Sanità privata, a Bergamo in 2.600 senza adeguamenti salariali da otto anni

Sanità privata, a Bergamo in 2.600 senza adeguamenti salariali da otto anni

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medico - sanità - salute- masec infermieri-ospedale-258x258Nel “computo” dello sciopero unitario del Pubblico Impiego, previsto per giovedì 7 aprile, in cui i sindacati lamentano il mancato rinnovo dei contratti nazionali di ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, enti locali, cooperative sociali e terzo settore, scaduti in ordine sparso tra il 2007 e il 2009, gioca un ruolo importante per la provincia di Bergamo la sanità, pubblica e privata. Quest’ultima, infatti, sul territorio occupa 2.600 operatori sanitari non medici, che da otto anni vedono, senza adeguamenti salariali, il potere d’acquisto delle retribuzioni precipitare, mentre il “mercato” delle Cliniche private registrava (nei bilanci certificati delle cinque maggiori realtà private) un aumento di quasi 20 milioni di euro. Intanto, i lavoratori non hanno “un fondo pensione complementare di categoria, ove poter destinare la quota del Tfr, e ricavare in futuro importi dignitosi da affiancare ad un assegno pensionistico sempre più basso. Non ci è dato beneficiare nemmeno di un fondo sanitario integrativo, che rimborsi le spese sostenute per la maternità o per il dentista o la fisioterapia – annota con tristezza Gilberto Milesi, Rsu della Fp Cisl. Abbiamo un tavolo negoziale, istituzionalmente aperto il 14 dicembre scorso con Aiop ed Aris, ma se ai colleghi del pubblico impiego, nostri fratelli maggiori, è stato offerto un aumento mensile ridicolo, ci chiediamo cosa potrà mai offrire la sanità privata. E che dire degli oltre 6mila euro di arretrati, frutto complessivo di otto anni di mancati adeguamenti…”.

Proprio in questo stesso periodo, però gli utili delle cliniche private bergamasche si sono attestati tutti in rigoroso aumento. “Non si può sempre fingere di scaricare sul nazionale le colpe del mancato rinnovo – continua Milesi -. La lungimirante strategia di Aiop è una sola, tenerci tutti in  ostaggio contrattualmente parlando, per far pressioni sulle Regioni ed incrementare contributi e presenza nell’appetibile panorama nazionale della sanità. Il tutto avviene anche con la piena consapevolezza che gli effetti collaterali da scontare derivanti dalle reazioni di protesta, vedi sciopero, sono facilmente assorbibili, in un settore soggetto ai minimi assistenziali che sono molto simili a quelli di tutti i giorni. Se la macchina assistenziale non si può (e non si deve) bloccare per protesta, ciò non può ergersi a pretesto per mettere comodamente  in campo ogni azione di rivendicazione,  calpestando i diritti di chi, parte integrante delle fortune aziendali, attende da otto anni un misero adeguamento salariale. Ci chiediamo infine perché Regione e Ast non abbiano il coraggio di intervenire: se lo facessero, intimando alle Aziende la solvenza contrattuale, peraltro puntualmente ricompresa e rimborsata nei contributi erogati alle Strutture (e pagati da tutti i cittadini), usciremo da questo labirinto avvolto dal mistero, e ridaremmo dignità agli operatori della sanità privata”.

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