Spesso le imprese si identificano in un’unica persona, quella del fondatore, del capo, del volto pubblico – perlopiù maschile, ma vale anche il discorso contrario -, che illustra novità e progressi o denuncia problemi e criticità. In molti casi però l’impresa è una storia a due, che vede affiancati nella buona e nella cattiva sorte (pure aziendale) marito e moglie. Secondo una stima della Camera di Commercio di Monza e Brianza (che ha anche scelto di attribuire un riconoscimento ai “matrimoni d’impresa” più longevi del proprio territorio) in Italia sono quasi un milione (930mila) le coppie che condividono un progetto comune nella vita privata e lavorativa, essendo soci o collaboratori in azienda.
In periodi in cui tenere a galla un’impresa è difficile e i matrimoni si sfaldano come neve al sole, la rilevazione dice anche che si tratta di realtà solide, con una percentuale oltre il 90% (a Bergamo è la più alta, il 96%) di chi dichiara che la crisi non ha scalfito i rapporti e il 3,5% (a Bergamo il 2%) che afferma che si sono addirittura rafforzati.
Se nei negozi, nelle attività artigianali, in bar e ristoranti è molto più facile imbattersi in binomi di questo tipo e riconoscere la divisione dei compiti, meno evidenti sono il ruolo e il valore della coppia nelle realtà industriali.
Ecco allora le testimonianze di tre unioni di cuore e d’affari bergamasche, con il punto di vista dall’altra metà.
Isa Colombi (Persico)
«Parlavamo solo di lavoro, poi il figlio di sette anni ci ha fatto una domanda…»
Parla schietto Isa Colombi. Non colora di rosa il cammino che al fianco del marito Pierino Persico li ha visti passare dalla modelleria di legno in uno scantinato avviata ad Albino nel ’76 ad un’azienda conosciuta in tutto il mondo per gli stampi e i prodotti all’avanguardia nei settori automotive, nautico e con sistema rotazionale. Che ha fatto scoprire al patron di Luna Rossa Patrizio Bertelli, all’inventore di Skype Niklas Zennstrom e agli sceicchi del Bahrein che esistono la Valle Seriana e un paese chiamato Nembro.
«Per una moglie è pesante conciliare la famiglia con l’azienda e credo che sia ancor più difficile per il marito se, come accade più spesso oggi, è la moglie l’imprenditrice e la vita a due comincia quando l’attività è già avviata – afferma -. Per noi, forse, la partenza è stata agevolata dal fatto che eravamo già sposati da quattro anni, con una bimba (quasi due) e che eravamo stati entrambi operai con la “voglia di fare sempre per passione”. Questo ci ha spronato ad aiutarci. In mio marito vedevo tanta passione e una visione capace di individuare clienti e opportunità. Da parte mia ciò ho messo non poca tenacia nel sostenerlo accettando di occuparmi delle consegne dei prodotti finiti e della, allora poca, contabilità, senza mai lasciare la cura dei figli e senza aiuto in casa. Mi sono messa persino a studiare inglese perché avevamo cominciato a viaggiare e ci serviva. Avevo solo la terza media (tre anni serali) e lavoravo come camiciaia. Mi iscrissi allo Shenker Institute e arrivai a dare almeno 35 esami. Mi sarebbe piaciuto continuare almeno sino a 50, ma con tre bimbi, mi dovetti accontentare. Mi piace molto la lingua inglese!».
Il lavoro va bene e aumenta, ma all’alba degli anni Novanta una domanda del figlio di sette anni fa capire alla coppia che è necessaria una svolta. «Una sera a tavola – ricorda Isa Colombi – Marcello ci chiese: “Ma sul lavoro va tutto così male?”. Eravamo arrivati a parlare solo di lavoro e, naturalmente, non dei successi, ma di quello che andava storto e bisognava risolvere. Abbiamo realizzato che non era giusto che in casa si respirassero tante tensioni. Per noi la famiglia era il primo obiettivo e meritava più serenità. Ho scelto di tirarmi fuori, tanto più che ho sempre avuto la passione per la casa, i miei bambini, la buona cucina e i lavori di sartoria e camiceria». «Non sono mai stata quella che voleva apparire o occuparsi di tutto per il solo fatto di essere la moglie dell’imprenditore – rimarca -. Il passo è servito anche a farci comprendere che è importante fare spazio alle persone giuste e affidarsi a dei collaboratori che i problemi li risolvono. Credo che la Persico ne abbia guadagnato e anche la nostra famiglia».
