Lavoro e progresso economico, entro il 30 giugno le domande per il riconoscimento

C’è tempo fino al 30 giugno per presentare le candidature per il Riconoscimento del Lavoro e del Progresso economico, il premio assegnato dalla Camera di Commercio a persone ed imprese che si sono particolarmente distinte nella propria attività.

Con questa iniziativa, giunta alla 57esima edizione, l’Ente camerale intende sottolineare il valore essenziale del lavoro, della professionalità, della fedeltà all’azienda, quali elementi primari nelle strategie di progresso delle imprese e dell’intera comunità economica bergamasca.

Queste le categorie

CATEGORIA A – LAVORATRICI E LAVORATORI DIPENDENTI O AUTONOMI

Cinque premi riservati a lavoratrici e lavoratori dipendenti o autonomi di qualsiasi settore (industria, edilizia, artigianato, agricoltura, commercio, servizi, cooperazione) in possesso dei seguenti requisiti:

a) giovani di età anagrafica fino a 35 anni che abbiano meritato il riconoscimento per la propria specifica originale esperienza lavorativa, in particolare al di fuori delle aziende familiari, accettando le sfide di nuovi lavori e consolidando nel tempo la loro esperienza con risultati verificati;

b) lavoratrici over 40 e lavoratori over 50 che, disoccupati a seguito di crisi aziendali, abbiano avviato e concretizzato stabilmente iniziative di auto imprenditorialità in settori produttivi o dei servizi nuovi oppure recuperando “vecchie” professioni anche in lavori o mercati di nicchia.

CATEGORIA B – LAVORATRICI E LAVORATORI DIPENDENTI – ANZIANITÀ E FEDELTÀ

62 premi riservati a lavoratrici e lavoratori dipendenti, con esclusione del pubblico impiego, che abbiano prestato ininterrottamente non meno di 33 anni (28 se donna) alle dipendenze della stessa impresa. Sono ammessi a questa categoria di premio lavoratrici e lavoratori dei settori edilizio e minerario (con esclusione degli addetti ai servizi strettamente amministrativi, che vengono invece assimilati ai lavoratori di cui al comma precedente), che abbiano prestato almeno 33 anni di servizio (28 se donna) anche presso aziende diverse. Al fine del raggiungimento dell’anzianità prevista si terrà conto anche degli eventuali periodi di mobilità.

CATEGORIA C – DIRIGENTI D’AZIENDA

Tre premi riservati a lavoratrici e lavoratori che, avendo maturato l’anzianità di 33 anni (28 se donna), in non più di tre aziende, abbiano conseguito, alla data di emissione del bando, la qualifica di dirigente.

CATEGORIA D – COLTIVATORI DIRETTI

Cinque premi riservati a coltivatori diretti che abbiano prestato non meno di 33 anni di attività, in rapporto anche alla evoluzione del lavoro agricolo in relazione alle nuove esigenze del consumatore.

CATEGORIA E – IMPRESE INDUSTRIALI, COMMERCIALI, AGRICOLE E ARTIGIANE

Dieci premi riservati a imprese che abbiano più di 33 anni di ininterrotta e benemerita attività, svolta sia in forma individuale sia in forma di società, comprese le società a responsabilità unipersonali, ma escluse le altre società di capitale.

CATEGORIA F – PERSONALITÀ BENEMERITE

Tre premi riservati a personalità che, nel corso della loro attività, si siano particolarmente distinte, apportando prestigio al territorio bergamasco.

Le domande di partecipazione al concorso dovranno pervenire all’Ufficio segreteria entro e non oltre il 30 giugno 2017, con una delle seguenti modalità: spedizione all’indirizzo di posta elettronica segreteria@bg.camcom.it; spedizione per posta ordinaria; consegna a mano.

Le domande saranno esaminate da apposita Commissione nominata dalla Giunta camerale. La Giunta assegnerà i premi a suo insindacabile giudizio, tenendo conto della graduatoria proposta dalla suddetta Commissione.

La premiazione avrà luogo in Bergamo nel mese di dicembre 2017.

Qui il bando di concorso e i modelli di domanda, che possono anche essere ritirati presso l’Ufficio segreteria della Camera di commercio (Largo Belotti, 16 – primo piano) o nelle associazioni di categoria.


Azzano San Paolo, dal Comune contributi e sconti per le imprese

azzano san paolo

Per gli imprenditori di Azzano San Paolo e per chi decide di aprivi un’attività arriva un pacchetto di misure di sostegno. L’Amministrazione ha infatti aperto un bando per dare una mano alle aziende locali con una serie di iniziative che comprendono contributi economici e riduzioni sugli oneri.

Lo scopo è promuove lo sviluppo economico cittadino, agevolare l’insediamento di nuove attività e sostenere le assunzioni.

