Montagna, gli albergatori sorridono anche se manca la neve

La mancanza di neve non ha tenuto lontani gli amanti della montagna dalle Valli Bergamasche. Il Capodanno vedrà il pienone di turisti e le località sono all’insegna del tutto esaurito fino ai primi giorni dell’anno, salvo disdette dell’ultimo minuto. Merito anche dell’emergenza polveri sottili che spinge molte persone a lasciare la città per respirare aria buona. Gli albergatori parlano addirittura di prenotazioni in aumento, rispetto all’anno scorso, anche se la tradizionale settimana bianca quest’anno ha lasciato il posto a soggiorni più brevi.

«Le prenotazioni sono di 3-4 giorni e sono per lo più di famiglie, che è il target di riferimento invernale in Valle Seriana – dice Massimo Ferrari dell’Albergo Aurora a Castione della Presolana -. Al Monte Pora hanno fatto un miracolo. Certo non c’è il fuori pista, ma le piste sono battute e i turisti sono contenti. Avevamo fatto i conti con il fatto che la neve poteva non esserci. I commercianti hanno allestito i gonfiabili per fare giocare i bambini e il tempo buono permette di andare in giro». «Noi siamo pieni – aggiunge -. Credo che abbiano pagato la cura che dedichiamo alla cucina, le buone recensioni sui motori di ricerca e i servizi che diamo per i bambini. Abbiamo accolto le richieste che ci venivano fatte dalle famiglie e ci siamo caratterizzati come albergo dei bambini. A Capodanno una sala intera sarà dedicata a loro. Bisognerebbe caratterizzarsi ancora di più in questo senso, il discorso baby sitting è da riportare in auge».

Anche il bilancio dell’Hotel Milano di Castione della Presolana è positivo: «Le belle giornate di sole hanno compensato l’assenza di neve – afferma Fabio Iannotta -. Sono previste nevicate per il prossimo weekend ed è una manna dal cielo, ma la le prenotazioni stanno andando comunque molto bene. Noi siamo al completo fino al 4 gennaio. L’offerta termale è un punto di forza ma abbiamo ospiti che si stanno divertendo a fare passeggiate che di norma si fanno solo d’estate. La natura da un lato ci ha penalizzato ma dall’altro, offrendo queste bellissime giornate, ci ha fatto un regalo».

Stesso scenario a Foppolo. Dice Gianfranco Invernizzi dell’Hotel Des Alpes: «Non ci si aspettava quest’anno eccezionale dal punto di vista climatico. Il soggiorno lungo ha registrato molte disdette. Chi doveva fare una settimana fa solo due giorni, chi tre solo due. I turisti che non sciano si consolano facendo passeggiate».

San Pellegrino Terme punta sull’offerta del soggiorno termale e non fa rimpiangere le vette «Noi abbiamo le Terme. Abbiamo sempre contato poco sulla neve – spiega Giorgio Zilli dell’Albergo Ristorante Papa -. Non facciamo miracoli ma un certo movimento c’è. Per Capodanno siamo al completo già da tempo. A Sant’Ambrogio abbiamo lavorato bene grazie ai ponti. Rispetto al poco che si faceva gli altri anni, quest’anno sta andando bene». «Ci stiamo salvando con le terme – gli fa eco Paolo Scanzi dell’Albergo Centrale -. Siamo al completo fino al 3. Molto molto meglio dell’anno scorso».

Dopo il primo gennaio, se non sopraggiunge la neve, si viaggerà a vista. Ma i turisti che in questi giorni affollano le località montane pare non la rimpiangano più di tanto, grazie alla natura incontaminata delle valli.


Ascom, uffici riaperti nella sede rinnovata di via Borgo Palazzo

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Gli uffici di Bergamo dell’Ascom dal 4 gennaio 2016 riaprono nelle sede storica, ora completamente ampliata e rinnovata, di via Borgo Palazzo 137.

Durante le festività natalizie si è svolto il trasloco dalla struttura di via Borgo Palazzo 154 (ex Una Hotel), in cui l’Ascom si è insediata provvisoriamente dal settembre 2014, ai nuovi uffici che si sviluppano su tre piani, oltre al piano terra dove sono collocati la reception, l’area amministrativa, i Servizi gestionali, l’area tecnica amministrativa, il Ced e la Fogalco.

Al primo piano trova spazio l’area Politiche del lavoro e paghe, al secondo l’area Fiscale e Tributario e al terzo la Direzione con la redazione de La Rassegna.

Riaprono il 4 gennaio anche le delegazioni di Albino, Calusco, Treviglio, Zogno e Trescore. Mentre gli uffici di Clusone, Lovere, Sarnico, Osio Sotto e Romano di Lombardia sono aperti dal 7 gennaio 2016.


