Come facevano già capire i numeri, si va verso una Ubi a maggioranza bresciana, a giudicare dalla carta d’identità di chi comporrà i futuri vertici, per quanto questo possa contare. Anche se quello che dovrebbe interessare ai vari portatori d’interesse, dai correntisti agli azionisti, bergamaschi e non, dovrebbe essere qualcos’altro. Chi ritiene che la banca abbia avuto un buon andamento negli ultimi anni e soprattutto che si siano messe le basi per un solido futuro dovrebbe essere interessato alla continuità. E da questo punto di vista non si profilano rivoluzioni né rivolgimenti, anche se salgono dai commentatori da bar le lamentele sull’ “ennesima banca persa” (dopo la Banca di Bergamo, la Provinciale Lombarda e il Credito Bergamasco), come se un istituto potesse funzionare solo se ha un riferimento provinciale, dimenticando che piuttosto è lo sguardo sempre e troppo ripiegato sui propri passi, sulla propria storia, sulla propria tradizione, sul “si è sempre fatto così” – e, diciamolo, sui propri riferimenti ai soliti centri di potere – che impoverisce e soffoca ogni possibilità di crescita e a volte anche di sopravvivenza.
Tornando a Bergamo e alla sua rappresentanza, in un Consiglio di sorveglianza che lo statuto restringe da 23 a 15 persone gli esponenti bergamaschi danno un contributo particolare al ridimensionamento, ma allo stesso tempo viene paradossalmente riconosciuta loro una presenza superiore al peso effettivo espresso dai suoi azionisti. Il listone per la nomina del Consiglio di sorveglianza di Ubi Banca Spa in occasione dell’assemblea del 2 aprile raggruppa infatti poco più del 17% del capitale sociale. La parte del leone la fa il sindacato Azionisti Ubi Banca Spa, una sostanziale riedizione del patto che controllava la bresciana Banca Lombarda e Piemontese prima della fusione, che controlla circa il 12% del capitale sociale e rappresenta il 70% delle azioni del listone. La parte bergamasca, con il Patto dei Mille, ha voluto contarsi e non è riuscita, nonostante innesti varesini, a unire in un sindacato nemmeno il 3% del capitale. C’è poi un 2,2% che fa capo alla Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, tradizionalmente alleata del fronte bresciano, ma che ha preferito non partecipare alla costituzione del nuovo patto.
Con questi rapporti di forza appare un premio molto generoso la concessione al patto bergamasco, che rappresenta circa il 17% del listone, addirittura di un terzo dei candidati (tra i quali il presidente Andrea Moltrasio), mentre alla Fondazione di Cuneo, che esprime una quota di capitale non molto più bassa del Patto dei mille, viene riconosciuto un solo candidato (Gian Luigi Gola). Questo anche se in assemblea, con ogni probabilità, di bergamaschi ne verranno eletti solo tre (Moltrasio, Armando Santus e Renato Guerini), che sono comunque il 20% dei consiglieri quando non si esprime nemmeno il 3% del capitale sociale. Tutto dipenderà dal risultato in assemblea della lista che dovrebbe essere presentata dai fondi. Formalmente gli investitori istituzionali sono accreditati dal 40% e volendo potrebbero anche sbancare tutto. Tradizionalmente però il loro ruolo non è quello della gestione: il loro interesse è avere consiglieri veramente di sorveglianza che controllino la situazione e quindi si presenteranno in partenza come lista di minoranza e potranno quindi ottenere un consigliere, oppure due (se raccoglieranno tra il 15% e il 30% dei voti in assemblea), oppure tre (se supera il 30%). E nell’ipotesi non improbabile che arrivino alla soglia massima, resteranno fuori gli ultimi tre candidati del listone, con i non eletti in panchina, per sostituire eventuali consiglieri che dovessero lasciare la carica durante il mandato: negli ultimi tre posti ci sono due dei cinque candidati bergamaschi, i consiglieri uscenti Luciana Gattinoni (terz’ultima e quindi probabile prima dei non eletti) e Antonella Bardoni (inserita all’ultimo posto e quindi con pochissime possibilità), che quindi almeno al primo giro non dovrebbero far parte del nuovo consiglio.
Rispetto al consiglio attuale è probabile così che mancheranno 9/10 consiglieri bergamaschi: Gattinoni e Bardoni, quindi, ma anche tutti i non ricandidati, Alfredo Gusmini, il vicepresidente Mario Mazzoleni, oltre a Federico Manzoni, bergamasco doc, ma proposto in precedenza dal fronte bresciano, e ai cinque eletti nella lista di minoranza, considerandoli tutti tali, anche al di là dell’anagrafe, perché essenzialmente espressione dei piccoli soci della ex Popolare di Bergamo, Andrea Resti, Marco Gallarati, Maurizio Zucchi, Dorino Agliardi e Luca Cividini. Sono invece cinque i consiglieri non bergamaschi che usciranno: due bresciani, Enrico Minelli ed il vicepresidente del Consiglio di sorveglianza e neopresidente del “patto” Alberto Folonari (per il quale scatta l’ineleggibilità per superato limite dei 75 anni d’età), le docenti universitarie Marina Brogi (romana) ed Ester Faia (nata a Napoli) e il commercialista milanese Carlo Garavaglia. Due soli i nuovi nomi proposti nella lista: Francesca Bazoli e Simona Pezzolo de Rossi (commercialista bresciana al penultimo posto e quindi con ogni probabilità anch’essa esclusa). L’unico nuovo innesto nel consiglio, oltre ovviamente ai rappresentanti dei fondi, sarà quindi l’avvocato bresciano Francesca Bazoli, già nel giro Ubi tanto da essere nel comitato esecutivo del Banco di Brescia, e già in predicato in passato di entrare nel consiglio di gestione di Ubi, dopo che dal consiglio di sorveglianza era uscito, per la normativa sui doppi incarichi, il padre Giovanni Bazoli, numero uno di Intesa Sanpaolo, che lascerà l’incarico alla prossima assemblea. Ma al di là delle entrate e delle uscite, quello che più dovrebbe interessare è se in Ubi Spa cambierà qualcosa. E questo non sembra probabile se si considera, appunto, che dei primi dodici nella lista, a parte Francesca Bazoli, ci sono undici conferme, a partire da presidente (Andrea Moltrasio) e vicepresidente vicario (Mario Cera). Le altre sono quelle, in ordine di lista, di Armando Santus, Gian Luigi Gola, Pietro Gussalli Beretta, Pierpaolo Camadini, Letizia Bellini, Renato Guerini, Giuseppe Lucchini (l’industriale bresciano che controlla la Lucchini Rs di Lovere), Sergio Pivato, Alessandra Del Boca. Una garanzia di continuità e quindi dello spirito Ubi – che in ogni caso non è mai stato a maggioranza bergamasco, se non al massimo per metà -, che vale più di tante carte di identità.