Nel dettaglio, il bando prevede contributi favore di chi apre nuove attività, per le imprese che assumono  lavoratori a tempo indeterminato, per gli esercizi che rimuovono e non detengono apparecchi per il gioco d’azzardo lecito/lotterie automatiche e per le imprese che avviano l’attività su immobili inutilizzati.

L’iniziativa prevede anche incentivi per l’affitto di immobili a uso abitativo.

Gli imprenditori interessati possono presentare la domanda entro il 30 giugno 2017 al Comune di Azzano San Paolo. (Per informazioni: Serena Viola, Settore Entrate, tel.035 532281, email servizio.entrate@comuneazzanosanpaolo.gov.it).

Oltre ai contributi, gli imprenditori azzanesi possono godere dello sconto del 60% sugli oneri di urbanizzazione per  interventi di ristrutturazione non comportanti demolizione e ricostruzione (comma 10 art. 44 L.R. 12/2005 e s.m.i.) e del 50% sugli oneri di urbanizzazione  relativi a interventi di demolizione e ricostruzione (comma 10 bis art. 44 L.R. 12/2005 e s.m.i.). In questo caso, il referente è il Settore Servizi Tecnici (Rossano Consoli tel.035 532290, email: settore.servizitecnici@comuneazzanosanpaolo.gov.it).

 


Stop ai voucher lavoro, per commercio e turismo «un epilogo paradossale»

voucher lavoro

Voucher addio. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che abroga le norme sui buoni lavoro e sugli appalti oggetto dei referendum convocati per il prossimo 28 maggio e promossi dalla Cgil, che quindi saltano. Il testo ricalca quello approvato dalla Commissione Lavoro della Camera che prevede lo stop immediato dell’acquisto dei buoni, mentre i voucher già acquistati potranno essere usati (o rimborsati) fino al 31 dicembre.

Immediate le reazioni delle categorie imprenditoriali. «I voucher erano l’unico strumento legale, tracciabile, soggetto a copertura Inps e Inail e idoneo a coprire prestazioni saltuarie e occasionali anche nelle imprese – è il commento della Confcommercio -. La scelta della loro cancellazione, che sembra legata più alla volontà di evitare il referendum che ad una valutazione di merito, crea un vuoto, non tenendo conto che quelle prestazioni sono comunque presenti nelle imprese». Secondo la Confederazione la vicenda è giunta «a un epilogo ancor più paradossale, se si considera che nei settori rappresentati da Confcommercio, in particolare nel turismo e nella ristorazione, dove peraltro l’occupazione stabile è cresciuta, i voucher erano uno strumento molto apprezzato soprattutto perché consentivano di operare legalmente e con semplicità». «Si è scelta la strada della cancellazione – prosegue l’associazione – senza che ci siano strumenti alternativi e senza preoccuparsi del vuoto che si crea perché con l’eliminazione dei voucher non possono essere coperte quelle attività occasionali comunque presenti nelle imprese».

Fipe, attraverso le parole del presidente Lino Stoppani, ha ribadito «la totale contrarietà ad una riforma guidata non dal proposito di migliorare questo strumento quanto da principi puramente ideologici e demagogici». «Dietro tali provvedimenti – ha detto – c’è molta strumentalizzazione alla luce di una campagna elettorale di fatto già iniziata, che non tiene conto degli effetti che questa decisione potrebbe avere sulle imprese e sul mercato del lavoro. Riteniamo pertanto che a questo punto affidarsi al referendum sia una scelta migliore rispetto ad una legge concepita frettolosamente e che non tiene conto delle esigenze delle imprese e dei cittadini».

Dello stesso parere sono anche Federalberghi e Fida. Secondo la federazione albergatori: «Sarebbe meglio affidarsi alla volontà popolare. Regolamentare il lavoro accessorio è utile e doveroso per prevenire gli abusi ma, da quel che si apprende, ciò che emerge è una disciplina ingiustamente punitiva e discriminatoria che rischia di consegnare all’economia sommersa la maggior parte delle prestazioni lavorative che oggi sono rese attraverso i buoni lavoro».

Donatella Prampolini Manzini presidente della Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia e vicepresidente Confcommercio afferma che «i dati Inps provano senza alcun dubbio che i voucher non sono utilizzati come sostitutivi di un contratto di lavoro. Le modifiche ai voucher che si sentono in questi giorni non ci trovano assolutamente d’accordo. Tant’è che piuttosto di una modifica fatta in questa maniera, assolutamente demagogica, preferiamo la consultazione referendaria: siamo certi che gli italiani partorirebbero una soluzione meno catastrofica di quella proposta».

