Sicurezza sul lavoro, entro il 7 maggio le richieste di contributo

sicurezza sul lavoro 2Si avvicina la scadenza dei termini per beneficiare dei fondi Inail per la sicurezza, fissata al 7 maggio. L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro mette a disposizione oltre 41 milioni di euro in Lombardia per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro o per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale. Il bando, promulgato a livello nazionale, destina alle aziende oltre 267 milioni di euro a titolo di contributi a fondo perduto. Tale somma rappresenta la quinta tranche di un ammontare complessivo di oltre un miliardo di euro stanziato dall’Istituto a partire dal 2010.

Il bando ha l’obiettivo di incentivare le imprese a realizzare progetti per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. I soggetti destinatari dei contributi sono le imprese, anche individuali, ubicate su tutto il territorio nazionale iscritte alla Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura. Al momento della domanda, l’impresa richiedente deve soddisfare, a pena di esclusione, i seguenti requisiti:

  • avere attiva in Lombardia l’unità produttiva per la quale intende realizzare il progetto essere in regola con gli obblighi assicurativi e contributivi di cui al Documento Unico di Regolarità Contributiva (D.U.R.C.);
  • non aver chiesto, né aver ricevuto, altri contributi pubblici sul progetto oggetto della domanda;
  • non aver ottenuto, a seguito della verifica amministrativa e tecnica della documentazione a conferma della domanda online, il provvedimento di ammissione al contributo per uno degli Avvisi pubblici INAIL 2011, 2012 o 2013 per gli incentivi alle imprese per la realizzazione di interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
PROGETTI AMMESSI A CONTRIBUTO

Sono ammessi a contributo i progetti ricadenti in una delle seguenti tipologie:

  • progetti di investimento;
  • progetti per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale.

Le imprese possono presentare un solo progetto riguardante una sola unità produttiva e una sola tipologia tra quelle sopra indicate.

AMMONTARE DEL CONTRIBUTO

Il contributo, in conto capitale, è pari al 65% delle spese ammesse ed è calcolato al netto dell’IVA. In ogni caso, il contributo massimo erogabile è pari a € 130.000 mentre il contributo minimo ammissibile è pari a € 5.000.

SPESE AMMESSE A CONTRIBUTO

Sono ammesse a contributo le spese direttamente necessarie alla realizzazione del progetto, le eventuali spese accessorie o strumentali funzionali alla realizzazione dello stesso e indispensabili per la sua completezza. Le spese devono essere sostenute dall’impresa richiedente i cui lavoratori e/o titolare beneficiano dell’intervento. Le spese ammesse a contributo devono essere riferite a progetti non realizzati e non in corso di realizzazione alla data del 7 maggio 2015. Resta a carico dell’impresa ogni onere economico nel caso in cui la propria domanda di contributo non si collochi in posizione utile ai fini del finanziamento nella successiva fase di inoltro online o non superi le fasi di verifica o rendicontazione.

SPESE NON AMMESSE A CONTRIBUTO

Non sono ammesse a contributo le spese relative all’acquisto o alla sostituzione di:

  • dispositivi di protezione individuale ai sensi dell’art. 74 del D. Lgs 81/2008;
  • veicoli, aeromobili e imbarcazioni non compresi nel campo di applicazione del D. Lgs 17/2010;
  • impianti per l’abbattimento di emissioni o rilasci nocivi all’esterno degli ambienti di lavoro, o comunque qualsiasi altra spesa mirata esclusivamente alla salvaguardia dell’ambiente;
  • hardware, software e sistemi di protezione informatica fatta eccezione per quelli dedicati all’esclusivo funzionamento di impianti o macchine oggetto del progetto di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza;
  • mobili e arredi (scrivanie, armadi, scaffalature fisse, sedie e poltrone, ecc.);
  • ponteggi fissi.

