La nuda cronaca, specie quella nera con la sua brutalità, spesso ha un grande merito. Riporta i politici, e gli amministratori comunali in particolare, sulla terra. D’incanto, di fronte ad un fatto di sangue o al raid di una banda di rapinatori, tante parole retoriche svaniscono nel nulla per lasciare spazio alla realtà. Che, chissà perché, si scopre essere molto diversa da quella raccontata. L’abuso di “storytelling”, il termine che ha preso il posto della vecchia narrazione, risulta evidente se si pensa, tanto per fare un esempio specifico, a Milano. Sì, la già capitale morale (poi sfregiata dal degrado affaristico di Tangentopoli), quella che con Expo 2015 veniva descritta come una sorta di neo paradiso in terra (salvo poi scoprire, mese dopo mese, quanto malaffare, anche di stampo mafioso, ha prosperato all’ombra dei padiglioni di Rho), oggi lancia l’allarme rosso per le scorribande sempre più violente delle bande criminali e dopo la sparatoria con morto incorporato di piazzale Loreto (mica Quarto Oggiaro, eh…) ecco che il sindaco Giuseppe Sala invoca il dispiegamento dell’Esercito sul territorio.
La richiesta viene da quella stessa giunta di centrosinistra (fino a giugno guidata da Giuliano Pisapia) che ha sempre propagandato un’immagine di Milano come capitale dell’innovazione, della moda, del buon vivere e buon mangiare. Una città senza grandi problemi, governata con mano paterna da un sindaco progressista aperto al mondo. Uno storytelling alimentato con servile partecipazione dalle firme salottiere dei giornaloni, abituate a leggere la realtà con gli occhi della società radical chic e incapaci di immergersi nella palude dei comuni cittadini. Sala ha avuto se non altro il merito di violare un tabù. Che serva o meno, nel chiedere l’impiego dell’esercito ha sconfessato in un sol colpo anni e anni di parole d’ordine della sinistra buonista.
Ma la cronaca nera chiama ad un intervento anche il sindaco di Bergamo. La nuova spaccata alla gioielleria Curnis sul Sentierone riporta in primo piano il tema del centro città. Di cosa farne, come vivacizzarlo, come renderlo più sicuro, come creare le condizioni perché delinquenza e degrado non dilaghino indisturbate. È chiaro che c’è anzitutto un problema di sicurezza. E qui la competenza è principalmente, non esclusivamente, delle forze dell’ordine. Ma è altrettanto certo che non basta mettere una pattuglia in più per ottenere miglioramenti significativi. Serve molto di più, serve un progetto ad ampio respiro. Quello che Giorgio Gori aveva promesso in campagna elettorale, subordinato ad un concorso di idee da lanciare in grande stile. Anche qui la cronaca non ammette dubbi: ad oggi non s’è visto nulla. I mesi passano, dall’insediamento della giunta sono trascorsi due anni e mezzo (!), eppure siamo ancora fermi al palo. Piacerebbe capire perché o, se casomai si fosse cambiata strategia, avere delucidazioni su cosa si intende fare. L’assessore alla Sicurezza Sergio Gandi, non ce ne voglia, ormai rischia di fare la fine del cane di Pavlov. Ogni volta che succede qualcosa si premura di dire che “conosciamo la situazione” e “stiamo facendo tutto il possibile”. Ma paura e degrado avanzano e, al netto della spregiudicata propaganda di senso contrario delle minoranze di centrodestra dimentiche che quando governavano loro la città non era certo un eldorado, sembra davvero arrivato il momento di tentare un colpo d’ala. Non è momento di traccheggiare né di giocare a “trova il colpevole”. Tutti sono colpevoli e tutti sono responsabili, ciascuno per le proprie competenze. La cronaca non fa differenze. Se non si interviene è pronta a dispensare nuovi dolorosi episodi.