Se grandi cuochi come Paul Bocuse, Roger Vergè e George Blanc non hanno mai nascosto di dover tutto alle donne, a partire da La Mere Brazier, è duro a tramontare il pregiudizio che quella dello chef sia una carriera prettamente maschile. Un lavoro di sacrificio per un uomo, figuriamoci per una donna, chiamata da sempre a tessere e tenere le fila di equilibri familiari spesso in bilico. E invece, dati alla mano, la cucina italiana si declina al femminile e non solo per tradizione nelle cucine casalinghe dove ancora si spadella (ahimè sempre meno), ma nei ristoranti più blasonati.
Con 45 chef stellate Michelin, l’Italia detiene un vero e proprio record mondiale della “cucina d’autrice”. Sono infatti solo 134 le donne premiate dalla Guida rossa in tutto il mondo. In moltissimi casi sono davvero “Wonder”, da São Paulo in Brasile alla Slovenia. Da Helena Rizzo, architetto ed ex super modella brasiliana, migliore chef al mondo nel 2014, ad Ana Ros, miglior cuoca al mondo in carica World’s 50 Best, nonché ex sciatrice della nazionale jugoslava, laureata in relazioni internazionali, che a Caporetto ha optato per la cucina con relativa disfatta della sua carriera diplomatica.
La maggior parte delle chef di casa nostra è autodidatta in cucina e ha fatto studi, quasi sempre universitari, in tutt’altro campo. A molte è toccato lavorare gomito a gomito con la suocera come executive-chef e chissà se non sia stato proprio questo doppio stress a farle brillare in cucina fino a catturare una o più stelle Michelin. Hanno risollevato e portato in alto ristoranti di famiglia in località nella maggior parte dei casi sperdute, hanno trasformato in indirizzi esclusivi agriturismi come Caterina Ceraudo o addirittura pub come Maria Cicorella. Molte non hanno rinunciato al metter su famiglia, anche numerose: è il caso di Nadia Vincenzi, 4 figli e 9 nipoti e di Katia Maccari, mamma di tre bambini, per citarne solo alcune. Eppure i riflettori sono quasi sempre puntati sui colleghi maschi, salvo qualche rara eccezione, in particolare le tristellate, tutte orgogliosamente autodidatte, Nadia Cavaliere Santini e Annie Feolde, che hanno portato la cucina italiana ai massimi livelli. Dalla prossima stagione Antonia Klugmann – chef de “L’Argine di Vencò” di Dolegna del Collio che ha detto addio a un futuro da avvocato – prenderà il posto di Carlo Cracco nella giuria di Masterchef, talent che tutti gli addetti ai lavori rinnegano come diseducativo, ma che di fatto a suon di record di ascolti riuscirà – si spera – a far brillare la cucina in rosa. Nel frattempo, abbiamo chiesto a due chef stellate, Loredana Vescovi e Nadia Vincenzi, e alla presidente dei ristoratori bergamaschi Ascom, Petronilla Frosio, di ripercorrere la loro storia professionale e di svelare i segreti di una cucina orgogliosamente femminile.
Loredana Vescovi
Antica Osteria dei Camelì – Ambivere
Loredana Vescovi questo lavoro si può dire l’abbia sposato qualche mese prima del matrimonio ufficiale con Camillo Rota. A dicembre 1985 si è presa una pausa dal lavoro di addetta paghe e contributi in uno studio per lavorare a fianco della futura suocera Fernanda Paredi, classe 1930, ancora oggi in cucina all’Antica Osteria dei Camelì di Ambivere. «Ma non è stata una prova di fuoco prima del nostro matrimonio a giugno del 1986 – precisa con un sorriso Loredana Vescovi -. Con mia suocera siamo andate subito d’accordo e io le ho rubato giorno dopo giorno il mestiere con gli occhi. Dopo tre mesi ho chiamato lo studio per dire che non sarei più tornata e dal 1° gennaio del 1986 sono sempre in questa cucina, dalle 7.30 alle 16 e dalle 18.30 a mezzanotte se va bene, ma anche all’una e alle due di notte. Unica eccezione, in 30 anni, uno stage da Angelo Paracucchi ad Ameglia nel 1993».
La passione per la cucina è stata subito grande e l’ha spinta ad alzare presto l’asticella, fino a farsi strada, lasciando che fossero i piatti a parlare per lei. Fino ad ottenere nel 2006 per lo storico locale, una cascina del Cinquecento, dal 1856 gestita dalla famiglia Rota, la stella Michelin.
Quella del Camelì è sempre stata ed è tuttora una cucina totalmente al femminile, custode della tradizione per scelta ma creativa per natura: «Siamo tutte donne in cucina e in pasticceria. Lavoriamo da talmente tanto tempo assieme, che ormai ci basta uno sguardo per intenderci. Credo che le donne abbiano una naturale propensione per la cucina, per nutrire, ricevere, accogliere. Ce l’abbiamo nel dna». Quella femminile, secondo Loredana Vescovi, è una cucina diversa, con più cura e più cuore: «C’è una cura tutta femminile nell’amore per i dettagli, nella pulizia e nell’ordine, che credo che comunque emerga. Io, ad esempio, amo svuotare e ripulire tutti i cassetti in cucina con una certa frequenza, passo molto tempo a preparare i fiori che abbelliscono la tavola. Non so quanti miei colleghi facciano altrettanto».