Non sono inoltre ammesse a contributo le spese relative a:

  • trasporto del bene acquistato;
  • sostituzione di macchine di cui l’impresa richiedente il contributo non ha la piena proprietà;
  • ampliamento della sede produttiva con la costruzione di un nuovo fabbricato o con ampliamento della cubatura preesistente;
  • consulenza per la redazione, gestione ed invio telematico della domanda di contributo;
  • adempimenti inerenti la valutazione dei rischi di cui agli artt. 17, 28 e 29 del D. Lgs 81/2008 e s.m.i.;
  • interventi da effettuarsi in luoghi di lavoro diversi da quelli nei quali è esercitata l’attività lavorativa al momento della presentazione della domanda;
  • manutenzione ordinaria degli ambienti di lavoro, di attrezzature, macchine e mezzi d’opera;
  • acquisizioni tramite locazione finanziaria (leasing);
  • acquisto di beni usati;
  • mero smaltimento dell’amianto (lo smaltimento è ammesso solo nel caso in cui l’intervento rientri in un progetto complessivo volto al miglioramento delle condizioni di salute dei lavoratori dell’azienda nel quale è compresa la rimozione dell’amianto ad esempio presente in coperture, per coibentazione e similari;
  • acquisto di beni indispensabili per avviare l’attività dell’impresa;
  • costi del personale interno: personale dipendente, titolari di impresa, legali rappresentanti e soci.

Nel caso di vendita o permuta di macchine sostituite nell’ambito del progetto di finanziamento il 65% del contributo a carico dell’INAIL verrà decurtato della somma pari alla differenza tra l’importo realizzato con la vendita (o con la permuta) e quello della quota parte del progetto a carico dell’impresa (pari al 35% dell’importo del progetto). Nel caso in cui l’importo ricavato dalla vendita (o dalla permuta) sia inferiore o pari alla quota parte del progetto a carico dell’impresa (35% dell’importo del progetto) non verrà effettuata alcuna decurtazione.

MODALITÀ DI PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE

Le domande devono essere presentate in modalità telematica, secondo le seguenti 3 fasi successive:

  • accesso alla procedura on line e compilazione della domanda;
  • invio della domanda on line;
  • invio della documentazione a completamento della domanda

Prerequisito necessario per accedere alla procedura di compilazione della domanda è che l’impresa sia in possesso di un codice ditta registrato negli archivi INAIL. Le richieste possono essere presentate inderogabilmente fino alle ore 18,00 del giorno 7 maggio 2015 sul sito www.inail.it – sezione Servizi online. In caso di ammissione al finanziamento, il progetto deve essere realizzato (e rendicontato) entro 12 mesi (365 giorni) decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione di esito positivo.
Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere allo Sportello del Credito della Cooperativa Fogalco in via Borgo Palazzo, 154 a Bergamo. Tel: 035 4120321 (responsabile del servizio Matteo Milesi).


Jobs Act, «persa un’occasione per favorire l’occupazione giovanile»

Emmanuele Massagli, 32 anni, è dal 2012 presidente di Adapt, associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro, ed è membro del collegio dei docenti della Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro dell’Università di Bergamo. Massagli, che è dottore di ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro con una tesi sul lavoro dei giovani, nel commentare la nuova riforma non nasconde un certo scetticismo di fronte alle ricadute positive del Jobs Act sull’occupazione giovanile: «Mi aspetto senz’altro più assunzioni, ma dubito che interessino giovani o fasce deboli. L’incentivazione economica corposa della Legge di Stabilità rende di fatto più vantaggiosa l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori esperti». Il problema della disoccupazione giovanile continua così a crescere: «È paradossale, ma l’Italia che conta ormai 2 milioni e mezzo di Neet  (Not – engaged – in Education, Employment or Training) e ha un tasso di disoccupazione giovanile del 43% sta perdendo l’occasione di rilanciare l’occupazione degli under 30 messa a disposizione dal Piano Garanzia Giovani, con 1 miliardo e 500 milioni di euro di risorse europee».  L’ennesima opportunità Ue sfumata? «Fa rabbia perdere risorse destinate ad alleggerire una vera e propria emergenza sociale. Ma tra cambi di governo (il piano è nato con il Governo Monti, è stato approvato da quello Letta ed è diventato operativo con Renzi, ndr.) e gestione frammentaria delle Regioni che detengono la responsabilità delle politiche attive del lavoro, sono solo 12mila le offerte di lavoro ad oggi presentate. Bisognava coinvolgere le associazioni datoriali e fare una campagna di informazione forte rivolta ai giovani nei luoghi che frequentano».