Consumi, a Bergamo si conferma la ripresa. Malvestiti: «Attese positive anche per i saldi»

Dopo sette Natali all’insegna della crisi, i segnali di ripresa sono confermati. «È stato un buon dicembre – afferma Paolo Malvestiti, presidente dell’Ascom di Bergamo -. Dopo diversi anni e mesi di stasi nei consumi, questo mese si chiude con un segno positivo, superiore rispetto alle aspettative. Anche le vendite natalizie sono state buone».

Il dicembre 2015 per il commercio bergamasco si chiude con un 6% in più rispetto alle scorso anno, una crescita che è andata oltre le aspettative e le previsioni fatte sia a livello locale che nazionale da Confcommercio, «è tornato un clima di fiducia, lo si vede sulle facce di chi entra in negozio e ha voglia di spendere, sempre con un’attenzione al rapporto tra qualità e prezzo – continua Malvestiti -. La ripresa c’è stata in molti settori, a partire dall’alimentare, che ha registrato un andamento molto positivo, confermato nell’approssimarsi della Vigilia. Quest’anno a vincere sulle tavole del Natale sono state la qualità e la tradizione del made in Italy». Il settore alimentare è infatti tornato a crescere, con un +2% rispetto allo scorso anno. Segno più anche per l’abbigliamento. «Anche il mondo dell’abbigliamento conferma la sua crescita di qualche punto rispetto allo scorso anno. Complice il clima mite di queste festività natalizie, i bergamaschi si sono indirizzati soprattutto sulla maglieria, sulle calzature, sull’accessorio e sul “piccolo pensiero”», evidenzia il presidente. 

Il bel tempo di questi giorni ha un effetto a doppia faccia: nei centri storici e nell’hinterland le belle giornate hanno invogliato ad uscire a fare acquisti, mentre la mancanza di neve in montagna ha fatto registrare la cancellazione delle prenotazioni degli appassionati dello sci.

Dopo Natale, l’attesa dei commercianti è concentra sul 5 di gennaio, data di avvio dei saldi di fine stagione. «Dal 5 gennaio prendono il via saldi – spiega Malvestiti –. E i dati positivi di dicembre fanno ben sperare i nostri commercianti. Le otto settimane sono occasioni importanti per l’acquisto di articoli più importanti come capospalla, giacconi e abiti da uomo».

Le regole dei saldi

Nei due mesi di saldi cinque sono i principi che i commercianti sono chiamati ad osservare, cinque regole di trasparenza e di correttezza pensate per la tutela della concorrenza e del cliente relative a cambi, prova capi, pagamenti, tipologia dei prodotti in vendita e indicazione dei prezzi.

  1. Cambi: la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (art. 1519 ter cod. civile introdotto da D.L.vo n. 24/2002). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.
  2. Prova dei capi: non c’è obbligo. È rimesso alla discrezionalità del negoziante
  3. Pagamenti: le carte di credito devono essere accettate da parte del negoziante qualora sia esposto nel punto vendita l’adesivo che attesta la relativa convenzione. Inoltre è previsto l’obbligo di accettazione dei pagamenti tramite bancomat e carte di credito sopra i 30 euro
  4. Prodotti in vendita: i capi che vengono proposti in saldo devono avere carattere stagionale o di moda ed essere suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo. Tuttavia nulla vieta di porre in vendita anche capi appartenenti non alla stagione in corso.
  5. Indicazione del prezzo: è obbligo del negoziante indicare il prezzo iniziale di vendita e lo sconto in percentuale, è facoltà, ma consigliabile, indicare anche il prezzo di vendita ribassato, mentre è vietato indicare qualsiasi altro prezzo.

Le violazioni alla norma sulle vendite straordinarie saranno punite con sanzioni amministrative da 500 a 3.000 euro, secondo la legge regionale 9/2009.


L’INTERVENTO/ Fusini: «Limitazioni inutili, nessun confronto e tanta demagogia»

Due indizi costituiscono una prova. Almeno in questo caso e in modo eclatante. In materia ambientale avevamo già intuito con la prima ordinanza del Comune di Bergamo, quella del 9 dicembre che istituì il divieto delle porte aperte per i negozi, che su questo tema dell’aria questa Amministrazione avesse poche idee e anche confuse mentre era decisa nel prendere provvedimenti senza consultare nessuno.

Ora l’ultima ordinanza di ieri, quelle delle targhe alterne in città conferma l’intuizione.

Non è in discussione il problema. Che la qualità dell’aria sia pessima e che esista un serio problema di salvaguardia della salute delle persone siamo tutti d’accordo. La nostra Associazione ritiene che l’ambiente sia fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e che l’inquinamento sia nemico di commercio e turismo in città e provincia.

