalla mia guerra da fesso. Solo non mi capacito come il mio caro Direttore, che è un amico e a cui auguro veramente tutto il bene possibile, riesca ancora a sopportarmi. E’ Natale, ed io non sono più buono, ma, di sicuro, sono un po’ più incline alla malinconia: vorrei ringraziare tutti, per l’immeritata stima che mi è stata concessa. In definitiva, vi auguro di avere la stessa fortuna che ho avuto io: sono stato molto fortunato nella vita, e so di non aver fatto nulla di speciale per meritarmelo. Ma la fortuna, lo so bene, non basta: per questo, l’ultimo augurio che vi faccio, gentili lettori, stupende lettrici, è quello di sempre. Non siate affamati, non siate pazzi: quello va bene per i tycoon americani e per gli articoli del Sole 24 Ore. Siate umani, siate caritatevoli, siate implacabili. Buon Natale.