«Il provvedimento che porta alla cancellazione dei voucher è assolutamente sbagliato perché rischia di veder gettate al vento le basi di un metodo costruito per tamponare temporaneamente le esigenze del dettaglio moda soprattutto durante picchi di lavoro come, ad esempio, sotto Natale, in occasione delle manifestazioni fieristiche e dei campionari, dei saldi o in caso di temporanea malattia dei dipendenti», evidenzia Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia. «Critichiamo fortemente la scelta dell’abrogazione dei voucher anche perché potrebbe addirittura portare all’incremento del lavoro nero. Inoltre, non riusciamo proprio a comprendere il rumore di uno strumento che rappresenta solamente meno dello 0,4% del monte ore lavorato complessivamente in Italia».


Giovani, per trovare lavoro a Bergamo «puntate sul turismo e laureatevi»

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Se si vuole trovare lavoro a Bergamo, bisogna puntare sul terziario, in particolare sul turismo e laurearsi. È questo il messaggio dato dal direttore di Ascom Bergamo Oscar Fusini agli studenti del quarto anno delle scuole medie superiori, oggi nel corso della giornata di orientamento organizzata dal Rotary Club di Bergamo al Polo Fieristico di via Lunga. L’incontro, promosso d’intesa con l’Ufficio scolastico provinciale e l’Università di Bergamo, era focalizzato sulle opportunità occupazionali offerte dai settori commercio, turismo e servizi e ha visto tra i relatori anche Ivan Rodeschini, presidente dell’Ente Fiera Promoberg, e Roberta Garibaldi, docente di marketing turistico all’Università di Bergamo e direttrice del progetto ERG 2017.

Il primo spunto positivo è che la disoccupazione giovanile bergamasca negli ultimi anni si è ridotta, passando da oltre 36mila persone a fine del 2013 a 28mila (dati Istat). «Le maggiori opportunità lavorative nella nostra provincia oggi vengono dai settori legati ai servizi e soprattutto dal turismo che, pur essendo meno sviluppato degli altri comparti, da diversi anni sta crescendo a ritmi molto alti. Basti pensare che gli addetti all’ospitalità da 14.700 circa nel 2004 sono saliti a oltre 21mila e che in generale le persone che lavorano nel terziario sono aumentate del 3,7%, mentre l’industria ha visto diminuire del 9,8% i suoi dipendenti», ha rilevato Fusini.

Secondo lo studio del Sistema informativo Excelsior “La domanda di professioni e di formazione nelle imprese italiane – Provincia di Bergamo 2016”, le imprese turistiche che nel 2016 prevedevano di assumere erano il 27% per un totale di 1.580 figure ricercate, contro il 20% del totale dei settori. Per l’83% si tratta di addetti ai servizi e per il 2,5% di impiegati. Le qualità più richieste da alberghi & c. sono flessibilità, capacità comunicative e abilità a lavorare in team.

«L’impatto per ora è più quantitativo che qualitativo –  ha spiegato Fusini – per il 60% delle aziende del turismo non conta l’età dell’assunto e nemmeno il titolo di studio, ma è probabile che nei prossimi anni, anche grazie ai nuovi percorsi di studi ad hoc avviati, verranno cercati addetti più qualificati e preparati».

Allargando lo sguardo allo scenario nazionale, laureati e diplomati sono le figure più ricercate (soprattutto in Lombardia) e anche quelle che riescono ad avere lavori più stabili, con contratti a tempo indeterminato. I settori con la maggiore domanda sono l’alloggio e la ristorazione (31,4% degli assunti), seguiti dal manifatturiero alimentari e bevande (21,4%), la fabbricazione di macchinari e attrezzi (20,2), il comparto metallurgico (15,4) e, in coda, il commercio al dettaglio (13,9).


Lavoro, «nei colloqui il dress code conta più del curriculum». Parola di Carla Gozzi

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«Nei colloqui di lavoro, oggi, al primo posto c’è la personalità. E noi siamo come gli altri ci vedono; non c’è nulla di più futile e fondamentale del dress code per la comunicazione di se stessi: rivela se abbiamo autostima e creatività».

Parola di Carla Gozzi. La famosa style coach ha tenuto sabato alla scuola formazione Ascom di Osio Sotto un seminario sul tema dello stile di fronte a un pubblico di professioniste. Consulenti, project manager, giornaliste, manager, imprenditrici, impiegate, ristoratrici, dai 24 ai 67 anni, accomunate dalla stessa richiesta: avere un’immagine professionale, ma allo stesso femminile.

Segno che lo stile non ha età e che il dress code è una chiave importante per il lavoro, oltre che per la propria vita privata.

«Anche chi ha il camice, una divisa o lavora in ambienti “maschili” può realizzare un look femminile e personale, basta puntare sugli accessori, aggiungere all’abbigliamento formale un dettaglio femminile, come ad esempio il colore della montatura degli occhiali, gli orecchini o un foulard», ha detto Gozzi.