Quali sono i reali benefici per le pmi della riforma del lavoro?

Il principale vantaggio sta non tanto nel Jobs Act ma nella Legge di Stabilità. Per la  prima  volta il contratto a tempo indeterminato diventa competitivo, arrivando a costare meno dell’apprendistato di durata inferiore ai due anni e sensibilmente meno di un inquadramento a  tempo determinato. Grazie all’incentivazione economica è previsto l’esonero dei contributi per tre anni consecutivi per ogni nuova assunzione a tempo indeterminato effettuata nel 2015. Si tratta di un risparmio di 8.070 euro annui per ogni neo-assunto. Anche la deducibilità ai fini Irap dei costi del personale a tempo indeterminato va a vantaggio sia delle imprese che del lavoratore, che vede una stabilizzazione degli 80 euro in busta paga.

Si intravedono già effetti sul mercato del lavoro?

Solo nella Provincia di Milano nel mese di gennaio sono cresciuti del 23% i contratti a tempo indeterminato. Ed è facile prevedere che con l’entrata in vigore del contratto a tutela crescenti si registri un ulteriore aumento di assunzioni: sono molte le imprese che stanno aspettando le nuove regole per assumere.

 Non c’è il rischio che come con altri incentivi si “dopi” il mercato del lavoro?

Come tutti gli incentivi altera il mercato, ma se l’economia riprende a partire dal 2016 ci sono buone speranze per i 200mila nuovi occupati che si stima di avere nel 2015. Non credo che le aziende – come paventano i sindacati – si mettano ad assumere per poi licenziare. Per le aziende il contenzioso rappresenta una perdita inutile di tempo e di risorse.

Crede che porti davvero una nuova svolta nell’abbattimento del contenzioso?

La semplificazione della disciplina in uscita è senza dubbio un vantaggio perché rende più quantificabile per le aziende i costi di una causa persa. Il Jobs Act è prevedibile che porti ad un abbattimento del contenzioso, anche se in realtà le cause ex articolo 18  sono solo 70mila l’anno e, in base ai dati del Ministero della giustizia pre-riforma Fornero, rappresentano il 12% dei contenziosi. Senz’altro cambieranno le strategie delle imprese per difendersi e licenziare, dato che il reintegro diventa un’eccezione.

 Quale valore assume la contrattazione aziendale con la riforma?

Tenderà a crescere e ad avere un ruolo sempre più importante. Il mercato del lavoro sembra però andare verso il contratto individuale data la crescita dei lavoratori autonomi. Il popolo delle partite Iva conta 5 milioni e 500mila lavoratori e senza dubbio uno dei limiti più grandi del Jobs Act è quello di essere stato costruito attorno ad un’idea di subordinazione, in un mercato del lavoro sempre più individuale.

Quali sono altri punti deboli e  zone d’ombra della riforma?

Oltre a non aver considerato i lavoratori autonomi, il Jobs Act ha dato una stretta sui contratti a progetto che comunque non spariranno come annunciato da Renzi. Infatti questa tipologia contrattuale che interessa circa 500mila lavoratori continuerà ad essere impiegata laddove è regolato da contrattazione collettiva. Il Jobs Act sembra inoltre avere come disegno un aumento dei contratti a tempo indeterminato per andare a creare una flexsecurity in linea con i Paesi del Nord Europa. Si va concretizzando una maggiore flessibilità ma mancano ancora i pilastri delle politiche passive, a partire dagli ammortizzatori sociali, e aspettiamo la bozza sulle politiche attive. Senza politiche passive e politiche attive efficienti diventa davvero difficile trovare un equilibrio.


