Dopo gli uffici condivisi, anche nei saloni di acconciatura e nei centri estetici arriva la possibilità che realtà imprenditoriali distinte finiscano sotto lo stesso tetto. Una soluzione che ben si adatta al momento di crisi (che ha “liberato” spazi e attrezzature e imposto alle aziende la ricerca di nuovi modelli di gestione), ma soprattutto uno strumento per favorire l’avvio di attività da parte dei giovani e l’emersione dall’abusivismo.
Si chiama “affitto di poltrona” o “di cabina”, una modalità già diffusa da tempo nei paesi anglosassoni, che ora l’Italia sta cominciando ad introdurre secondo il proprio ordinamento legislativo. Sullo stato dell’arte delle normative, soggette anche alle differenti scelte da parte di Regioni e Comuni, Confartigianato Bergamo ha organizzato un incontro lunedì 27 gennaio, prima occasione per gli operatori bergamaschi di confrontarsi con questa novità.
«Non si affitta l’intero locale, ma una postazione di lavoro, la poltrona in un negozio di parrucchieri o la cabina in un centro estetico – spiega Marco Trussardi, responsabile dell’Ufficio Aree di Mestiere di Confartigianato Bergamo -, in questo modo due aziende diverse si trovano ad operare nello stesso spazio. Questa formula è pensata come un’opportunità per chi vuole mettersi in proprio perché permette di ridurre al minimo gli investimenti e i rischi. Significa infatti pagare un canone di affitto anziché impegnarsi in spese che per l’avvio di un salone di parrucchiere sono attorno ai 40/50 mila euro e quasi il doppio per un centro estetico. Rappresenta, quindi, una strada piuttosto agevole per cominciare a mettersi in gioco e verificare se si hanno i “cromosomi” dell’imprenditore, oltre che uno stimolo a far emergere chi oggi opera in forma abusiva nella propria abitazioni o a domicilio. Per chi è già in attività può essere invece un’occasione per colmare i “vuoti” che si sono venuti a creare con il calo dei servizi e, perché no, ridare vitalità all’ambiente». «Le due gestioni sono distinte e autonome – rimarca Trussardi -, il rapporto è regolato da un contratto tra le parti. Chi prende in affitto gli spazi deve essere in possesso dei requisiti professionali previsti per il settore in cui opera, mentre il titolare dell’esercizio è tenuto a mettere a disposizione locali conformi dal punto di vista tecnico-strutturale, urbanistico e igienico-sanitario».
Queste le linee generali. Ci sono però aspetti che già da ora sembrano compromettere l’efficacia dello strumento. In primo luogo quello che vuole il titolare del negozio rispondere in caso di mancata emissione del documento fiscale da parte dell’affittuario ed i paletti posti per evitare che l’affitto di poltrona diventi la via per trasformare automaticamente il rapporto di lavoro dipendente. A questo proposito, in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale del 3 ottobre 2011, le rappresentanze dei lavoratori hanno sottoscritto un avviso comune che chiedeva alle istituzioni di fissare alcuni limiti. In particolare, si parla di una poltrona/cabina in affitto per le imprese che hanno da 0 a 3 dipendenti; due per le imprese che hanno da 4 a 9 dipendenti; tre per le imprese che hanno più di 10 dipendenti e del divieto di affittare la postazione a chi abbia prestato servizio in qualità di dipendente all’interno dello stesso salone/centro estetico negli ultimi cinque anni, nonché alle imprese che abbiano effettuato licenziamenti negli ultimi 24 mesi.
«Se in teoria l’affitto di poltrona è una buona soluzione per rispondere ai nuovi scenari economici e di mercato, i troppi vincoli rischiano di farlo rimanere un’opportunità solo sulla carta», rileva Maurizio Locatelli, capo Area Servizi alle persone di Confartigianato Bergamo, titolare della storica insegna “Amleto” in via Garibaldi in città, aperta dal padre nel 1952. «Innanzitutto, non si capisce perché, se le due attività sono del tutto distinte, il titolare debba essere corresponsabile e quindi sanzionabile nel caso l’affittuario non rilasci la ricevuta fiscale. Non convince nemmeno il rapporto tra numero di dipendenti e numero di poltrone in affitto, nel mondo anglosassone ci sono, ad esempio, centri gestiti da un titolare interamente messi a disposizione di acconciatori diversi, ed è praticamente assurdo il divieto di affittare a chi è stato un proprio dipendente nei cinque anni precedenti. La realtà, non dimentichiamolo, è che oggi le aziende hanno difficoltà a tenere personale alle dipendenze, perciò, dopo il periodo di apprendistato, è davvero interessante, direi la casistica più allettante dell’affitto di poltrona, poter offrire l’opportunità di rimanere nel salone lavorando in proprio. Con queste regole, invece, dopo aver fatto crescere professionalmente una persona, l’imprenditore sarebbe costretto a privarsene». «La semplificazione – fa notare ancora – è anche la chiave per contrastare l’abusivismo: chi vuole mettersi in regola non deve trovare troppi ostacoli, altrimenti resta abusivo». L’incontro di Via torretta, con rappresentanti ed esperti di Confartigianato Lombardia, analizzerà opportunità e punti critici «anche con l’obiettivo di proporre correttivi – ricorda Locatelli – e arrivare alla definizione di linee guida condivise e univoche per tutto il territorio nazionale, dove oggi esistono soltanto, eventuali, disposizioni regionali o comunali».
Inutile negare che la ricerca di nuovi modelli di organizzazione e gestione è anche figlia della crisi. «Al di là di singoli risultati, che possono essere anche positivi – racconta il capo Area -, lo scenario generale è di sofferenza. C’è stata una scrematura obbligata e oggi chi resiste è perché ha preso le misure con il nuovo atteggiamento e le nuove richieste della clientela. È rallentata la frequenza ma non è diminuita la ricerca della qualità. Il parrucchiere deve essere in grado di proporre qualcosa al passo con i tempi, consapevole che competenza e fiducia restano fondamentali. L’unica strada percorribile è offrire il servizio più professionale possibile al prezzo più equo possibile, rispettando la salute e il benessere dei clienti».