E se la mattina ci si trova davanti all’armadio scoraggiate o addirittura annichilite di fronte alla scelta dei capi da indossare, «il trucco è semplice: comprare abiti, meglio se in jersey, che non richiedono abbinamenti e sono facili da portare, e preparare i capi abbinati sulle grucce con tanto di accessorio in un sacchetto, così si ha l’outfit pronto in pochi secondi».

L’esperta di moda più amata d’Italia ha anticipato i must have della prossima stagione, ovvero, i capi da avere assolutamente: trench beige in stile vestaglia, abiti fiorati e a camicia; maglie a righe, pantaloni a palazzo, con taglio a uomo, cropped, colorati e a fantasia. E ancora: t-shirt con grafiche sotto a bomber, top e abiti a sottoveste fucsia, rosso o nero (il top); e in quanto agli accessori: tracolle colorate con dettagli originali, shopper argento e oro con dettagli importanti, sandali minimali con cinturini alle caviglie e sandali con platform, sabot; orecchini ad anelli e pendenti con due forme diverse; occhiali trasparenti o con montatura trasparente e lenti colorate. Infine tanto rosso e fucsia: saranno i colori della primavera- estate 2017.


«Abolire i voucher? Manca un’alternativa. I sindacati non girino la testa dall’altra parte»

In vista del referendum voluto dalla Cgil per l’abrogazione dei voucher, Enrico Betti, responsabile dell’area Lavoro e Sindacale dell’Ascom di Bergamo e presidente degli enti bilaterali territoriali del Commercio e del Turismo, fa il punto su uno strumento adottato da molte imprese del terziario. I voucher rispondono di fatto ad un’esigenza del mercato del lavoro che non ha trovato strumenti alternativi sul fronte della contrattazione sindacale. La soluzione, secondo Betti, potrebbe passare da una rimodulazione del part-time in risposta alle esigenze aziendali, uno strumento più efficace dei tanto invocati mini-job tedeschi, che hanno portato in realtà ad un’ulteriore segmentazione del mercato. «Sempre che il sindacato non giri, come ha fatto finora, la testa dall’altra parte».

Si avvicina il referendum sui voucher lavoro. Potrebbe venir meno uno strumento  largamente impiegato anche nel terziario e nei servizi. Quali sono le aspettative del settore?

«I voucher sono necessari al mercato del lavoro. Il referendum rappresenta un’inutile inversione ad “u” su uno strumento largamente impiegato. È una questione puramente politica interrogarsi sulla necessità di abolire i voucher, che non risponde certo alle reali esigenze del mercato del lavoro. Tanto che gli stessi sindacati ne han fatto largamente uso. I dati Inps evidenziano come rappresentino fenomeni tutt’altro che isolati: la Cgil ha investito nel 2016 750mila euro in voucher e la Cisl ne ha utilizzati per 1 milione e mezzo di euro lo scorso anno».

Eppure i voucher sono additati dai sindacati come il male del mercato del lavoro…

«Il ricorso ai voucher non è dettato dalla propensione dell’impresa a cercare sotterfugi o escamotage, ma di fatto sopperisce all’assenza di regolamentazioni contrattuali adeguate a gestire picchi di lavoro o a tamponare esigenze organizzative che le imprese del commercio, del turismo e dei servizi si trovano ad affrontare in determinati momenti dell’anno o in certe fasce orarie».

Portano ad un’ulteriore segmentazione di un mercato – già stretto – come quello del lavoro?

«Solo una minima parte di chi lavora a voucher raggiunge il tetto dei 7mila euro, con il risultato che questo sistema a ticket porta ad un’ulteriore parcellizzazione del mercato. I dati illustrati dall’Inps nel settembre scorso nel Working Papers evidenziano come in un anno ogni percettore di voucher riscuota fino a 64 voucher in media. Siamo quindi ben lontani dal tetto massimo di 200 voucher che ogni datore di lavoro può utilizzare. Il risultato di questo meccanismo è una continua turnazione dei lavoratori anche per attività che non sono discontinue, come l’impiego di addetti alla vendita nel commercio».

Quale è invece il campo di applicazione d’elezione dei voucher ?

«I voucher andrebbero ricondotti nell’ambito originario per cui se ne scelse l’adozione, ossia in campo agricolo, per ovviare a grosse lacune a livello contrattuale. È stata invece snaturata l’idea di Marco Biagi, che attraverso i voucher voleva normare la raccolta per la vendemmia o altre attività stagionali su cui pesava l’ombra del caporalato».

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Da un lato c’è stata una distorsione e un abuso dei voucher, dall’altro mancano evidentemente alternative valide. Come si esce da questa situazione?

