Per guadagnare qualche titolo sui giornali la trovata è stata senz’altro efficace. Ma puzza di strumentalità lontano un miglio l’uscita con cui il presidente della Provincia Matteo Rossi (a cui si è subito sorprendentemente accodato il sindaco Giorgio Gori) ha annunciato di voler fare campagna a favore del referendum per una maggiore autonomia della Regione promosso dai grillini ma diventato cavallo di battaglia della maggioranza lega forzista del Pirellone. Lo stupore, e in taluni casi l’irritazione, del Pd e dei suoi principali esponenti (a partire dal segretario provinciale Gabriele Riva che ha parlato di “fuga in avanti”) mettono già in evidenza anzitutto la prima contraddizione. Rossi e Gori hanno preso l’iniziativa senza coordinarsi, e tantomeno informare, il partito che pure li ha portati dove sono. Tutto lecito, per carità, i tempi del centralismo democratico sono un lontano e non rimpianto ricordo, ma in Consiglio regionale il Pd si era espresso duramente contro il referendum e, non foss’altro che per un elementare dovere di coerenza, prima di cambiare posizione forse sarebbe stato utile e necessario discuterne per poi, eventualmente, spiegare le ragioni di una così vistosa virata ad U. Ma Rossi e Gori, evidentemente, ritengono di potersi muovere con le mani libere, inseguendo una strategia che chiunque può comprendere quanto possa essere a rischio suicidio. Perché affiancarsi a chi la battaglia per l’autonomia se l’è già intestata lascia comunque in una posizione di subalternità. Alla brutta copia, peraltro convintasi della presunta bontà dell’operazione con notevole ritardo, il cittadino preferirà sempre l’originale. Lo dice la storia: tutte le volte che qualcuno ha provato a mettere in cantiere iniziative para-leghiste, nell’illusione di scavalcare il Carroccio, è finita male. Il presidente della Provincia e il sindaco sottovalutano un altro aspetto che è strettamente legato all’oggetto della campagna referendaria. Poiché si tratta di pura propaganda (il quesito non punta ad ottenere una maggiore autonomia, come l’uomo della strada è portato a pensare, ma impegna la Regione ad avviare una trattativa con lo Stato per avere maggiori libertà di movimento in campo economico e finanziario), ingenererà nella pubblica opinione aspettative che poi andranno deluse e chi ne pagherà dazio saranno anzitutto coloro che, alla guida di Provincia e Comune, hanno la responsabilità di dare risposte concrete. Maroni e sodali potranno sempre cavarsela dando la colpa al governo (che è in mano al Pd), “brutto, sporco e cattivo” e conculcatore della volontà popolare. Rossi e Gori, invece, se non vorranno trovarsi ad attaccare il loro premier e segretario nazionale Matteo Renzi si scopriranno chiusi in un grottesco cul de sac. Cornuti e mazziati. Davvero una bella operazione per chi, forse vittima di un sogno di mezza estate, si è messo in testa di giocare al piccolo politico. Il referendum è un bluff, non può portare da nessuna parte perché non ci sono le condizioni normative affinché espleti gli effetti desiderati ma in compenso costerà 30 milioni alle casse regionali. Soldi che è delittuoso di questi tempi buttar via per consultazioni che hanno il valore di un exit poll da bar sport. I primi a doverlo sapere, e a doversi battere per evitare l’inutile spreco, dovrebbero essere proprio Rossi e Gori.