Quest’anno le condizioni climatiche hanno creato una situazione senza precedenti per presenza di polveri sottili e aria inquinata che permane da quasi un mese.

Che si debba lavorare nell’emergenza più di altre volte è fuori discussione, peccato che si sono sprecati mesi senza fare nulla per contenere questi disagi. Mentre infatti la precedente Amministrazione aveva creato un tavolo di confronto anche con le associazioni che aveva condiviso le chiusure della città (poche) e qualche buona iniziativa come il marchio camerale del “negozio sostenibile” evitando chiusure inutili e costose e tanta demagogia, questo assessore in un anno e mezzo non l’abbiamo nemmeno conosciuto.

Ma il problema non è solo di metodo. Perché è inutile negarlo che questi giorni e i primi dell’anno saranno fondamentali per la tenuta del commercio della città e un’ordinanza come quella delle targhe alterne rischia di fare più danni dei benefici, praticamente nessuno, che può portare.

Se non ci aspettiamo che il Comune possa risolvere un problema che è strutturale e che riguarda un territorio molto ampio, l’intera Pianura Padana, sul quale possono e devono agire il Governo e la Regione in modo coordinato, ci aspettiamo almeno che si evitino ordinanze comunali farlocche, criticate dagli stessi sindaci dei comuni limitrofi.

Il risultato non tarderà ad evidenziarsi.

Oggi Bergamo alle 11,30 era praticamente deserta, mentre abbiamo saputo che i principali centri commerciali erano pieni. C’era da aspettarselo. Perché Bergamo ha queste qualità e difetti a seconda di chi li guarda e cioè che i bergamaschi vanno dove sono comodi mentre l’offerta commerciale nella cintura della città è senza uguali per i consumatori. Basta quindi poco per dirottare i clienti dal centro città ai centri commerciali. Quello che sta facendo e che farà questa ordinanza delle targhe alterne nei prossimi giorni. Noi preferiremmo che la competizione avvenisse ad armi pari e cioè con il libero accesso alla città, magari con il parcheggio gratuito (ma sarebbe forse utopia).

Se il danno resta per oggi e domani (29 e 30 dicembre), la nostra associazione chiede che l’ordinanza sia ritirata almeno per i giorni 4 e 5 gennaio dove scrivendo l’ordinanza ci si è dimenticati clamorosamente che il 5 è la data ufficiale per l’avvio dei saldi.

In quei giorni non sono solo in gioco l’orgoglio delle associazioni e dei commercianti ma la sopravvivenza stessa di molti esercizi di una città che dovrebbe cercare rilanciarsi invece che deprimersi.

Per questo l’ordinanza va revocata. Piuttosto, e lo dico provocatoriamente, sarebbe meglio chiudere in quei giorni alla circolazione l’intero centro città e dare un messaggio di grande isola pedonale disponibile per l’avvio dei saldi.

Speriamo non sia più facile sperare in una bella nevicata di fine anno che ci salvi dall’aria malsana e dalla confusione.

direttore Ascom


Targhe alterne, «un colpo basso al commercio». L’Ascom chiede al Comune di fare retromarcia

«Flussi di traffico decisamente ridotti e pochi veicoli con targa pari sulle strade», così, in un comunicato stampa, il Comune di Bergamo ha fotografato la prima delle quattro giornate a targhe alterne in città, secondo l’ordinanza emanata il 28 dicembre, che ha introdotto la limitazione nei giorni 29 e 30 dicembre, 4 e 5 gennaio 2016 su tutto il territorio comunale per gli autoveicoli, i motoveicoli e i ciclomotori, dalle 7.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.30.

Quello che però per l’Amministrazione è un successo, per i commercianti è un intervento a gamba tesa, senza se e senza ma. Perché in giorni ancora cruciali per le vendite, quelli favoriti dalle vacanze natalizie e dai festeggiamenti per il Capodanno, prima, e dall’avvio dei saldi, poi, fissato il 5 gennaio, la città viene di fatto percepita come off limits. Oggi, infatti, pare che pochi abbiano approfittato della possibilità di avere a disposizione una città mezza vuota – con traffico più che scorrevole ed estrema facilità di parcheggio -, preferendo di gran lunga dirigersi verso i centri commerciali, che non fanno distinzione di targhe e orari.

Al danno si aggiunge la beffa di un provvedimento d’emergenza dall’effetto non precisato sulla concentrazione delle particelle inquinanti, Pm10 (a Milano, ad esempio, i valori sono stati più alti dopo l’entrata in vigore il blocco del traffico). «L’ordinanza fa più danni di quelli che vorrebbe risolvere – commenta il direttore dell’Ascom Oscar Fusini -. Siamo d’accordo sul fatto che il problema della qualità dell’aria sia di importanza fondamentale, ma non è con misure estemporanee e di dubbia efficacia che si può affrontare. Il sacrificio dei negozi cittadini sarebbe stato accettabile a fronte di un qualche risultato certo».