«Non possiamo esimerci dal prendere atto di una carenza nella capacità di contrattare con i sindacati una formula alternativa che riesca a rispondere alle esigenze del datore di lavoro. Si potrebbe ripartire, ad esempio, da una rivisitazione del part-time. I sindacati non accettano però il confronto su questi argomenti. Non è possibile intavolare discussioni e valutare nuovi strumenti contrattuali se i sindacati girano la testa dall’altra parte e continuano a riproporre modelli contrattuali di stampo fordista che potevano continuare a funzionare solo fino a quarant’anni fa».

Ad oggi, in assenza di una flessibilità su part time, quali sono le formule alternative a voucher?

«Il contratto a chiamata ha rappresentato per anni un modo di ricondurre nella contrattazione aziendale il lavoro precario o a tempo, gestendo in un certo – seppur instabile – equilibrio la necessità di flessibilità d’impresa. Ma questa formula è stata di fatto cannibalizzata negli ultimi anni dai voucher. E l’utilizzo dei voucher per mansioni non discontinue come l’attività di vendita nel commercio non aiuta la crescita professionale degli addetti, pur rispondendo ad un’esigenza contingente aziendale. Il rischio futuro è di disperdere la professionalità di ogni mansione per cui i voucher vengono impiegati».

Quale potrebbe essere il modello di riferimento? Molti invocano il mini-job tedesco. Cosa ne pensa?

«I mini job tedeschi hanno permesso alla Germania di avere buoni dati occupazionali. Ma il modello tedesco che molti suggeriscono che l’Italia debba imitare ha portato sì al miracolo occupazionale del Jobwunder, ma di contro ha creato una forte segmentazione del mercato, con milioni di persone costrette a svolgere uno o più mini-job. Il contratto prevede 15 ore di lavoro settimanali con una retribuzione massima di 450 euro al mese. Il nostro part-time prevede un minimo di 16 ore settimanali e, una sua rivisitazione più flessibile e rispondente alle esigenze aziendali, potrebbe essere un buon punto da cui ripartire, nell’ambito però di una stabilizzazione del mercato e di una crescita professionale degli addetti».


Agricolo, autonomo o all’estero: la fotografia del Censis sul lavoro che cambia

Eccesso di offerta e lavoro a basso costo caratterizzeranno lo scenario mondiale anche nel 2017. All’interno di questa cornice, il 50esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese presentato oggi ha analizzato, nel capitolo “Lavoro, professionalità, rappresentanze” alcuni aspetti salienti.

Qualità delle risorse umane e attrazione degli investimenti

Una indagine del Censis presso un panel di responsabili di multinazionali, organizzazioni e media esteri presenti nel nostro Paese, realizzata per l’Associazione Italiana Banche Estere, ha indicato nella qualità delle risorse umane uno dei fattori che oggi rendono l’Italia più attrattiva nelle decisioni di investimento nel nostro Paese. Allo stesso tempo, hanno dichiarato che il sistema-Italia appare ancora penalizzato soprattutto dal basso livello di flessibilità del mercato del lavoro.

Nel 2015 il flusso in entrata di investimenti diretti esteri si è attestato su 11,7 miliardi di euro, circa 1,2 miliardi in meno rispetto al 2014 e 2,9 miliardi in meno rispetto alla cifra raggiunta nel 2013. I flussi dall’estero si sono ridotti dal 5,3% al 4,3% del totale degli investimenti fissi lordi nel triennio. I flussi in uscita dell’Italia hanno mostrato una riduzione fino a 12,6 miliardi di euro, passando dal 5,5% al 4,6% degli investimenti fissi lordi totali. Nel 2015 il volume complessivo delle risorse estere investite in Italia si è attestato su 420 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio la consistenza degli investimenti esteri è cresciuta anche per la debolezza del Pil italiano ed è pari al 25,6%, un valore che resta molto lontano da quelli relativi ad altri Paesi come la Francia (31,9%) o il Regno Unito (51,1%).

La nuova geografia del lavoro agricolo

Gli occupati nel settore agricolo hanno raggiunto nel 2015 le 910.000 unità, con un incremento in termini assoluti di circa 20.000 occupati rispetto al 2014 e di 18.000 rispetto ai due anni precedenti. Rispetto all’anno precedente, nel 2015 gli occupati aumentano del 2,2%. La crescita delle ore lavorate e delle unità di lavoro tende invece a consolidarsi a partire dal 2014: le prime aumentano nel 2014 del 2,1%, mentre nel 2015 l’aumento supera i 3 punti percentuali. Le seconde crescono del’1,5% nel 2014 e del 2,2% nel 2015. La tendenza positiva innescata nel corso del 2015 verrebbe confermata anche dai dati del primo semestre 2016. A livello nazionale gli occupati aumentano di 45.000 unità rispetto al primo semestre 2015. Da una recente indagine del Censis sulle imprese aderenti alla Confederazione Italiana Agricoltori emerge che tra i fattori che hanno contato di più nella scelta del lavoro agricolo, accanto alla tradizione familiare (52,6%), figura la grande passione (28,9%).

