Ubi Banca è da tempo tirata per la giacchetta per intervenire a salvare altri istituti, neanche fosse un supereroe del sistema bancario. Forte di un patrimonio eccedente le strette necessità, ma che comunque non può essere sprecato, alcuni la vorrebbero intervenire al capezzale del Monte dei Paschi, altri a sostegno degli istituti veneti. Eppure data la situazione incerta, e probabilmente con molti scheletri nelle casseforti, dei candidati, se Ubi decidesse di proseguire nella sua aurea solitudine non le si potrebbe dare torto. Gli ultimi insistenti rumors riguardano un possibile intervento in Veneto Banca. Le ipotesi di crescita verso Est si rincorrano da tempo: c’è stato qualcosa di più di un interessamento con l’istituto veronese che ora sta dando vita a Banco Bpm, ma si era parlato anche di Popolare Vicenza e di Veneto Banca. “Sistemata” la Popolare di Vicenza con il fondo Atlante, resta quindi soltanto l’ipotesi dell’ex Popolare, ormai Spa, con sede a Montebelluna. Ed è auspicabile che al momento questa resti soltanto un’ipotesi o neanche questo, come del resto continua a sostenere la stessa Ubi banca con ripetute smentite sul fatto che sia aperto un dossier.
Ci sono fondati motivi per i quali l’operazione non appare particolarmente allettante. Innanzitutto perché si sta per preparare un aumento di capitale da un miliardo a servizio dell’Ipo dall’esito molto incerto, tanto che non si esclude un intervento del fondo Atlante. Esattamente come avvenuto poco tempo fa alla Popolare di Vicenza, dove il Fondo versando 1,5 miliardi si è trovato con il 99% del capitale, dato che la sottoscrizione si era fermata all’8%, nonostante il prezzo stracciato (0,1 euro per azioni che tre anni prima erano state collocate a 62,5), peraltro adeguato al valore dell’istituto. Anche per Veneto Banca (nella quale è confluita alcuni anni fa la Banca di Bergamo) si prospetta un aumento di capitale che farà diluire la quota degli attuali soci, anche se non in maniera così netta come nella Vicenza. Del resto in occasione della trasformazione in Spa di fine 2015 è stato fissato un diritto di recesso ai soci Veneto Banca a 7,3 euro ad azione, a fronte dei 30,5 euro del valore (attribuito dalla banca stessa) di un anno prima.
Le criticità a Montebelluna del resto non mancano e vanno dai dubbi legati alla mole dei crediti deteriorati, conseguenza anche di una crescita vertiginosa avvenuta attraverso acquisizioni senza guardare troppo per il sottile, alla bassa redditività e al calo dei depositi. E poi ci sono le stime del piano messo a punto dal nuovo Ceo Cristiano Carrus (ex Creberg), che prevedono un utile di 152 milioni al 2018 e di 249 milioni al 2020, ritenute dagli analisti troppo ottimiste. Tra i «pro», invece, c’è l’opportunità del consolidamento. Veneto Banca, infatti, per Banca Imi, l’investment bank di Intesa Sanpaolo (capofila del consorzio di garanzia che garantisce l’aumento di capitale, salvo futuro intervento del fondo Atlante ), è un candidato potenziale nel risiko grazie alla forte presenza in zone attraenti e allo spazio per potenziali sinergie. Se proprio il Fondo Atlante, che già controlla la Popolare di Vicenza, dovesse intervenire anche in Veneto Banca, si troverebbero sotto lo stesso cappello due istituti che in passato si erano corteggiati senza però arrivare all’accordo. Ma dato che potrebbe intervenire il Fondo Atlante a fare il lavoro sporco dell’aggregazione e soprattutto della sistemazione delle sofferenze dei prestiti (o Npl-non performing loans), non dovrebbe intervenire Ubi che ha disposto una partecipazione con 200 milioni al Fondo, ora dotato di 4 miliardi, proprio per non affrontare il problema degli Npl e di evitare interventi diretti che peserebbero sui bilanci.
Acquisire una quota importante, se non il controllo di Veneto Banca, in sede di aumento, vorrebbe dire infatti esporsi a un esborso di cassa comunque importante, assottigliando pericolosamente i suoi cuscinetti patrimoniali. E in questa fase congiunturale ricostituirli con un aumento di capitale non è operazione dall’esito scontato. Inoltre si assumerebbero rischi rilevanti per l’ampiezza del portafoglio crediti deteriorati, per le pendenze legali legate alla vendita di azioni ai clienti e per le difficoltà sul fronte della raccolta e dei ricavi e in generale della gestione operativa. Se proprio Ubi fosse interessata a Veneto Banca lo potrà fare con minori rischi quando la situazione si sarà meglio definita e stabilizzata. Sarà importante, a questo proposito, vedere come e a che prezzo sarà concluso l’aumento di capitale e da chi sarà formato l’azionariato dopo l’operazione. In questo momento in ogni caso l’istituto ha bisogno di risorse fresche, che Ubi Banca non ha intenzione di farsi drenare, mentre dopo l’aumento di capitale, se Veneto Banca avrà riportato i suoi indici patrimoniali sopra il livello stabilito dalla Bce, un’eventuale operazione potrebbe anche essere impostata carta contro carta. Ma al momento è solo un’ipotesi che si potrà verificare nei prossimi mesi, o forse anche di più. Quando magari l’interesse potrebbe essere per un più succulento pacchetto “Popolare Vicenza-Veneto Banca” ora inesistente.