Hanno più senso azioni concordate e da questo punto di vista l’Associazione ricorda la strada intrapresa con l’amministrazione Tentorio con la quale erano state concordate alcune giornate festive di chiusura al traffico ed era nato il progetto Sono Sostenibile, realizzato dalla Camera di Commercio e finalizzato a premiare i comportamenti virtuosi sui temi ambientali da parte dei negozi invece che sulle mere sanzioni (vedi ordinanza del 9 dicembre sul divieto di lasciare aperte le porte). «A più un anno e mezzo dall’insediamento della nuova Giunta – ricorda Fusini – non abbiamo invece avuto ancora il piacere di essere chiamati ad un confronto dall’assessore all’Ambiente Ciagà».

La richiesta dell’Associazione di categoria è chiara quanto l’analisi: «Fare retromarcia sulle targhe alterne del 4 e 5 gennaio, giorni dell’avvio dei saldi e per questo determinanti per il commercio – dichiara il direttore -. I negozi della città non possono rimanere spiazzati da un provvedimento così penalizzante e raffazzonato». C’è anche un’alternativa, «che può sembrare una provocazione, ma non lo è: realizzare una grande isola pedonale per favorire lo shopping, a questo punto potenziando i servizi pubblici e l’accessibilità».


Treviglio, l’ex bancario che alleva lumache

GiamPrimo Riva- allevatore lumache  TreviglioPer i francesi, le escargot sono un vanto della loro raffinata cucina. Noi italiani le abbiamo considerate per anni una leccornia, mentre oggi le lumache sembrano essere un cibo meno gradito. Ciononostante, nella Bergamasca c’è chi ha puntato sull’elicicoltura, o allevamento a ciclo biologico completo dei molluschi da terra. A Treviglio, infatti, a febbraio dello scorso anno è nata la Lumacheria del Cerreto, ideata dallo spirito imprenditoriale di GianPrimo Riva, bancario in pensione e buongustaio doc.

«La mia intenzione è portare nel piatto un’eccellenza, un prodotto controllato e non importato dall’Est Europa e dal Maghreb, come spesso accade nei mercati», spiega il neo agricoltore che offre un prodotto selezionato per la gastronomia e completo di etichettatura.

Riva possiede un ettaro di terreno in via Canonica, accanto alla Cascina Pelesa. Di questi, tremila metri sono stati destinati alla sua nuova attività e suddivisi in sette recinti: cinque per la riproduzione e due per l’ingrasso delle chiocciole. La varietà è la Helix Aspersa, detta Vignaiola, dal guscio solido e screziato. Dai 15mila esemplari iniziali si è arrivati ad allevarne 300mila nella covata. Da adulte, le lumache arrivano a pesare dai 12 ai 14 grammi ciascuna, 9 asciugate. Ora hanno trovato riparo sotto la terra per il letargo e la raccolta, stagionale da maggio a settembre, si attesta sui 20 quintali. La differenza con le sorelle selvatiche, la cui caccia è vietata in Lombardia dal primo marzo al 30 settembre, sta nella qualità dell’alimentazione. «Una lumaca in libertà può mangiare di tutto, dalle erbe amare che si riflettono nel suo sapore ad altre per noi velenose», spiega Riva. I suoi molluschi si nutrono di insalata, cavolo cavaliere, bietola da taglio, girasole. Ma sono anche ghiotti di verdure e frutta zuccherine come carote e mele e, d’estate, anguria e melone. L’agricoltore deve fare i conti con la moria della specie, pari al 20% del totale. I nemici principali, in inverno, sono i topolini che faticano a trovare cibo e lo stafilino, un insetto che entra nel guscio e le consuma.

allevamento lumache - TreviglioPrima di essere vendute, le lumache vengono riposte nelle cassette dove sono fatte spurgare e asciugare per quindici giorni. A richiederle sono privati, ristoranti e organizzatori di feste patronali. Le ricette sono moltissime: ci sono gli spiedini di lumache lessate alternate a scalogno e salvia, possono prestarsi come ingrediente principale per fondute, frittate, primi come spaghetti o risotti. C’è chi le gusta fritte, trifolate, in salsa verde, in zimino o in gelatina, meglio se accompagnate da vino bianco secco o rosato, come per il pesce. La Lumacheria del Cerreto conferisce parte del suo prodotto all’industria di lavorazione di Cherasco nel Cuneense per ottenere vasetti al pomodoro, al naturale o con spinaci e speck.