A casa nel mondo: il vissuto lavorativo e professionale degli italiani all’estero

A distanza di tre anni dalla precedente analisi, il Censis ha proposto allo stesso panel di italiani all’estero una serie di domande volte a ricostruire il vissuto lavorativo e professionale, e a tracciare l’immagine dell’Italia attraverso le lenti di chi ha lasciato il Paese negli ultimi anni. Il 62,7% considera stabile la propria presenza all’estero e intende continuare a vivere nel Paese di destinazione, il 6,2% è attivato per restare, il 22% non ha ancora progetti precisi. Rispetto a tre anni fa, l’area della stabilità si è estesa (allora la quota era paria al 55%), dando conferma di una crescente propensione degli individui a consolidare anche lontano dal Paese d’origine la propria esistenza. L’85,7% dichiara di lavorare: il 38,9% ha cambiato lavoro negli ultimi tre anni e una percentuale simile ha sperimentato nel triennio almeno un periodo di inattività. Il livello di integrazione raggiunto risulta soddisfacente per 8 intervistati su 10: la quota restante si distribuisce tra chi dichiara di avere ancora qualche difficoltà a integrarsi nel Paese in cui vive, mentre solo il 3,4% si sente poco o per nulla integrato.

Chi non intende tornare in Italia rappresenta una percentuale del 31,5%, cui si contrappone un’area di persone, pari a poco più del 20%, che vede il ritorno in Italia come un possibile esito futuro anche a breve. La scelta di trasferirsi all’estero è in ogni caso una scelta che ha soddisfatto l’81,7% del totale e solo l’1,1% la considera una scelta sbagliata. Il 52,3% dei rispondenti si riconosce nell’affermazione che indica nell’Italia un Paese pieno di risorse, ma penalizzato dalla sua classe dirigente.

La lenta transizione del lavoro autonomo

Anche nel rallentamento della crescita economica, il lavoro autonomo si presenta come una valida alternativa al lavoro dipendente. Su 100 laureati italiani, circa 20 svolgono la professione in modo autonomo, contro i 13 della Germania, i 9 della Francia e gli 11 della media europea. Ogni 100 lavoratori autonomi con una età compresa tra 15 e 74 anni, in Italia ci sono 16 professionisti, contro i 14 della Germania, i 12 del Regno Unito e i 2 della media europea. Il decennio 1997-2006 è stato caratterizzato da un forte incremento degli iscritti agli Ordini e ai Collegi professionali: soprattutto architetti e ingegneri, ma anche giornalisti, psicologi, commercialisti. Nei successivi dieci anni la situazione inizia a capovolgersi: il numero dei laureati cresce di altri 2 milioni di persone, la coda della lunga rincorsa alla professione regolata continua a mostrare i suoi effetti, ma dal 2010 in poi il numero di professionisti in alcune professioni specialistiche appare stabilizzato, se non in contrazione. Negli ultimi anni il numero di nuove partite Iva in questo segmento professionale varia significativamente da anno ad anno. Il 2014 è stato caratterizzato da un incremento straordinario nell’apertura di partite Iva, dovuto all’introduzione con la legge di stabilità 2015 di un regime fiscale di vantaggio. Nel solo mese di dicembre 2014 il numero di aperture per il settore è stato pari a poco meno di 27.000 unità (contro le 1.936 dello stesso mese dell’anno precedente).


Cavaliere del Lavoro, consegnata l’onorificenza a Pierino Persico

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Per l’imprenditore Pierino Persico è arrivato anche il momento della stretta di mano con il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella. Oggi al Quirinale si è svolta la cerimonia di consegna delle onorificenze dell’Ordine “Al Merito del Lavoro” ai venticinque Cavalieri nominati dal Capo dello Stato in occasione della Festa della Repubblica. Tra loro, unico bergamasco, il fondatore della Persico Spa, l’azienda con sede a Nembro conosciuta in tutto il mondo per gli stampi e i prodotti all’avanguardia nei settori automotive, nautico e industriale.

pierino-persico-premiazione-cavaliere-del-lavoro-1Nato ad Albino l’8 ottobre del 1947, Persico, al lavoro sin da adolescente, ha avviato nel 1976, insieme alla moglie Isa, una “modelleria” del legno per la realizzazione di stampi utilizzati nelle produzioni in serie. Oggi quell’attività nata in un sottoscala ad Albino – come ama ricordare – è diventata simbolo di innovazione, capacità imprenditoriale ma anche profondo attaccamento al territorio. L’azienda, che vede impegnati anche i figli Claudia, Alessandra e Marcello, fattura circa 100 milioni di euro, con un export dell’80%. Impiega 300 addetti e tra le sue realizzazioni più famose annovera lo scafo di Luna Rossa per l’American’s Cup.

