Anche se l’udienza del Tar del Lazio del 7 ottobre non dovesse decidere, come appare probabile, la sospensiva sui ricorsi presentati dagli oppositori alla riforma delle Popolari, ci saranno comunque ripercussioni sull’assemblea di Ubi prevista tre giorni dopo. Le organizzazioni alternative all’attuale governance dei presidenti Andrea Moltrasio e Franco Polotti hanno sempre avuto un cavallo di battaglia basato su un preciso “sospetto”, quello che sarebbe stata colta la prima occasione per trasformare la cooperativa in una società per azioni e consegnarne il controllo alla componente bresciana, ex Banca Lombarda.
Basare le critiche sui sospetti e sui “se” ha il vantaggio di non consentire smentite: di fronte all’osservazione che nei sette anni successivi alla nascita di Ubi non c’è mai stato un atto o una dichiarazione che prendesse in considerazione la trasformazione in Spa, c’è sempre stata l’obiezione tronca-repliche: “Sì, ma in futuro?”. Alla fine il futuro è arrivato con un obbligo di legge: la trasformazione in Spa imposta più che prevista, dato che l’unica reale alternativa sarebbe quella di ridimensionare drasticamente l’attivo (e l’attività). Il fatto che dalla banca, e più in generale dalle Popolari, non si siano alzate le barricate contro questo diktat è stato inizialmente visto come la conferma del sospetto. Poi a dire il vero, a parte i ricorsi al Tar che si aspetta adesso di vedere come andranno a finire, è prevalsa la generale consapevolezza che il dibattito tra cooperativa e spa non scalda più di tanto. Per essere schietti, della retorica della popolare interessa a pochi, e sicuramente non alla stragrande maggioranza dei soci che a perdere un sabato mattina in un’assemblea, fosse anche per un buffet di Vittorio, non ci pensano minimamente, preoccupati semmai se quotazione e dividendo restano strutturalmente bassi.
I ricorsi al Tar però hanno anche fornito l’imprevista occasione, la controprova finora mai resa possibile, di cancellare il sospetto che in fondo la Spa era l’obiettivo nascosto. I presidenti e l’amministratore delegato Victor Massiah hanno confermato che verrà valutato l’eventuale rinvio dell’assemblea in base alla decisione del Tar. Il messaggio è chiaro, come ha sintetizzato Massiah: “Se impongono la trasformazione, trasformiamo. Se non c’è l’imposizione, eseguiremo le norme”. Questo anche se, in via teorica, con il nulla osta della Banca d’Italia al nuovo statuto, l’assemblea straordinaria potrebbe comunque approvare la proposta di trasformazione in Spa, come è nelle sue competenze, e come hanno fatto in passato tante Popolari (anche se poi tutte subito, o poco dopo, hanno perso la loro autonomia, finendo per essere acquisite o entrando in altri gruppi), dalla Banca Agricola Mantovana all’Antonveneta o agli stessi istituti ora federati in Ubi. Sarebbe una conta che servirebbe a chiudere una volta per tutta la questione, dimostrando con ogni probabilità che gli stessi soci alla bandiera della Popolare preferirebbero una Spa se questa prospetta più efficienza e quindi più utili, più dividendi e quotazione più alta.
In caso di sospensiva da parte del Tar però l’operazione sarebbe oltremodo rischiosa, non tanto per i possibili cavilli sulle maggioranze che si dovessero comporre in un’assemblea poco partecipata, quanto per le conseguenze relative alla limitazione del diritto di recesso, concessa dalle disposizioni attuative che potrebbero essere sospese dall’udienza del Tar. Ubi ha stanziato un massimo di 350 milioni di euro per il riacquisto dei titoli oggetto di diritto di recesso al prezzo fissato secondo le norme a 7,288 euro. A decidere la convenienza del diritto di recesso è la quotazione: se è superiore è improbabile che venga esercitato, ma se è inferiore si crea un’occasione speculativa. Quando è stato annunciato il valore, la quotazione era poco più bassa e si poteva ipotizzare anche un recupero che avrebbe sterilizzato il rischio di un esercizio massiccio. Il calo delle Borse delle ultimissime settimane però ha allargato il divario tra quotazione e valore garantito di 7,288 euro: l’occasione di un recesso che “regali” quasi un euro (da moltiplicare ovviamente per il numero di azioni), senza lo scudo delle disposizioni attuative, in caso di sospensiva da parte del Tar, che prevedono la possibilità di limitarne il diritto, esporrebbe Ubi Spa al rischio di un’emorragia patrimoniale improponibile in tempi di Srep, l’esame degli indici europei. Così la controprova della popolarità della Spa sarà rinviata, mentre resta la dichiarazione di buona volontà per il mantenimento dello status quo da parte dei vertici di Ubi.