Bernardo Bortolotti, professore associato di Economia presso l’Università di Torino e direttore del Sovereign Investment Lab presso il Centro Paolo Baffi sulle Banche Centrali e sulla Regolamentazione Finanziaria all’ Università Bocconi, ha vivacizzato il dibattito che lo vedeva protagonista a fianco di Serge Latouche al Bergamo Festival. Invitato dal moderatore Marco Marzano, sociologo del’Università di Bergamo, a portare la sua visione dell’economia, l’autore di “Crescere insieme per un’economia giusta” ha risposto al teorico della decrescita, con alcuni dati, non senza una vicinanza alla denuncia di Latouche di crescenti disuguaglianze: «Non è vero che non vi è crescita. Ad esempio, l’economia americana sta crescendo e dal 2009 ha guadagnato 9/1o punti. Ma si tratta di una crescita fortemente legata al tema delle disuguaglianze, che vede la concentrazione del 95 per cento del PIL nelle mani dell’1 per cento della popolazione. Il problema del nostro paradigma economico è quello della crescita associata alle disuguaglianze. Bisogna cambiare paradigma. Gli economisti dicono che non si muore di disuguaglianza ma dì povertà ; in realtà la società muore proprio di disuguaglianza. E’ il divario economico il male da curare, quella crescita che crea disuguaglianza».
In Europa tra il 1945 e il 1975 abbiamo avuto trent’ anni di crescita, ma anche di diminuzione delle disuguaglianze, con società più ricche ma anche più eque. Si può tornare alle vecchie ricette keynesiane ?
“Le condizioni eccezionali degli anni Cinquanta sono anche dovute alla devastazione di una guerra mondiale, che livella sempre, distrugge patrimoni e crea scompigli negli asset. Ora siamo in piena guerra culturale ed economica. In quegli anni gli Stati funzionavano, i rendimenti erano crescenti ed era forte come non mai il desiderio di entrare nella società dei consumi. Gli Stati per agevolare il percorso imponevano politiche fiscali di natura progressiva e funzionavano. Oggi i Governi sono come secchi bucati che prelevano soldi da tutti che non riescono a redistribuire. I problemi di oggi hanno una natura sovranazionale ed è impossibile oggi pensare ad un modello come quello keynesiano del dopoguerra. La crisi non è congiunturale ma profonda e culturale. È come essere in auto da otto anni con un navigatore che continua a ripetere che sta ricalcolando il percorso. Di fronte all’impoverimento dell’economia gli economisti sembrano aver clonato tutti gli strumenti della fisica per metempsicosi : se sei stato un bravo economista sei un fisico, sennò se sei uno studioso cattivo sei un sociologo. Oggi si fatica a cogliere la dimensione- globale- dei problemi. E gli economisti continuano a riproporre gli stessi modelli. Ho ancora in mente un discorso di un economista del calibro di Robert Lucas nel 2003, quando annunciò che la macroeconomia, nata come reazione alla depressione, nella storia ha sempre avuto successo, dato che ha risolto tutti i problemi…”
Quali sono le azioni da intraprendere per un’economia più giusta?
“Non ho, a differenza di Latouche, un vero e proprio manifesto. Certamente il cambiamento è un processo che deve partire dal basso e dal profondo. Bisogna ricucire e ricostruire, ripartire da Adamo, nel senso di Adam Smith. Uno dei padri dell’economia, prima di scrivere “La ricchezza delle nazioni” scrisse nel 1759 “La teoria dei sentimenti morali”. L’uomo, sosteneva, è partecipe della felicità altrui, anche se non ne ricava alcun benessere immediato. L’empatia appartiene all’essere umano, come mostrano gli studi sui neuroni- specchio, unitamente a sentimenti di comunione e solidarietà. Il cervello ha una parte emotiva, mentre l’uomo economico è tutto razionalità e zero sentimenti. L’empatia non solo esiste , ma è provata dalla scienza. La vera sfida è trasformarla in obiezione al sistema e alle logiche dominanti”.
I consumi stanno cambiando?
“La società dei consumi sta cambiando, non sempre solo per necessità ma anche per scelta. Assistiamo a nuovi cicli di preferenze, oltre che ad una riscoperta delle dimensioni di convivialità e socialità. Le iniziative di maggior successo hanno alla base la condivisione. Io credo che alcune modifiche nei comportamenti dei singoli, quindi dei cambiamenti endogeni , non possano che rendere più marginale l’apporto dello Stato”.
Esistono degli esempi di umanizzazione dell’ economia?
“La Big Society proposta da David Cameron va senz’altro in questa direzione. In un contesto inglese dai mille limiti, un certo appeal c’ è, come testimonia la recente vittoria elettorale. Per ora si tratta di una promessa, ma la devoluzione di alcuni servizi non può che essere un primo fondamentale passo in questa direzione. La responsabilizzazione della comunità nella gestione dei servizi pubblici crea un profondo senso di condivisione. La Germania tiene più di noi perché esiste la co-determinazione delle aziende. I rappresentanti dei lavoratori siedono nel cda delle grandi e medie aziende con pari diritti degli azionisti: per legge tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, eleggono non solo il consiglio sindacale di fabbrica ma anche i loro rappresentanti nei consigli direttivi delle imprese. La Germania insegna come sia giusto fare cose insieme. Il mondo della finanza è invece, comunque lo si guardi, aberrante, nonostante regga le fila di tutto. L’ indice delle banche Libor è colluso da sistemi bancari a scapito dei risparmiatori, come del resto ha mostrato la recente penalizzazione di Deutsche Bank. L’unico motore dell’Unione Europea è la Bce, quando esiste invece una cultura europea adagiata nel Medioevo. Lo spirito europeo e la comunione degli Stati dovrebbe essere l’unico vero collante dell’Unione.