Tra la politica e l’elettorato la cosiddetta “luna di miele”, il periodo di consenso dopo le elezioni, in Italia è sempre più breve. Arriva quando subentra la noia, la novità non è più tale e lo spettacolo si è fatto soporifero. Per cercare di tenere desta l’attenzione, allora, agli amministratori pubblici, ad ogni livello, non resta che restare sempre in apparente movimento, insistere con gli annunci, evocare riforme e cambiamento. Per i contenuti e i risultati si può attendere, perché ai fini del consenso le promesse di rivoluzione sono più efficaci della rivoluzione stessa, che inevitabilmente scontenta sempre qualcuno.
L’imperativo per il governante è cercare di essere sempre sulla breccia come “nuovo”, per non diventare il “solito” o addirittura scivolare sul “vecchio”, che non è una questione anagrafica, ma la categoria del politico avviato al declino. Così, dopo un anno, Matteo Renzi appare ancora come una “prima visione” e non come una “replica”, tanto per restare nel gergo dello spettacolo, grazie al fatto che è riuscito a mantenere l’immagine di “rottamatore”. Dopo una partenza da motore diesel, ha in effetti portato o sta portando a casa una serie di riforme, dal Jobs act alle Popolari, dalle elezioni alla scuola, dal Senato al decentramento. E questo permette di distrarre dal fatto che non è ancora possibile dare un giudizio concreto sulle azioni perché tutto questo produrrà effettivi risultati solo in futuro: si inizia ora con il Jobs Act, ma, ad esempio, nelle Popolari si cominceranno a vedere i primi cambiamenti tra due anni, della riforma elettorale solo alle prossime consultazioni e così via.
Anche al Comune di Bergamo, nonostante i cartelloni pubblicitari, i cambiamenti per le due grandi iniziative si vedranno solo in futuro: ci saranno anche gli accordi per i Riuniti e per la Montelungo, ma al momento gli edifici restano in degrado. Sia concesso un po’ di scetticismo, motivato da quanto accaduto negli ultimi anni: prudenza vorrebbe che in materia di interventi urbanistici non si festeggi più nemmeno all’avvio dei lavori, ma solo ad inaugurazione di opera conclusa, non certo quando il cantiere non è nemmeno ipotizzato.
Anche se la politica è cambiata, sempre più annunci che fatti concreti, per interrompere la “luna di miele” con gli elettori resta comunque un argomento imbattibile: quello delle tasse, ovviamente in aumento. La materia fiscale è sempre stata molto delicata: pochi, e quei pochi non hanno avuto facile vita politica, hanno cercato di dare una visione chiara e responsabile degli aumenti che hanno deciso. Sulle tasse si scivola inevitabilmente ed è comprensibile che Renzi preferisca passare come quello che dà gli 80 euro piuttosto di quello che per finanziare quella “restituzione” ne ha tolti anche di più da altre parti.
E adesso il sindaco di Bergamo Giorgio Gori è messo alla prova: di fronte a un bilancio 2015 che avrà 5 milioni in meno (3,6 milioni per la manovra del governo, che comprende anche gli 80 euro, e 1,4 milioni per entrate “una tantum” che quest’anno mancheranno), come prima cosa mette le mani avanti. Senza la coraggiosa fantasia per una soluzione originale, torna su temi triti e ritriti, gli stessi del suo predecessore, dal quale annunciava, prima delle elezioni, il cambiamento. La colpa, dice, è dei tagli dal potere centrale, della spending review, del patto di stabilità. E la responsabilità, con una giustificazione che sa in questo caso troppo di ordine di scuderia, è per la maggior parte del “governo Berlusconi, sostenuto dalla Lega”, non risparmiando strali alla Regione (leghista). E allora di fronte a questo bilancio ridotto, quali sono le soluzioni che si prospettano? Più tasse o meno servizi. Come la politica del “passato”, quella che non è mai riuscita a fare effettivi risparmi, eliminando gli sprechi. Quella che ha fatto realizzare il rapporto Cottarelli che ha individuato risorse disperse per miliardi, ma poi ha deciso non solo di non realizzarlo, ma anche di non renderlo pubblico. Inutile chiedersi perché.