Tutti formatori, ma occhio a chi improvvisa

formatore Mi occupo di processi formativi e di formazione aziendale da diversi anni e da qualche tempo non ho potuto esimermi dal fare una considerazione: “sono tutti diventati formatori”. Sembra infatti che sia sufficiente una laurea ad indirizzo umanistico, un qualche corso di formazione istituito dalle tante società presenti sul mercato e una buona dialettica per fregiarsi del titolo di “consulente della formazione” o di “esperto dei processi formativi”. A costo di risultare antipatico, lo voglio dire, ma non sono assolutamente d’accordo con questo trend, che combatto da sempre. Sono convinto che essere formatori rappresenti una scelta professionale, che scaturisce da un preciso percorso personale e professionale, che necessita di aggiornamento continuo.

Lasciando perdere il discorso della motivazione personale sulla quale non posso entrare in merito, desidero però focalizzare l’attenzione sui percorsi formativi che aiutano a divenire dei formatori provetti. Come in ogni settore ci sono un’infinità di corsi e corsetti che sdoganano alla professione di formatore e diventa pertanto difficile capire quali valgono e quali invece è meglio lasciar perdere. Oggi con un titolo di studio universitario integrato a dei corsi di specializzazione e ad un’esperienza di almeno cinque anni, l’AIF, l’Associazione Italiana Formatori, certifica il profilo professionale del formatore; e anche sul sito dell’ISFOL, l’Istituto Professionale per la Formazione dei Lavoratori è possibile trovare informazioni corrette e aggiornate in materia. Ecco io partirei da queste due realtà e per qualsiasi domanda su temi quali corsi riconosciuti ed elenchi di formatori seri e preparati, chiederei a questi signori, che il settore della formazione lo conoscono bene. Ogni tanto qualcuno mi chiede una valutazione sui percorsi offerti dalle università: in realtà non mi dispiacciono, ma bisogna fare attenzione perché spesso si concentrano sugli aspetti istituzionali e amministrativi della formazione finanziata (il mercato della formazione professionale è suddiviso nei tre comparti formazione finanziata, formazione aziendale e formazione privata) e il rischio è quello di imparare ad essere un burocrate e non un formatore. Se poi pensiamo che il comparto dei fondi pubblici per la formazione è in forte decrescita a causa dei continui tagli alla pubblica amministrazione e della crisi economica, è più opportuno investire il proprio tempo in momenti formativi che approfondiscono la gestione e la tenuta del gruppo, la comunicazione efficace e i processi formativi complessi.

Oggi il formatore è un anello di congiunzione tra la formazione e il lavoro ed è chiamato a formare e riqualificare inoccupati e disoccupati e a curare l’aggiornamento professionale di chi ha un lavoro, ma necessità di migliorare le proprie performance.

La stessa parola “formatore” deriva dal latino “formator” e indica l’attività “di chi forma e dà forma a qualcosa o qualcuno”; nel linguaggio pedagogico e aziendale, il formatore è colui che prepara le persone a svolgere un’attività, una professione o ad iniziare un cambiamento personale. Il suo ruolo è quindi quello di costruire e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro e di qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro. Per sua natura il formatore può assumere funzioni più o meno ampie o specializzate a seconda della richiesta e delle sue competenze e in ragione al perseguimento degli obiettivi formativi può occuparsi solo della gestione didattica oppure dell’analisi dei fabbisogni, della progettazione, della valutazione, del monitoraggio dell’intervento. E poi un formatore “vero” può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell’utenza.

Essendo quindi il risultato di uno sviluppo costante dell’individuo, la sua competenza non è mai statica e in nessun momento può propriamente dirsi raggiunta, ma al contrario deve crescere e svilupparsi di continuo  Capite perché sono particolarmente severo con coloro che non studiano, che non si aggiornano e che pensano sia sufficiente trasmettere due slide ed essere spigliati per “fare formazione”. Bisogna invece dimostrare di saper utilizzare conoscenze ed abilità specifiche, di essere in grado di personalizzare le azioni formative, di possedere spiccate capacità comunicative e valutative e di conoscere  gli ultimi aggiornamenti in tema di metodologie della formazione. Allora si che ci si può fregiare del titolo di “esperti formatori”. Tutti gli altri sono gli improvvisati della formazione, di cui francamente il mercato del lavoro può farne  volentieri a meno.