Il presidente di JRE Italia racconta la professione agli aspiranti chef e ristoratori del futuroI trucchi e i segreti per chi vuole avvicinarsi al mondo della ristorazione nelle sue diverse sfumature, attraverso il racconto appassionato di giovani grandi chef. La nostra rivista, grazie alla collaborazione con la prestigiosa associazione JRE– Jeunes Restaurateurs Italia, ha scelto di dedicare una rubrica ad alcuni tra i più giovani e rappresentativi chef dell’alta ristorazione, accomunati dall’amore per la cucina e dal desiderio di condividere esperienze e valori, ma soprattutto di raccontare la professione ai ristoratori del futuro. JRE è un’associazione fondata sulla ricerca, sull’eccellenza e sullo scambio continuo quale fonte di crescita. Nata in Francia nella metà degli anni Settanta, conta più di 400 ristoranti affiliati, distribuiti in 16 paesi, rappresentanti di altrettante esperienze e interpretazioni culinarie: Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Germania, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Bulgaria e Regno Unito. La compagine italiana, oggi composta da 82 chef, è guidata dallo chef Alberto Basso, titolare del Ristorante Trequarti a Val Liona, tra i Colli Berici in provincia di Vicenza. E parte proprio da qui, da una piacevole chiacchierata con il presidente nazionale, la prima intervista ai giovani chef.
Classe 1984, lo chef Alberto Basso ha studiato all’alberghiero, ma è alla grande scuola di cucina di Nicola e Pierluigi Portinari a La Peca, 2 stelle Michelin, a Lonigo, in provincia di Vicenza, dove ha esplorato e conosciuto in tutte le partite il fine dining. Entrato in punta di piedi come stagista è presto diventato commis e poi capopartita ai primi e ai dolci. A 23 anni ha scelto di diventare imprenditore di se stesso come chef a domicilio, per poi aprire nel 2010 il suo ristorante.
Quando nasce l’idea di fare lo chef?
Ho scelto un anno difficile e complicato per aprire un’attività, certo magari non quanto chi dieci anni dopo ha aperto per poi chiudere con il lockdown, ma la voglia di darsi da fare e mettersi in gioco era davvero tanta ed era qualcosa che avevo nel cuore. I sogni vanno inseguiti sempre, ma a piccoli passi. Perché magari si sogna in grande e si rischia di fare il passo più lungo della gamba. Bisogna essere concreti e a volte ridimensionare un po’ il progetto. In questo mi hanno aiutato i miei genitori, ragionieri entrambi, che mi hanno dato una grossa mano nella gestione economica. Senza passione però non si va da nessuna parte: devo sempre ringraziare in questo La Peca, dove ho iniziato a conoscere davvero la cucina e a innamorarmi di questo mestiere. Ho avuto la fortuna di entrare in questo tempio della gastronomia a 14 anni per ritrovarmi poi subito con una loro offerta di lavoro dopo il diploma.
Lei sfrutta al massimo con tecniche di cottura innovative i prodotti locali ma la sua ricerca delle migliori materie prime spazia in tutta Italia. Quale è la caratteristica della sua proposta?
Mi incontro e mi scontro quotidianamente con la mia materia, il cibo, alla quale mi avvicino sempre con grande curiosità e riguardo. Sono un operaio, con le mani lavoro gli ingredienti alla continua ricerca di combinazioni sensoriali che esaltino il sapore di ogni singolo elemento. Mi piace definire la mia cucina pop, giocosa e divertente, fatta di piatti contemporanei , concreti e ludici al tempo stesso. La vita è piena di stress, ansia e noia. Due ore al ristorante passiamole tra gusto, sorpresa, svago e gioco. Penso al mio dessert “Uova e asparagi”, dove l’ortaggio è candito e l’uovo è ricreato con una namelaka di cocco con tuorlo di mango e frutto della passione. Attualmente in carta c’è “Dolcetto o scherzetto”, un gioco come piccola pasticceria per i commensali, fatto di tante scatolette con dolci sorprese o scherzetti, dal ragno in plastica ad altre piccole e innocue burle.
Da giovane ai giovani, qual è il primo consiglio per chi vuole intraprendere questa carriera?
Da me non sentirete mai sottolineare i soliti sacrifici che la professione richiede. Ha orari spesso impossibili e si lavora sodo, ma non può esistere solo il lavoro e lo dico da veneto. Ci vuole un equilibrio: per questo da anni siamo aperti solo a cena, domenica e lunedì salvo eventi particolari siamo chiusi e il Natale si passa in famiglia tra ricette di casa e regali da scartare. E credetemi che è possibile: si lavora e si vive meglio. Ai giovani, da ormai quarantenne, raccomando una cosa innanzitutto: continuare a sognare e a vivere il proprio sogno. Resistere e non mollare al primo problema. Non ascoltare mai chi dice che è impossibile. Gli alti e bassi ci sono sempre. Ma come si dice in Veneto: un alto e un basso fa un guaivo.
Un detto, questo, altamente filosofico nella sua lagunare e Serenissima semplicità: se una volta va bene (un alto) e una volta va male (un basso), si può parlare di compensazione (guaivar, uguagliare). Il positivo e il negativo, quindi, pareggiano.
credit photo: Lorenzo Moreni