Questa politica ha perso stile anche nelle capriole

Questa politica ha perso stile anche nelle capriole

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gianfranco-finiLes temps changent et nous changeons avec eux: in altre parole, ci si adatta, ci si accomoda. Tempora mutantur et nos mutamur in illis, dicevano i latini: e circa la capacità di accomodarsi, diciamo così, molti di loro la sapevano lunga. Gli scartati alla leva, prevalentemente. Così e non altrimenti pare essersi espresso l’ineffabile Charles Maurice Talleyrand-Périgord, quando gli venne rimproverato il fatto che aveva servito, indifferentemente, Luigi XVI, il Direttorio, Napoleone, Luigi XVIII e Filippo d’Orleans: oggi, sarebbe una specie di eroe nazionale, dalle nostre parti, terra di Girella quant’altre mai. Però, cari lettori, vi voglio dire che c’è modo e modo di fare capriole: un conto sono le capovolte sul prato e altro il Cirque du Soleil. Talleyrand, in un certo senso, capriolava con molto stile e con molto stile capriolavano gli antichi.

Guardateli oggi, i piroettatori: con quale mancanza di eleganza si rotolano e si avvitano! Come dire, per metterla giù piatta, che un conto è la classe di un ladro internazionale che ti sfila il collier mentre balla impeccabilmente un valzer di Strauss e altro il grassatore col piede di porco, che ti svuota i cassetti: sempre delinquenti sono, ma che differenza! Insomma, ai nostri voltagabbana manca un filino di eleganza: vanno, vengono, a volte si fermano, come le Nuvole di De André. E ne escono sempre con le tasche piene di pasticcini, arraffati al buffet. Guardateli, dunque: un giorno sono di destra e quello dopo di sinistra, una settimana sono per le unioni civili e quella successiva sembrano il cavalier tentenna.

Vogliono la buona scuola, il che è legittimo avendone, evidentemente, frequentate di pessime: però con le varianti, altrimenti cambiano parrocchia. Ricattini, piccole meschinità poltronite: come definire la somma delle attività quotidiane di questa classe dirigente che non dirige un bel nulla e che pare ossessionata dall’unico obiettivo di rimanere in sella? Miserabili: ecco la parola. Si tratta di un’accolita di poveracci dediti ad iniziative miserabili, il cui solo scopo nell’esistenza è, appunto, esistere. Il mondo delle cose e degli uomini va avanti: la gente si incontra, si sposa, si lascia, fa dei figli; e loro continuano a rotolare sullo stesso scampolo di prato, indifferenti a tutto, insensibili a tutto. Sono disposti, con l’imperturbabile improntitudine dell’ignorante e del guappo, a sostenere qualunque insostenibile fregnaccia, senza muovere un sopracciglio: si parli di economia o di vaccinazioni, di costituzione o di videopoker, questi ossessi del potere e del soldo affrontano le telecamere senza vacillare, senza dubitare, con uno sprezzo del grottesco che la dice lunga, non tanto sul loro coraggio quanto sulla loro completa incoscienza di sé.

Il mondo, intendiamoci, è sempre andato avanti così: la differenza è, per così dire, intrinseca. Un tempo, tra una capriola e l’altra, c’era chi si guardava intorno e capiva che era venuto il momento di fare qualcosa di serio, pena la giravolta definitiva, che è quella che si fa appesi ad un capestro: in altre parole, mancava, forse, l’onestà, ma c’era la stoffa. Il confronto, non si dice con un Talleyrand, ma perfino (Dio mi perdoni) con un De Michelis, per i nostri politici apparirebbe imbarazzante: una Pinotti, una Giannini, una Mogherini con quelle borsette fuori luogo, con quelle facce serie e comprese, con quella sesquipedale assenza di competenze e capacità, più che una quota rosa ricordano una quota bassa. Il Mar Morto. Ma sono lì: folgoranti in solio, incredibilmente. E ci stanno perché sono nelle grazie del capo: il quale capo appare come il capriolatore ottimo massimo.

Uno che ha fatto sempre e solo il contrario di quel che andava dicendo: quello che mai avrebbe governato senza il voto degli Italiani, che mai avrebbe scaricato il suo amico Enrico Letta, che mai sarebbe rimasto al governo un giorno più del necessario. Non insisto per non infierire, ma è chiaro che uno così non possa che circondarsi di gente come lui: sonnambuli della politica. E non è che sull’altra sponda si rida, con Fini che, nonostante rappresenti il più colossale catalizzatore d’odio della destra italiana, vaneggia in televisione (e non si capisce perché non lo invitino solo in programmi che parlino di fantasmi, stile “Mistero”) di possibili ritorni, con Berlusconi che confonde Palazzo Chigi con il palazzetto dello sport e fa le flessioni per dimostrare che è ancora politicamente in forma, con i convegni, le fondazioni, le assemblee costituenti in cui tutti si detestano e tutti si insultano, ma sono costretti ad unirsi per mettere le mani sul malloppo di Alleanza Nazionale. Capriole, soltanto capriole: scoordinate, scomposte, sguaiate capriole. E noi stiamo a guardare: sempre più schifati e sempre meno disposti a partecipare alla vita politica. Come un pubblico annoiato da un film squallido, come la curva quando la squadra del cuore schiera soltanto i panchinari in un’ultima di campionato, a risultato deciso. E il risultato di questa partita è la catastrofe, purtroppo.