Stezzano, le merende “floreali” di Fiammetta e Roberto

Fiori a merenda - Stezzano - Fiammetta Dose e Roberto CarissoniI coniugi Fiammetta Dose e Roberto Carissoni non volevano aprire un bar tradizionale e amavano le sfide. Così sei anni fa hanno dato vita, a Stezzano, a “Fiori a merenda”, un laboratorio-bottega floreale (fiori, al piano di sotto) e un raffinato salotto caffè/merenda (al piano superiore). Il locale è una piccola chicca nel mondo dei pubblici esercizi della provincia di Bergamo e una sorpresa inaspettata per chi ci capita. «Abbiamo aperto nel periodo peggiore degli ultimi vent’anni anni – dice Fiammetta -. Io vengo dalla capitale e ho viaggiato molto, ho capito che la specializzazione è fondamentale. Aprire la stessa cosa che è presente nelle vicinanze non ha nessun senso».

Fiammetta amava i fori e aveva fatto dei corsi per conoscerli, suo marito Roberto aveva lavorato nella ristorazione e gestito con altri soci un bar, così pensarono di unire queste due passioni. «I clienti da noi trovano le stesse cose che trovano negli altri bar ma ricevono qualcosa in più, una coccola. Siamo una sorta di spa del buonumore – spiega Fiammetta -. All’inizio i clienti rimangono spiazzati, ma poi capiscono che queste attenzioni hanno un senso e ritornano. Non è più il momento di prendere in giro le persone, soprattutto se c’è da spendere qualche euro in più».

La cura per i dettagli e la ricerca della qualità si colgono nel modo in cui Fiammetta e Roberto scelgono e presentano le loro piante, nell’arredo retrò della sala da tè e nella raffinatissima proposta al bar. Oltre alla caffetteria più classica, si trova un’ampia scelta di tè e tisane, da quelle più classiche e immancabili, ai tè aromatizzati: il tè verde al cocco, all’ananas, allo zenzero, e il tè alle violette, un cult per i frequentatori del locale. Tutti sono serviti in tazze floreali, una diversa dall’altra, e con una camera di vetro dove il liquido rimane sospeso. Da provare anche il cappuccio al tè verde matcha giapponese. Fiammetta prepara i croissant e le torte nel laboratorio durante la pausa pranzo (dalle 12.30 alle 15.30 il bar è chiuso), con gli ingredienti di stagione: da non perdere, la caprese al cioccolato con fave di mandorle, la cheesecake, la torta con i semi di papavero e variegato al ribes rosso e i biscotti (anche bio e senza glutine).

fiori a merendaNon manca una proposta di vini e cocktail per la pausa aperitivo. «Prima di proporre nuovi prodotti ai clienti assaggiamo sempre noi – dice -. Non darei mai qualcosa che non mi piace o di scarsa qualità. Quando porto al tavolino il tè spiego sempre da dove viene, come è fatto e lo stesso faccio con le torte».

Il bar è lontanissimo dal sembrarlo: appare più come l’elegante salotto di una nonna nobile. «Desideriamo che i nostri clienti si sentano accolti come se fossero a casa e che trascorrano un momento di tranquillità circondati da cose belle e attenzioni. Anche solo per un caffè, si possono spendere cinque minuti e sedersi al tavolo. La fretta è una nemica».

Il locale è frequentato prevalentemente da una clientela femminile ma non mancano le famiglie con i bambini e i “forestieri” di soggiorno a Bergamo per lavoro. «Lavoriamo per lo più con clienti che vengono dalla città e dai paesi vicini, qui rimaniamo un po’ delle mosche bianche – confida Fiammetta -. Tanti ci chiedono perché abbiamo deciso di aprire questa attività in un paese e non in una città. Abbiamo due bambini piccoli, la famiglia di mio marito abita qui e andiamo al lavoro a piedi o in bicicletta. Avere una vita tranquilla non ha prezzo».


Sommelier Ais, il tesserato numero uno si racconta

jean valenti - ritA Jean Valenti sono servite 76 pagine di un elegante libretto per scrivere l’autobiografia. Difficile quindi condensare la fitta serie di aneddoti, episodi, avventure persino, oltre che l’intensa storia professionale. Ma ci si può provare, cominciando dalla presentazione, che può sembrare ad effetto e invece altro non è che la semplice realtà: Jean Valenti è il numero uno dei sommelier. Sua infatti è la tessera numero uno dell’Ais, l’Associazione Italiana Sommelier, di cui è stato cofondatore a Milano insieme a Giancarlo Botti, al commercialista Leonardo Gerra ed al sommelier Ernesto Rossi. «Era il 7 luglio del 1965 – racconta Valenti con estrema lucidità dall’alto dei suoi 93 anni compiuti – ed avevamo lavorato più di un anno per dare il nome all’associazione. C’era stato chi aveva suggerito coppieri, chi aveva proposto cantinieri e poi il vocabolo sommelier ha finito per convincere di più, per la sua valenza internazionale. Il primo congresso dell’Ais si svolse nel 1967 e fu l’evento che segnò l’affermazione definitiva dell’associazione».