La signora non si trincera comunque dietro i fornelli o la macchina per cucire e continua ad affiancare il marito nei viaggi all’estero. «Abbiamo ormai toccato quasi tutto il mondo, ma soprattutto abbiamo conosciuto tante persone che ci hanno permesso di allargare gli orizzonti – evidenzia -. Grazie a questi contatti i nostri figli hanno fatto presto esperienza negli Stati Uniti e si sono sempre più appassionati all’azienda assumendo man mano responsabilità».
La primogenita Claudia è a capo della divisione Rotazionale, Alessandra dell’Automotive e Marcello della Nautica. Se non più strettamente operativo, il ruolo di Isa Colombi resta di grande peso. E non mancano gli scontri tra il suo atteggiamento più pragmatico e la visione più d’istinto e creativa del marito. Come quando ha preteso che stipulassero un’assicurazione sulla vita: «Pensava che mi stessi già immaginando un futuro da vedova benestante – dice con naturalezza -, ma era semplicemente un modo per tutelare ciò che avevamo costruito».
Fondamentali anche il suo sostegno e incoraggiamento agli investimenti, a fare sempre un passo in avanti, anche quando Pierino si mostrava, per carattere, un po’ più dubbioso: «In pratica abbiamo sempre avuto debiti – ammette -, ma è indispensabile non rimanere fermi, cercare nuove idee, soluzioni. Se non l’avessimo fatto saremmo morti. Il lavoro di modellista oggi non esiste più, ma la Persico è conosciuta in tutto il mondo. Sono contenta che abbiamo sempre reinvestito, il nostro obiettivo non è il profitto a tutti i costi, tirare sui prezzi, ma fare le cose bene».
Sua anche la decisione di sottoscrivere un patto di famiglia (nel giorno del suo compleanno l’incontro con i consulenti) per gestire al meglio il passaggio generazionale e la continuità d’impresa, decidendo preventivamente le regole della successione. «Anche questo può sembrare un passo antipatico – rileva – per una famiglia e dei fratelli che vanno d’accordo. La capacità di resistere anche a momenti difficili è però data dall’integrazione dei tre diversi settori ed è importante e strategico salvaguardare nel tempo una visione unitaria dell’impresa. L’ho fatto pensando anche ai nipoti».
Alla fine ribadisce però il concetto iniziale. «Resto convinta che marito e moglie non debbano fare lo stesso lavoro insieme. Fortunatamente non ho mai capito niente di stampi, altrimenti non so come avremmo fatto, ognuno con le proprie idee, a spartirci le decisioni quotidiane. Credo che il mio apporto più importante sia stato spronare mio marito, credere in lui e fare in modo che non gli pesassero il mio lavoro in famiglia e con i bambini». E di un’altra cosa è certa: «Quel che abbiamo fatto, lo abbiamo sempre fatto volentieri e mettendocela tutta».
Luisella Traversi (Robur)
«La coppia rafforza l’azienda, ma bisogna sapersi aspettare»
Vita di coppia e d’azienda sono tutt’uno per Luisella Traversi Guerra, che con il marito Benito ha fatto crescere la Robur di Verdellino sino a renderla un autentico faro a livello mondiale per l’efficienza energetica dei sistemi di riscaldamento e condizionamento a gas.
Come sarebbe andata lo si poteva probabilmente intuire già da quel viaggio di nozze, 51 anni fa: un mese in Europa sulle tracce di beccucci per il gas, per cogliere al volo le opportunità legate al passaggio dal “gas di città” al metano. Incontrati nell’albergo dei genitori di lei a Selvino, sposati dopo un anno, molto giovani – 19 e 24 anni -, non hanno avuto dubbi nel condividere da subito anche il percorso professionale. «Mio marito era un artigiano con la voglia di fare presto – racconta Luisella Guerra –. Avevamo lo stesso sogno, creare una bella famiglia e fare qualcosa di utile, questo ci ha unito. All’inizio, avendo trascorso nella mia infanzia un lungo periodo a Parigi, ero la “segretaria” che parlava francese, poi sono passata ad occuparmi di tutta la direzione del personale (oggi Robur ha circa 220 dipendenti nella sede di Verdellino ed è presente anche in Germania e negli Stati Uniti ndr.) ed ho seguito da vicino alcuni aspetti del marketing, in particolare quelli legati alla motivazione alla vendita e allo sviluppo delle idee. Da qualche anno sono “ufficialmente” in pensione, ma partecipo ai Consigli di amministrazione portando la mia esperienza e non posso certo dire di aver chiuso con l’azienda. È come un figlio, lo si ha finché si scampa perché in gioco ci sono responsabilità sociali».