L’onorificenza è ancora più significativa perché arriva nel 40esimo di fondazione dell’impresa. Gli albinesi, intanto, sono già pronti a complimentarsi con il neocavaliere. Sabato 19 novembre all’auditorium comunale è infatti in programma lo spettacolo teatrale prodotto dalla Persico Spa per il festival Desidera “È stato un bel settembre – Roncalli e lo sciopero di Ranica” di Paolo Aresi. L’ingresso è libero.

pierino-persico-premiazione-cavaliere-del-lavoro-4Il presidente della Repubblica ha consegnato le insegne ai nuovi Cavalieri del Lavoro e gli attestati ai nuovi Alfieri del Lavoro. Alla cerimonia al Quirinale hanno preso la parola anche il presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, Antonio D’Amato, e il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda.

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Aperture dei negozi, arrivano le feste e le regole non ci sono ancora

A pochi giorni dal “ponte dei Santi” si riaccende l’attenzione sulle aperture festive degli esercizi commerciali.

In base al nuovo disegno di legge, Ognissanti rientra tra le giornate in cui tenere le serrande abbassate. Ma a distanza di un anno e mezzo, il testo è ancora fermo in Senato. È facile quindi aspettarsi che molti negozi e centri commerciali anche nella nostra provincia il primo novembre saranno aperti.

La normativa in fase di discussione fissa dei paletti sul tema delle aperture e chiusure degli esercizi commerciali e mette a disposizione dei contributi per i piccoli negozi, affinché possano rinnovarsi sia nei locali, sia tecnologicamente. Nel dettaglio, introduce l’obbligo di chiusura per almeno 12 festività, di cui 6 derogabili a livello locale, e istituisce un fondo di 50 milioni di euro per i piccoli negozi. Due elementi che dovrebbero dare un primo segnale di riequilibrio tra la Gdo e i negozi di vicinato, che non hanno dipendenti o che hanno difficoltà a gestirli.

La Fida, Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione, avvicinandosi il periodo delle feste natalizie e, con esse, il rischio concreto di trovare i supermercati aperti nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno, invita a riprendere in mano il Disegno di Legge. «Non si tratta di una questione soltanto di carattere morale – spiega Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida e vicepresidente di Confcommercio Imprese per l’Italia -, perché il tempo da dedicare alla famiglia è comunque sacrosanto, non solo per i lavoratori dipendenti ma anche per gli imprenditori. Si tratta ugualmente di una questione di carattere economico, perché la deregolamentazione delle aperture festive ha portato solo all’impoverimento del tessuto commerciale: non ha fatto crescere i nostri fatturati ma soltanto spostato quote di mercato verso la grande distribuzione».

La Federazione ha anche lanciato l’ipotesi di un “patto tra galantuomini” con i rappresentanti della Gdo, per garantire almeno la chiusura degli esercizi commerciali durante le feste natalizie di Natale, Santo Stefano e Capodanno.

L’accordo andrebbe a beneficio, oltre che dei commercianti tradizionali, anche dei dipendenti della grande distribuzione che con la legge di liberalizzazione – denunciano i sindacati – sono stati costretti ad accettare di lavorare nei giorni festivi senza riconoscimenti aggiuntivi e senza più turni certi di riposo naturale e feste comandate.

Ricordiamo che, in base alle norme approvate con il cosiddetto “Salva Italia” (L. 214/2011) e in particolare l’articolo 31, commi 1 e 2 (Orari e Apertura nuovi esercizi) e l’articolo 34 (Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante), oggi l’apertura è concessa per tutte le giornate dell’anno. Con la revisione in atto le date interessate dalle chiusure sarebbero Natale, Santo Stefano, Capodanno, Epifania, Pasqua, Pasquetta, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, Ferragosto, 8 dicembre, 1° novembre.


Contrattazione, Bergamo al top per numero di accordi e innovazione

La Fiera della Contrattazione è un’iniziativa della Cisl regionale per mettere a confronto e favorire la conoscenza degli addetti ai lavori sullo stato di salute della contrattazione sindacale nelle provincie della Lombardia.

Nell’edizione di quest’anno, Bergamo ha riportato importanti riconoscimenti: innanzitutto, sul totale degli accordi selezionati, il 25% (ossia 97 su 402 in valori assoluti) è stato stretto in aziende orobiche dalle categorie della Cisl. Poi, due di questi accordi sono stati segnalati come migliori delle proprie categorie: si tratta dell’accordo alla Daina (per la flessibilità) e quello all’Ubi Banca (per la gestione della crisi).

