Non ne posso più di dovermi sempre giustificare

Non ne posso più di dovermi sempre giustificare

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campo-romIo non mi giustifico. Scusate il francese, ma mi sono rotto le palle di giustificarmi. Quando andavo al liceo, siccome ero di destra, se volevo parlare in assemblea dovevo, a titolo preventivo, dichiarare che ero antifascista: pregiudiziale antifascista, la chiamavano, le anime belle del “Sarpi” democratico, che, tra una rivoluzione e l’altra, andavano a far casino o importavano cocaina dentro i libri. Poi, quando mi sono fidanzato, ho dovuto giustificarmi perché non ero uno scout cattolico, perché non mi vestivo con le pezze sul sedere e non mi piaceva girare in braghette dicendo “Buona caccia!”. Oggi, che ho abbastanza lavoro e abbastanza denaro da strafregarmene di pregiudiziali antifasciste e sindromi di Peter Pan, mi tocca continuare a giustificarmi. Devo giustificare il fatto, ad esempio, che preferisca gli italiani agli stranieri. In realtà, non è affatto così: io vorrei che italiani e stranieri godessero semplicemente di uguali diritti ed uguali doveri, però vorrei che coglieste l’esempio.

Se io dico di amare di più casa mia che casa d’altri, la mia Heimat piuttosto che la tua, devo fare mille premesse: che io non sono razzista, che non sono leghista, che accetto tutti quanti, che gli africani mi sono simpaticissimi, che contro i rom (guai a chiamarli zingari!) non ho proprio nulla, e così via. Altrimenti, mi coprono d’insulti.

Se oso dire che molti stranieri non si sognano nemmeno di pagare il biglietto su autobus e treni, sono un razzista. Se mi azzardo a raccontare dei furti operati dagli zingari, apriti cielo! E lo stesso, se passiamo dalle preferenze in materia di culture e di civiltà a quelle in materia sessuale. Sorvolo sull’episodio grottesco del ricercatore accusato di sessismo perché aveva postato su Facebook una foto della figlia con una tutina rosa: sorvolo non perché sia un episodio dappoco, ma perché la replica del signore in questione è stata, in pratica, una giustificazione, in cui dichiarava apertis verbis la sua adesione all’ideologia gender. Io non aderisco a un bel nulla: io non mi giustifico più, ve l’ho detto.

Questo sta diventando un mondo di pazzi: di libertà obbligatorie. Una dittatura insopportabile, in cui le catene e le carceri sono sostituite dal vaniloquio di un pensiero unico asfissiante. Per conto mio, entro l’ambito della legge, ognuno può far quello che vuole: ognuno. Non solo gli ognuno che vanno bene a me. E, del pari, nell’ambito della legge, almeno finchè anche quella non verrà modificata per tappare la bocca ad ogni dissenso, voglio poter dire che a me lo spettacolo di due uomini che limonano non mette punto allegria. Che esteticamente, anzi, mi muove una certa ripugnanza. Lo posso dire? Posso dire che vedere uno che non paga il biglietto, costringendo me a pagarlo il doppio, mi fa un tantino incazzare? Posso dire che vedere donne con lattanti narcotizzati in braccio, che chiedono l’elemosina sedute per terra, mi fa un effetto da romanzo di Dickens? Qualcuno mi illumini: posso dirlo o è un reato? Perché, se è un reato, allora voglio che sia un reato anche dire che il tennis è uno sport noioso rispetto alla pallanuoto. E voglio che sia un reato lamentarsi perché ci sono evasori fiscali che stabiliscono la residenza a Montecarlo. Oppure ci sono gusti buoni e gusti cattivi, reati belli e reati brutti? E chi decide cosa è buono e cosa è cattivo? La Boldrini? Torquemada? La Madonna Pellegrina?

Il Padreterno mi ha dato un cervello perché lo usassi, e io cerco di usarlo: e il mio cervello mi dice che non esistono libertà migliori e libertà peggiori, che non puoi essere un giorno Charlie e, il giorno dopo, lamentarti delle “Sentinelle in piedi”. Io non amo la satira sfrenata di Charlie Ebdo e neppure lo spettrale silenzio delle sentinelle: ma credo che abbiano entrambi pieno di diritto di esprimere la propria opinione. Credo, anzi, che chiunque lo abbia: il matto che inneggia ai gulag come il fanatico che predica l’Armageddon. Senza giustificarsi: perché non c’è un tribunale del popolo che detenga la verità assoluta e che stabilisca il torto e la ragione delle idee. Si devono lasciar libere: sarà la gente a decidere se siano furbate o scemenze. Oppure, un tribunale del popolo esiste, anche se io non mi sono mai accorto della sua investitura. In tal caso, non mi limiterei a rifiutarmi di giustificare i miei gusti e le mie opinioni, ma inviterei i miei lettori a fare l’unica cosa che gli uomini che amino la libertà devono fare quando sono soffocati da una dittatura. La rivoluzione.