Se per molte mogli il ruolo quasi automatico è quello della gestione contabile e finanziaria, Luisella Guerra ha fatto diventare il proprio interesse per la crescita personale e delle relazioni un valore fondante dell’impresa. «Dopo il diploma magistrale mi sarei iscritta a filosofia – ricorda -. Mio marito mi ha riconosciuto un cuore predisposto a creare gruppo, a capire e motivare le persone, a stimolarle nel tirare fuori il meglio di sé, a rispondere con creatività alle situazioni. Siamo complementari, se dovessi sintetizzare il mio apporto direi che sono stata il lievito per la sua visione, aiutandolo a capire per tempo il mercato ed i prodotti, e insieme un’ancora, uno spazio dove rifocalizzarsi e ripartire per fare ancora meglio». Questa predisposizione si è tradotta nell’adozione in azienda, a partire dagli anni Ottanta, dei principi della qualità totale, di cui Luisella Guerra è tecnica e formatrice, che ha la propria base nello sviluppo personale. «Bisogna partire dalle persone, non ci sono alternative – commenta -. Conoscendo se stessi si acquisisce la capacità di migliorare le proprie potenzialità grezze: è questo lo snodo fondamentale, trasversale ad ogni ambito, che si tratti di tecnologia, ricerca o mercato. I problemi tecnici sono giochetti che si risolvono, i problemi veri sono quelli nelle relazioni».
È anche il segreto che fa funzionare una coppia impegnata nella stessa sfida imprenditoriale? «Amore e fiducia sono indispensabili – osserva -, ma poi è molto importante che ognuno sia disposto ad aspettare l’altro. Capita infatti che le esperienze portino marito e moglie ad evoluzioni diverse ed è fondamentale non perdersi di vista e attendere che il partner cresca perché l’obiettivo torni ad essere di entrambi. È un concetto che andrebbe urlato agli artigiani: se c’è questa attenzione all’ascolto di se stessi e dell’altro, senza compromessi, la coppia moltiplica la forza dell’azienda. La coppia è un tesoro sociale, peccato non rendersene conto. Far crescere un rapporto significa lasciar perdere gli egoismi, le pretese, il potere e raggiungere una raffinatezza di espressione sempre maggiore». Non è facile, anzi. «I momenti di difficoltà non sono mancati neanche per noi – ammette -, soprattutto quando si trattava di fare un passo avanti, ma sono stati anche quelli che, illuminati dall’amore e del rispetto, hanno contribuito ad illimpidire il rapporto. Certo, poi c’è anche chi si accontenta dei gioielli o di andare alle terme con le amiche…», dice senza paura di colpire nel segno.
Del resto Luisella Guerra spazza via anche la convenzionale distinzione tra vita privata e lavorativa. «Che siano due cose diverse è una grossa bugia – afferma -. Se si è onesti con sé stessi in azienda lo si è anche nella vita. Personalmente ho coltivato tante dimensioni, quella di scrittrice di libri sul management, quella di pittrice con esposizioni in tutto il mondo, ma il processo di crescita è uno solo e si riversa su tutte le componenti, nel matrimonio, nel rapporto con i figli (sono cinque ndr.), in azienda, sul mercato».
È così che per settembre attende l’uscita del suo libro di fiabe per bambini, edito da Mondadori, mentre con un gruppo di “ragazze” sta preparando un manuale per l’autoformazione allo sviluppo della creatività nel mondo dell’impresa, sognando di dare vita di qui a cinque anni alla prima Università della Creatività d’Europa. Dopo l’impegno in azienda ora la volontà è di mettere a disposizione di altri la sua esperienza. Con una certezza su tutte: «Il bene grande che lega me e mio marito ci ha regalato questa bella storia».
Mirella Salvi (Rotolificio Bergamasco)
«È delle donne il ruolo chiave, devono tenere tutto in equilibrio»
«Sino ad ora i “rotolini” non ce li siamo mai tirati dietro». Scherza Alessando Panseri nel raccontare la storia d’amore (quest’anno festeggia il 45esimo di matrimonio) e d’impresa che condivide con la moglie Mirella Salvi. E dissolve in una battuta l’immagine che vuole per forza i coniugi sempre intenti a battibeccare.
I rotolini in questione sono quelli della Errebi – Rotolificio bergamasco di Gorle, che insieme hanno deciso di rilevare nel 1977 facendola diventare la prima azienda in Italia per fatturato e tra le prime in Europa nella produzione di carta in rotoli. Tradotto nella pratica, significa imbattersi quasi quotidianamente con uno dei loro prodotti, che si tratti di uno scontrino fiscale, di un ticket per il parcheggio o l’autostrada, della ricevuta di una giocata (sono i fornitori di Lottomatica e Sisal) o del bancomat, dei numerini per la coda o di quelli sui capi ritirati dalla lavanderia, ma anche delle maxi affissioni.