Lavorare in famiglia, con il marito Camillo in sala, è naturale per la chef del Camelì, che sembra smorzare sul nascere qualsiasi tensione e litigata casalinga: «La nostra forza è la famiglia. Ci si sopporta e capisce al volo e di fatto non si è mai litigato davvero in tanti anni di lavoro assieme. È anche forse l’unico modo per vedersi, con un lavoro che di tempo libero ne lascia davvero poco». I sacrifici del mestiere sono tanti e per una donna diventano doppi: «Io non ho figli, ho la fortuna di lavorare con mio marito e per andare a casa devo solo salire le scale. È faticoso a volte conciliare tutto per me, non oso immaginare come faccia chi ha bambini da crescere», ammette Loredana Vescovi, che tra una lievitazione e l’altra, sta pensando al cambio armadi che continua a rinviare.
È un mestiere che comunque consiglia, purché lo si faccia per convinzione: «Alle aspiranti chef consiglio di mettere la passione al primo posto e di usare gli ingredienti migliori, perché specialmente in questi anni difficili la qualità alla fine ripaga sempre e avere un rapporto diretto con i produttori porta a rispettare al massimo la materia prima e a far sì che essa si esprima al meglio. Per farsi strada ci vuole carattere, ma non serve sgomitare: è meglio rubare il lavoro con gli occhi e farsi valere perché quello che fai vale davvero». Anche perché i pregiudizi esistono ancora: «Tante volte mi capita di rispondere al telefono e di sentirmi chiedere dall’altra parte della cornetta di parlare con lo chef».
Nadia Vincenzi
Ristorante “Da Nadia” – Castrezzato
Nadia Vincenzi, chef del Ristorante “Da Nadia” di Castrezzato, dove brilla dal 2011 la stella Michelin, che già aveva conquistato nel 2000 “Al Desco”, a Sarnico, questo lavoro lo vive e respira tutti i giorni sin da ragazzina. Gli anni spensierati delle Superiori, a ragioneria, quando viene eletta anche Miss Molise, lasciano presto il passo a grandi responsabilità. Un brutto incidente in auto costringe ad una lunga convalescenza i suoi genitori Valter e Liliana, così a Nadia e suo fratello Bobo, da anni ristoratore affermato del Ribo di Guglionesi, tocca mandare avanti il ristorante di famiglia.
«Ci muovevamo all’alba con una 600 sgangherata, senza ancora la patente, per acquistare il pesce al mercato di Termoli, dove a trattare sul prezzo e ad aiutare mio fratello a caricare casse ero l’unica ragazzina», racconta Nadia Vincenzi. Sulla conoscenza del pesce e sull’amore per la cucina ha costruito poi il suo successo, dopo essersi dedicata al mestiere di mamma, anche in questo campo in grande, dato che ha messo al mondo ben quattro figli. Ai fornelli si è dedicata in pianta stabile dal 1990, iniziando a fare apprezzare la sua cucina di pesce a San Giuseppe di Rovato, in provincia di Brescia, dove è approdata – come ama ricordare – con l’alta marea, per amore. Nel 1993 riparte da zero, aprendo “Al Desco” a Sarnico, che da sola, divisa tra gestione e cucina, riesce a fare apprezzare come uno dei templi lombardi del pesce, premiato dalla Michelin con la stella all’inizio del nuovo millennio. Nel 2003 è costretta a chiudere il ristorante per un intervento alle gambe che le impone di rinunciare ai fornelli per un bel po’. Fino al 2004, quando sfida le nebbie padane e decide con coraggio di portare i sapori dell’Adriatico in piena campagna a Castrezzato, dove il rombo dei motori del vicino autodromo si mischia ai muggiti delle stalle.
«Solo una donna poteva riuscire a trasformare una vecchia trattoria dismessa in mezzo alla campagna e lontana da tutto in un ristorante ricercato – ammette con orgoglio -. Riuscire qui è stata una soddisfazione doppia». “Da Nadia” è un locale elegante, che come la chef-patronne rifugge ogni etichetta, dove si gusta, con tanto di bavaglia, una zuppa di pesce pantagruelica cotta e servita nel coccio, da leccarsi le dita. «Non la toglierò mai dal menù, assieme ad altri piatti semplici della tradizione. Ci vuole più tempo a pulire bene i canolicchi dalla sabbia che a fare tante schiume e salsine come va tanto di moda», spiega la “pasionaria del pesce”, per cui ogni notte i camion provenienti da Chioggia e diretti al mercato del pesce di Milano fanno una deviazione al casello di Palazzolo sull’Oglio, per consegnare i migliori prodotti ittici, come le schie di laguna, da provare abbinate alla polentina bianca.