tessera Ais - n.1Ma a livello istituzionale l’attività di Jean Valenti non si è fermata qui. Nel 1969 infatti, raccogliendo l’invito del marchese d’Aulan, rampollo di una nobile famiglia proprietaria dello Champagne Piper-Heidsieck, è stato tra i cofondatori de l’Association de la Sommellerie International (Asi) nata a Reims il 4 giugno. «In quanto segretario generale dell’Ais ero anche delegato ai rapporti internazionali – ricorda – ed ebbi modo di incontrare sommelier francesi, inglesi, portoghesi e belgi. L’Asi si proponeva di consigliare ed aiutare gli altri Paesi di entrare a far parte della sommellerie internazionale fornendo adeguati supporti, soprattutto ai giovani».

La vita e la professione l’hanno portato in giro per il mondo, ma questo pioniere dell’associazionismo enoico, che oggi risiede in Brianza, ha anche un legame speciale con Bergamo. «Sono nato a Casazza per caso, il 25 aprile del 1922, ma la stirpe è bergamasca», precisa. Il papà Francesco, originario di Casazza appunto, era emigrato nell’hinterland parigino e per un lungo periodo aveva avuto un’azienda di coltivazione di funghi champignon che funzionava bene ed aveva una ventina di dipendenti, quasi tutti bergamaschi. La mamma, Josephine Zinetti, anch’ella di origini italo-francesi, quando era in attesa del piccolo Jean era stata consigliata di recarsi a Casazza, dove risiedevano ancora dei parenti, per riposarsi. Ma Jean aveva fretta e nacque prima del previsto.

Un socio acquisito da poco fece poi fallire l’attività paterna e questo cambiò, in senso professionale, il destino di Jean che i genitori vedevano già nelle vesti di avvocato. All’età di 17 anni la necessità di mettersi al lavoro gli offre il primo contatto con il vino. In realtà non si trattava di un lavoro molto qualificato: cavista o cantiniere si potrebbe tradurre. Il ristorante era il Grand Veneur a Barbizon nei pressi della foresta di Fontainebleau, luogo di caccia dei reali francesi. Il compito di Jean era quello di lavare, etichettare di nuovo e tappare le bottiglie che venivano riempite con vino prelevato dalle barrique che provenivano da quasi tutte le regioni francesi. Solo i grandi Borgogna, Bordeaux e Champagne venivano venduti già imbottigliati. Per quanto umile fosse la professione, Jean impara a conservare le bottiglie, a distinguere pregi e difetti del vino e a scegliere i tappi di sughero giusti.

Ed è a questo punto che le vicende della seconda guerra mondiale si intersecano con la sua vita, con elementi di grande drammaticità: la campagna di Russia negli Alpini, il ferimento, la prigionia in un campo di concentramento a Tambov, vicino a monti Urali. Alla fine della guerra Jean ritorna in famiglia e riprende da dove aveva lasciato. Al Grand Veneur viene promosso aiuto sommelier in sala. L’avventura nel mondo del vino stavolta comincia davvero, ma per questioni politiche gli italiani non erano molto ben visti in Francia nel ’47 e quindi, di fatto, è costretto ad emigrare. La meta questa volta è l’Inghilterra: un posto al Savoy Hotel di Londra dove Whiston Churchill aveva il suo angolo per fumare il sigaro, seguono poi Baden Baden (la capitale termale europea per eccellenza) e Saint Moritz, nel ’56, con un posto di sommelier al Palace Hotel e poi ancora in un paio di ristoranti in Europa sempre della medesima proprietà.

Il Savini, in galleria a Milano, rimane il centro nel quale si concretizzano tutta la sua esperienza e meticolosità nel conoscere i vini e sul modo in cui servirli e abbinarli. «Sono arrivato al Savini nel ’56, su richiesta specifica del patron, il commendator Angelo Pozzi, e ci sono rimasto per dodici anni. All’inizio erano i tempi in cui il cliente chiedeva bianco o rosso oppure domandava che cosa era quel posacenere che portavamo appeso al collo (il tastevin, ndr.). Le richieste prevalenti riguardavano vini francesi ma siamo riusciti nel tempo a far apprezzare anche i prodotti italiani. C’era sempre un po’ di magia quando si versava il vino nel decanter e si aspettava riprendesse vita. Clienti famosi? Il Savini aveva una clientela anche internazionale di alto livello. Ho servito da bere a cinque presidenti della Repubblica: Segni, Leone, Saragat, Pertini e Cossiga, al commendator Bialetti, l’inventore della moka, a Edoardo De Filippo, a John Waine, che però beveva solo whisky, a Jacqueline Kennedy, a Maria Callas e all’armatore Onassis del quale ricordo un curioso aneddoto. Una banconota di 100 dollari fatta scivolare discretamente nelle mie mani in occasione del saluto e la raccomandazione che anche agli uomini della sua scorta non mancasse da bere». E chissà quanto è lungo ancora questo elenco.