«Mio marito lavorava alla Pirelli e spesso era impegnato all’estero, io facevo la casalinga – racconta Mirella Salvi – e seguivo i bambini (Gianluca nato nel ‘70 e Cristiano nel ‘73, mentre nell’87 sarebbe arrivato Pierluigi, il “piccolo” della famiglia ndr.). Il titolare, ormai anziano, del rotolificio, che allora aveva sede a Redona, ci ha proposto di subentrare nell’attività. Ai tempi produceva i rotoli per le calcolatrici di due banche, ma nelle dimensioni ridotte e nella versatilità di questi articoli vedeva grandi prospettive. Abbiamo accettato. E da allora sono qui».
Data la precedente esperienza da impiegata nell’azienda di famiglia, per Mirella è stato scontato occuparsi della parte amministrativa, mentre il marito sviluppava quella tecnica. Alla signora spettano anche le relazioni e la partecipazione alla vita associativa. In Confindustria Bergamo è stata presidente del Gruppo Cartotecnici e fa parte del Consiglio direttivo della Piccola Industria. È anche tra i probiviri di Assografici, l’associazione nazionale del settore e partecipa al network mondiale di donne imprenditrici Aidda. «La divisione dei ruoli dipende più che altro da un fatto pratico, legato alle competenze, alle inclinazioni e al tempo a disposizione – rileva il marito -. Vale anche nell’assegnazione delle cariche. I soci siamo noi due, lei è l’amministratore perché può seguire meglio anche gli aspetti burocratici, io però ho la quota maggiore e posso revocarle l’incarico…», la provoca sorridendo.
Loro e l’azienda sono cresciuti con i propri dipendenti. Hanno infatti sempre assunto persone al primo impiego, un modo per dare fiducia e condividere un cammino. Lo conferma il fatto che solo quest’anno – in quasi 30 di attività – saluteranno il primo dipendente che ha raggiunto la pensione dei circa 70, impegnati tra Gorle e lo stabilimento di Majano, in Friuli, aperto nel 2000. «Teniamo ad ognuno di loro – sottolinea Panseri – e non siamo mai ricorsi alla cassa integrazione o alla mobilità, stringendo i denti nei momenti più difficili». E ce ne sono stati, non solo in questo ultimo periodo. «Mi dicevano, forse solo a mo’ di battuta, che era rischioso lavorare con mia moglie perché se le cose fossero andate male, sull’uno o sull’altro versane, ci avrebbero rimesso in ogni caso sia la famiglia sia l’attività. Posso dire che è l’esatto contrario. Essere impegnati entrambi in azienda significa non essere soli, avere qualcuno che comprende i problemi e su cui contare, ma anche avere la fortuna di passare molto più tempo insieme. La famiglia e l’impresa si rafforzano a vicenda, a patto ovviamente che siano la famiglia e il lavoro i valori in cui si crede», puntualizza.
Secondo la consorte il buon funzionamento di un matrimonio d’impresa dipende comunque più dalle donne, chiamate ad un ruolo di “registe”. «È la donna che regge tutto, con la sua capacità di organizzare, di smussare, di tenere insieme ed in equilibrio, anche accettando di stare un po’ più defilata – rileva -. Personalmente credo che a dare la linea in azienda debba essere uno solo e non ho mai contraddetto mio marito di fronte ai dipendenti. Certo le decisioni importanti poi le abbiamo sempre prese insieme». Sul conciliare gli impegni del lavoro con quelli della casa, tanto più nel suo caso con tre figli maschi, dice che fissando delle priorità e con un po’ di organizzazione e gioco di squadra si può fare. «Fin da piccoli anche i nostri figli hanno condiviso il nostro percorso, era inevitabile – ricorda mamma Mirella -, e mano mano è stato naturale per loro entrare in azienda e portare il proprio contributo in base alle proprie caratteristiche. Ora i consigli di amministrazione li facciamo la domenica a pranzo – dice per far capire il clima -. Ciò che ci unisce e fa andare d’accordo è, in fondo, semplice. Riconosciamo tutti che è l’azienda quella che ci dà da vivere e che fa stare bene noi ed i nostri dipendenti, per questo facciamo tutti del nostro meglio». O, come dice il primogenito Gianluca, «facciamo a gara a chi lavora di più».
La buona integrazione della nuova generazione e il rapporto creato con i dipendenti li fa guardare al futuro in chiave positiva. «Crediamo di avere messo buone basi per il passaggio del testimone – dicono – e non avremo difficoltà nel farci da parte. Ognuno ha il suo tempo da vivere e questa è la loro epoca». Già, ma c’è la crisi… «Chi ha visto trasformarsi un sogno in realtà come noi non può che continuare ad avere fiducia», concludono. Ecco, dentro quei rotolini di carta che poi arrivano in tutte le nostre tasche c’è questo sogno.