Nadia Vincenzi non nasconde i sacrifici del mestiere: «È un lavoro che dà tanto, ma tanto toglie. Da un lato la famiglia inevitabilmente risente di questi ritmi di lavoro, dall’altro è un piacere ritrovare ai tavoli con i loro bimbi ragazzi che ho visto crescere, che conosco da quando erano in fasce e ora han messo su famiglia. Dà significato e un’idea di continuità ai 27 anni che non festeggio Natale, Capodanno e Pasqua». Quanto alla cucina, non ha dubbio che sia regno femminile: «Anche se i riflettori sono sempre e solo per i colleghi, le donne sono nate in cucina e l’amore che ci mettono, anche da chef, è diverso. Perché siamo più generose, perché ci mettiamo l’anima. Non a caso mi affianca in cucina una donna, Julia che, partita come lavapiatti, si è fatta presto strada con talento e carattere. La mia è una cucina semplice, che esalta la tradizione, che difficilmente impiega più di tre ingredienti, che seleziono personalmente. Se ogni notte attendo il carico del pesce, le mie vacanze le passo in giro per l’Italia a scovare prodotti interessanti pronti ad esaltare la mia cucina di mare, dai pomodori Marinda a Pachino ai legumi molisani».
E ora la chef dalle mille vite e pronta a ripartire di nuovo da capo, quest’estate (l’idea è aprire a luglio) con il nuovo ristorante “Da Nadia in Franciacorta” a Erbusco, in un’antica cascina di proprietà della famiglia Moretti (Bellavista, L’Albereta): «La mia clientela potrà contare su uno spazio esterno curatissimo e su sale con camino dal fascino d’altri tempi. Quanto a me, avrò finalmente casa sopra al ristorante, una comodità irrinunciabile».
Petronilla Frosio
Ristorante Posta – Sant’Omobono Terme
Petronilla Frosio, del “Ristorante Posta” di Sant’Omobono Terme, erede di una tradizione di famiglia nella ristorazione che dura dal 1910 e presidente del Gruppo Ristoratori Ascom, aveva le idee chiare da ragazzina, con tre punti fermi: «Ho sempre detto che non sarei mai andata a lavorare in cucina, che non avrei mai sposato il figlio di un ristoratore e che avrei avuto una famiglia grande, con cinque figli. E ho fatto poi l’esatto contrario perché nella vita poi i programmi cambiano». O forse, come saggezza popolare insegna,“mai dire mai”. Il suo intento era quello di darsi a conti e numeri così, dopo la maturità scientifica, si era iscritta a Economia e Commercio.
Poi a 23 anni, a furia di trovarsi a dare una mano in famiglia nella gestione dell’attività, ha finito con l’appassionarsi a tal punto da esserne irreparabilmente e senza scampo imbrigliata. «Ovviamente in cucina ci ero entrata ben prima, poco più che bambina – racconta -. Con mia sorella ci giocavamo sempre, con tanto di sorteggio, le incombenze di sala o di cucina: nessuna di noi voleva andare a servire ai tavoli perché la timidezza di quell’età aveva sempre il sopravvento e stare davanti ai fornelli metteva al riparo da ogni imbarazzo. Ed io ero ben contenta di starmene dietro le quinte. Ancora oggi mia sorella, che lavora in sala, ci scherza sopra e dice che alla fine ci ho perso io a starmene rinchiusa in cucina».
La forza dei Frosio è sempre stata la famiglia, ma Petronilla non nasconde come a volte lavorare insieme non sia facile: «Ci sono tanti equilibri da gestire. La tensione è altissima e le nostre famiglie sono sempre sull’orlo di una crisi di nervi, che fortunatamente non scoppia mai o quasi mai», sottolinea ridendo. Nella sua cucina non ci sono altre donne, ma solo per il fatto che non sono molte le chef a proporsi.
«Sono tutti uomini, però li comando tutti io – precisa, stretta nella giacca cifrata a doppiopetto -. Per le donne, ma vale anche per chi lavora in sala, è una professione totalizzante che lascia poco spazio ad altro. Gli uomini si dedicano più alla carriera, alle donne toccano doppie fatiche, quella professionale e privata».
La numero uno dei ristoratori Ascom è convinta che la cucina nasca femmina: «Nelle cucine sparpagliate in tutta Italia ci sono sempre state solo che donne e la tradizione l’hanno custodita e tramandata senz’altro loro. E la cura che ci mettono è indiscutibile, è materna, senza esibizioni o azzardi. Io credo che il tocco femminile si percepisca». Nella veste di presidente dei ristoratori non manca di invitare le colleghe ad una maggiore partecipazione alla vita associativa: «So quanto sia duro ritagliarsi del tempo per riunioni e confronti, però non è solo stando rinchiuse in cucina che riusciremo a valorizzare il nostro lavoro».