L’avventura al Savini finisce nel 1972 quando Alberto Alemagna gli propone un’offerta economicamente rilevante per passare al ristorante Gourmet in piazza Duomo. Qui vi rimane fino al ’76 poi il ristorante chiude e si riapre una parentesi internazionale. Quattordici mesi in a Tokio e nel sud Corea per far conoscere e spiegare i vini piemontesi in quella parte di mondo per conto di un consorzio di vini coordinato dalle cantine Bersano e poi, nell’84, tre mesi a Los Angeles in occasione delle Olimpiadi. E proprio in California il figlio Duilio ha aperto un ristorante, vicino a San Francisco, che si chiama Valenti and Co.

Fino all’età di 85 anni ha continuato la sua attività di consulenza in Italia e in Francia cercando di trasmettere nel miglior modo possibile la sua grande esperienza. Ora, con il traguardo dei 94 anni poco distante, segue ancora con attenzione i movimenti delle diverse associazioni di sommelier, poi proliferate, con il cuore chiaramente legato alla sua creatura e cioè l’Ais. Accento francese, grande presenza ed eleganza, occhio vigile e massima attenzione, non ha di certo perso la sua professionalità, al punto di esprimere un giudizio tecnico calibrato quando in occasione del nostro incontro avvenuto all’Enoteca al Ponte di Ponte San Pietro il patron Luca Castelletti ha voluto aprire in suo onore una bottiglia di Rioja del 1922, l’anno appunto di nascita di Jean Valenti.


Anziani e disabili, al via le richieste per il reddito di automonia

C’è tempo fino al primo febbraio 2016 per presentare la domanda di assegnazione del reddito di autonomia istituito nell’ottobre di quest’anno dalla Regione Lombardia. Si tratta, in particolare, delle misure rivolte ad anziani e disabili, per i quali è messo a disposizione un voucher di 400 euro al mese per 12 mesi destinato, nel primo caso, a finanziare interventi per migliorare la qualità della vita delle famiglie e delle persone anziane con limitazione dell’autonomia, nel secondo a favorire lo sviluppo dell’autonomia finalizzata all’inclusione sociale.

La domanda va presentata al proprio Comune di appartenenza. Non è prevista l’erogazione di assegni, ma di voucher per l’accesso ai seguenti a servizi e prestazioni, previa predisposizione di un progetto di intervento personalizzato.

All’ambito territoriale di Bergamo (del quale fanno parte anche Gorle, Orio al Serio, Ponteranica, Sorisole e Torre Boldone), sono stati assegnati per il 2016 57.600 euro a beneficio di 12 anziani e 43.200 euro a beneficio di 9 persone disabili.

Ecco il depliant che illustra requisiti e documenti richiesti, si è in attesa dei moduli per la presentazione delle domande.


Fine d’anno, la presidente Frosio “fa le carte” alla ristorazione bergamasca

L’anno dell’Expo ha portato movimento nei ristoranti bergamaschi, che ora vivono il periodo delle festività confidando nei segnali di fiducia e ripresa dei consumi rilevati a livello nazionale. Ma la sfida resta grande e complessa, perché la concorrenza aumenta, il prezzo continua ad essere il principale fattore che determina la scelta e i canali “alternativi”, ultimo quello dell’home restaurant, sparigliano ulteriormente le carte in tavola.

Petronilla FrosioLa fine dell’anno è tempo di banchetti e brindisi, ma anche di bilanci e programmi per il futuro e per tracciarli ci siamo rivolti a Petronilla Frosio, presidente dei ristoratori Ascom.

«In effetti l’estate è stata buona – afferma -, ci sono stati più turisti, prima di tutto per il clima, ma anche per la crisi di alcune mete, come Tunisia e Marocco, e per l’Expo che di gente ne ha fatta girare, anche nelle Valli, ad esempio gli emigrati che hanno preso l’occasione dell’evento milanese per riaprire le seconde case».

E ai bergamaschi è tornata la voglia di andare al ristorante?

«Credo che non l’abbiano mai persa, solo che è in atto una rivoluzione, l’offerta si è ampliata e diversificata moltissimo. Pensiamo al proliferare di locali giapponesi, chi avrebbe pensato solo cinque o sei anni fa che il sushi sarebbe diventato un classico per le uscite dei giovani? Il fatto è che in famiglia non si cucina quasi più e le nuove generazioni non conoscono i sapori della tradizione, non sono legate ai ricordi. In più viaggiano e sono aperte al mondo, sono perciò molto inclini ai gusti nuovi e alle nuove cucine».