Nell’analisi generale, sottolinea Giorgio Caprioli, responsabile dell’Osservatorio contrattazione di Cisl Lombardia, «continua, senza eccessivi strappi, la tendenza a spostare la contrattazione dagli argomenti tradizionali a quelli difensivi o di scambio. La contrattazione rimane l’anima più profonda del nostro mestiere, ma è un’anima che si sta trasformando, senza che quasi ce ne accorgiamo: da una contrattazione tipicamente rivendicativa, dove “portavamo a casa” più salario e più diritti, a una contrattazione dove il lavoro non è dato più per scontato, ma è l’elemento principale, da salvaguardare anche a costo di qualche sacrificio sul salario e sui diritti. Il lavoro diventa così centrale, non più per il suo costo, ma come garanzia minima di reddito e di identità».

Bergamo, come detto, quest’anno ha riportato due riconoscimenti. L’intesa alla Daina, siglata dalla Fisascat Cisl, riguarda il meccanismo che regola la banca delle ore, che prevede un 50% di riposi compensativi a scelta del lavoratore e l’altro 50% a discrezione dell’azienda, per i periodi di minor intensità lavorativa.

«È stata un’intesa rivoluzionaria per l’ambito nella quale è avvenuta – ricorda Alberto Citerio, segretario generale Fisascat, autore dell’accordo -. Il centro Odontostomatologico Daina di Nembro è una realtà storica, operativa da 35 anni, molto professionale e strutturata. Applica il Ccnl degli studi professionali, ha più di 30 dipendenti, quasi tutte donne giovani, che svolgono il ruolo di assistenti alla poltrona. Nel Centro, si sono da subito evidenziate esigenze di conciliazione tra la famiglia e i tempi di lavoro. L’attività comportava improvvisi cambi di programma e il rispetto dei tempi spesso non poteva essere assolto».

«L’accordo raggiunto – prosegue – è stato il frutto di una contrattazione lunga e articolata sul secondo livello. Nel 2015 è stata infatti normata l’estrema flessibilità insita nella routine del lavoro e sono stati forniti strumenti di conciliazione in più: l’orario di lavoro straordinario sul part time viene rilevato in minuti e non in modo approssimato; la maggiorazione viene erogata nello stesso mese e l’eventuale recupero viene sempre concordato con la lavoratrice. Inoltre, importante, per gestire questo meccanismo è stato creato un tavolo tecnico, nel quale periodicamente si incontrano Rsu e direzione».

«È un piacere – conclude Citerio – che questo sforzo sia stato evidenziato: non è semplice sviluppare contrattazione di secondo livello in strutture di questo tipo. Credo anzi che sia un caso unico in tutta Italia».

Poco tradizionale anche l’accordo raggiunto in Ubi nel corso dello scorso anno, per la concessione da parte dell’azienda di congedo non retribuito e di part-time, l’accoglimento delle domande di prepensionamento da parte dei disabili, la copertura da parte dell’azienda di un ulteriore 20% in caso di congedo parentale, per gestire nel modo più indolore possibile la crisi che comporta esuberi.

Andrea Battistini, della First Cisl di Bergamo lo ricorda ancora: «L’azienda ci ha prospettato, dal 2012 in poi, esuberi per quasi 2.000 lavoratori in tutto il gruppo, chiedendo di attivarci per avviare esodi e prepensionamenti, solidarietà obbligatoria, deroghe al Ccnl e all’integrativo e utilizzo della legge 223 per i licenziamenti collettivi».

Nel corso degli anni la trattativa sindacale è riuscita a contenere il numero degli allontanamenti e l’utilizzo di deroghe; ad adottare la Solidarietà solo in regime di volontarietà e favorito un numero alto di prepensionamenti. Infine, con l’intesa del 2015, rimanendo nel solco del Contratto nazionale, i sindacati hanno lavorato per esuberi volontari, social day volontari e congedi parentali (+39% sull’anno precedente), incentivo al part time (cresciuto del 29%), tagli dello straordinario, mentre, sugli ultimi 70 esuberi, sono stati privilegiati dipendenti svantaggiati o titolari di 104 (e in 17 ne hanno usufruito).

«Le banche – termina Battistini – non generano più la redditività di una volta perché la metà dei ricavi è determinata dall’intermediazione, e i crediti pesano. Noi siamo riusciti a rivedere le strategie di contrattazione, utilizzando strumenti come la solidarietà che non facevano parte della nostra cassetta degli attrezzi. Abbiamo permesso all’azienda di risparmiare e abbiamo favorito la conciliazione della vita e del lavoro, della qualità e tutto su base volontaria. Abbiamo coniugato interessi una volta incompatibili».