Ma guarda un po’. Roberto Maroni è arrabbiato. Anzi, nell’aula del Consiglio regionale ha usato un’espressione meno istituzionale. “Sono incazzato” ha tuonato nel commentare l’arresto per tangenti del consigliere leghista (e padre della legge di riforma del sistema sanitario) Fabio Rizzi. Certo, come no? Ma che devono dire i cittadini. E soprattutto, cosa devono pensare i leghisti che forse hanno ancora impressa nella memoria l’immagine di quella sera del 10 aprile 2012 alla Fiera di Bergamo? La “notte delle scope”, come non ricordarla. “E’ ora di ripulire il pollaio” stava scritto sulle magliette indossate dagli allora barbari sognanti (Rizzi era tra i più esagitati) mentre sul palco, con un Umberto Bossi costretto all’umiliazione delle scuse di fronte ai militanti, Roberto Maroni agitava la ramazza. Parole al vento, promesse largamente disattese. Perché lasciata la guida della Lega (portata ai minimi termini e risollevata solo da Matteo Salvini) ed eletto al vertice della Regione, l’ex ministro degli Interni si deve essere distratto. O forse dall’ultimo piano del Pirellone ha perso di vista il pollaio, dove mentre lui si dedicava a lanciare inutili referendum o ad usare il palazzo per campagne propagandistiche contro il disegno di legge sul riconoscimento delle unioni civili tra le galline ruspanti del Carroccio evidentemente si sono intrufolati anche galletti spregiudicati e aggressivi. Ma, soprattutto, affamati di becchime.
Le scope sono rimaste nello sgabuzzino e, anzi, il presidente della Regione che si era proposto come moralizzatore ha lasciato che avessero campo libero, tanto più sul terreno più fertile (quello sanitario), personaggi spregiudicati, come l’assessore forzista Mario Mantovani, finito in manette pochi mesi fa, e appunto Fabio Rizzi, a cui Maroni ha concesso l’esclusiva di scrivere, con la collaborazione compiaciuta del consigliere regionale bergamasco Angelo Capelli (che ora si mostra contrito per non avere capito chi gli stava a fianco…), nientemeno che la riforma della sanità lombarda. Dove, vedi un po’, è stato dato un impulso al riconoscimento pubblico delle cure odontoiatriche, quelle in cui operava la zarina Paola Canegrati in società con la compagna del medesimo Rizzi.
Ora fa scena mostrarsi arrabbiati (e ti credo…) e chiedere che chi ha sbagliato paghi. Ma è troppo facile liquidare tutto come una responsabilità “di singoli”. E no, cari Maroni, Capelli, Salvini e via cantando. La responsabilità penale è personale, ovvio. Quella politica no, invece. Quella vi compete in pieno. Da almeno due punti di vista. Anzitutto, per non avere introdotto quella discontinuità nei metodi di governo della sanità pubblica che in passato avevano già provocato guasti e scandali (il sistema Formigoni ce lo siamo dimenticati?). Quando la politica decide il destino delle carriere professionali dei manager e determina le sorti delle aziende che vivono di appalti pone le condizioni perché si infiltrino i poco di buoni e i furbetti.
La seconda responsabilità riguarda la selezione della classe dirigente. Per limitarci agli ultimi due casi, i disinvolti intrecci societari di Mario Mantovani prima e le discutibili frequentazioni di Fabio Rizzi poi dovevano mettere in allarme chi ha la responsabilità di guidare la baracca e consigliarlo a provvedere di conseguenze, specie se si è fatto sfoggio di sensibilità anti-malaffare. Inutile star qui a cercare di capire se Maroni non sia intervenuto per ragioni di opportunità politica, di equilibri di potere o perché, più semplicemente, non ha mai sentito puzza di bruciato. Ognuno dia la risposta che preferisce. Di certo, visto quel che è successo e la vergogna che ha investito la Regione, forse sarebbe più opportuno lasciare il Pirellone e ritirarsi in campagna. Magari a curare un pollaio. Vero, stavolta.