Cosa possono fare, allora, i locali “classici”?

«Specializzarsi, ritagliarsi un proprio spazio, una propria identità, non c’è dubbio. Ristoranti fotocopia che hanno di tutto si fanno concorrenza l’un l’altro, mentre se ci si differenzia si può arrivare a condividere la clientela. Ci può essere il locale dove trovare un buon brasato, del buon pesce e questi diventano motivi di richiamo, invece oggi il cliente finisce per scegliere in base alla vicinanza o al parcheggio…».

Quale può essere una specializzazione da coltivare?

«Sono sempre più convinta che a Bergamo, mi riferisco alla città, manchi una vera cucina del territorio. Che non significa rifare i piatti del passato, ma interpretarli nuovamente, tanto più che oggi l’agricoltura ci sta consegnando una nuova offerta di prodotti locali interessanti, dalla frutta alla verdura ai formaggi. Gli stranieri che visitano la città chiedono dove poter assaggiare cibi e sapori tipici e oggi, francamente, si fa fatica a dare indicazioni».

Cosa intende per reinterpretazione della cucina del territorio?

«Non certo attribuirsi una semplice etichetta. Significa conoscere le ricette e alleggerirle per rispondere al gusto e alle esigenze attuali, studiare i prodotti e farli diventare piatti capaci di convincere. In un’occasione è stato chiesto quale fosse la cucina bergamasca estiva. Si potrebbe rispondere che non esiste, dato che i nostri piatti tipici sono più che altro indicati per le stagioni fredde, ma nulla vieta che la si possa inventare partendo dai prodotti del territorio. Qualcuno che sta lavorando in questo senso e in modo ammirevole c’è, intendiamoci, ma per un’operazione di un certo peso, per fare in modo che ci si creda in tanti, servirebbe un’autentica “macchina da guerra”, un intervento istituzionale. Così come ci sono iniziative per promuovere l’innovazione e l’internazionalizzazione delle imprese si può lavorare su una rivalutazione della nostra cucina. Per la verità qualcosa si sta muovendo, ma è ancora un po’ presto per parlarne…».

Il prezzo influisce sempre sulle scelte dei consumatori?

«Ha sempre inciso e con la crisi è diventato un fattore ancora più determinante. I ristoratori lo sanno bene e infatti sono anni che mantengono i prezzi stabili, se li hanno addirittura abbassati. Solo che adesso sarebbe anche ora di potersi rimettere in gioco, non si può andare avanti accontentandosi di stare a galla e pagare le spese. Qui la palla passa alla politica, tutto il Paese si è incartato tra lacci, lacciuoli e incertezze che frenano lo sviluppo. Chi mai può pensare di investire oggi?»

Si dice però che la crisi sia servita a trovare nuove opportunità…

«È vero, ma la crisi è più pesante di tutte le innovazioni. Diciamo che in questo braccio di ferro ha vinto lei».

Con il suo ristorante partecipa a InGruppo, che riunisce i locali top in una proposta più accessibile, nato proprio in risposta alle difficoltà e al mutamento dei consumi…

«Credo che questo progetto e quello con proposte a 35 euro siano due delle più belle cose nate in questi anni tra i ristoratori bergamaschi. Fare gruppo è importantissimo, è occasione di incontro, scambio, confronto ed è sedendosi attorno ad un tavolo che le idee possono crescere e farsi concrete. Un conto è portare avanti qualcosa da soli, un conto è farlo in 15 o più».

Come vede il 2016 per la ristorazione?

«Il vantaggio del nostro settore è che la gente continua a mangiare e questo è un aspetto sempre e comunque positivo. Come detto, però, l’offerta aumenta e pure la concorrenza, anche quella non proprio ad armi pari come gli agriturismo e, ultimamente, persino gli home restaurant, le cene in casa di privati. Va bene le liberalizzazioni, ma forse si sta esagerando e non sempre la gente si fa delle domande su certi fenomeni. Il fatto è che la novità attira sempre, insieme al prezzo è il motore del mercato».

Oltre ai visitatori, il risultato di Expo è stato anche un nuovo modo di vedere il cibo, l’alimentazione e lo stare a tavola?

«Non lo si può dire nell’immediato, ma credo che gli effetti si vedranno nel tempo, anche solo considerando i fiumi di scolaresche che hanno invaso i padiglioni. Del resto, su temi come ambiente, cibo, spreco e sostenibilità si sta riflettendo ormai da tempo e una certa consapevolezza si fa avanti. Quanto alla ristorazione, credo che l’aspetto su cui fare sempre più attenzione sia il mangiare sano».