Ormai da tempo, sento alzarsi, qua e là, lamenti per l’insostenibile aumento della microcriminalità a Bergamo, per il senso di insicurezza, per mille piccoli episodi di quotidiana violenza contro i cittadini: furti, risse, scippi, babygang. Insomma, tutto il repertorio già visto a Los Angeles quarant’anni fa, a Londra trent’anni fa, a Parigi vent’anni fa, a Milano dieci anni fa, e adesso, da buoni ultimi, anche a Bergamo. Se c’è una cosa che la storia militare ti insegna è che i generali non sono quasi mai capaci di imparare dai propri errori: viceversa, la pedagogia definisce l’errore un “ambito di apprendimento”.
I pedagogisti, evidentemente, sono molto più ottimisti degli storici. Dunque, fatta la tara a quelli che si accorgono solo adesso della malattia, ma non fecero un tubo per occuparsi dei sintomi, quando era in loro potere farlo, di fronte ad un problema che, obbiettivamente, sta dilagando, vorrei offrire il mio modestissimo contributo. Va da sé che vi sono ragioni profonde per cui, oggi, se percorri il sottopasso della stazione, rischi la rapina: dev’essere per questo che i nostri lungimiranti progenitori hanno tanto esitato ad aprirlo: poca polizia, leggi ultragarantiste, magistrati in vena di paciocconerie, paura di passare per razzisti se si dice che questi furboni sono al 99,99% stranieri e così via. Si è detto fin troppe volte e ve lo risparmierò. Mi limiterò, perciò, a suggerire un sistemino facile facile, per sgominare due tra le più odiose attività seriali che prosperino nel centro del capoluogo: i furti di biciclette e la gang giovanili che molestano coetanei ed adulti.
Proprio la storia militare insegna che, se il nemico è ben asserragliato nel suo fortino oppure gode di indubbi vantaggi logistici, la cosa migliore da fare è attirarlo in un’imboscata: tutto sta nel trovare un’esca che lui non sospetti essere tale. In questo caso, proprio la sensazione di onnipotente immunità che anima questi delinquentelli di terza categoria potrebbe essere la chiave per fregarli: alla sicurezza, al buonismo, al perdonismo totale, corrisponde, per solito, nei beneficati, la rassicurante sensazione di vivere in un mondo di fessi. Di essere gli unici vedenti nel regno dei ciechi di H.G. Wells, tanto per capirci.
E, allora, ecco il semplice sistema per incastrarli, con bassissimo dispendio di forze dell’ordine e soltanto un pochino di pazienza. L’attività dei ladri di biciclette, intorno alla zona della stazione, ad esempio, è palesemente seriale: ci sono dei nullafacenti, appostati dove, di solito, si parcheggiano le bici (in via Mai, dove ci sono le scuole, ad esempio), che segnalano ad un’équipe altamente organizzata la presenza di un velocipede rubabile. Immaginiamo una mamma che va di fretta, perché ha il consiglio di classe del figlio: chiude con un lucchetto normalissimo la sua bici fuori dal “Lussana” ed entra. Oppure uno che deve fare una commissione veloce: non può perdere un’ora a cercare un paletto in zona sicura e chiude la bici dove capita. L’osservatore, che sembra un perdigiorno un po’ rincoglionito, non è affatto un perdigiorno e, soprattutto, non è punto rincoglionito: tira fuori il cellulare, chiama, e in dieci minuti arrivano i soci col tronchese che, senza dare nell’occhio procedono all’ablazione del prezioso velocipede, che, poi, venderanno su e-bay, come se niente fosse.
Succede ogni giorno, più volte al giorno: è una banda, e io ho ragionevoli dubbi che la polizia sappia anche perfettamente di chi si tratta. Li volete acchiappare con le mani nella marmellata? Prendete una signora sui quaranta, elegante quanto basta, con una bella citybike: fatele lasciare la bici, chiusa con un lucchetto da poco, in uno dei luoghi caldi, e aspettate. Mettete quattro cinque apparenti perdigiorno con cellulare a farsi gli apparenti affari loro, tutto attorno: fate, insomma, come fanno i ladri. Si chiama riallineamento di una guerra asimmetrica. Garantisco che, alla seconda o terza volta, beccherete la banda al gran completo: se, poi, qualche magistrato li rimetterà fuori in dieci minuti, questo è un altro discorso, che bisognerebbe affrontare in Parlamento.
Lo stesso dicasi per le babygang: di solito, quattro bulletti incazzatissimi per il fatto di non avere i capelli biondi e gli occhi azzurri. Nemmeno io li ho, ma non per questo vado a pestare la gente, ma sorvoliamo. Mandiamo la solita civetta a passeggiare per i luoghi che i giovani mentecatti considerano loro territorio esclusivo: al terzo passaggio, il nostro ragazzino, con aria un po’ ebete e vestito all’ultima moda, sarà sicuramente agganciato. E, con questo, sarà agganciata anche la temibilissima babygang: saranno scoperti i loro genitori, saranno prese le loro impronte e così via. Penso che, nella maggioranza dei casi, basterà come deterrente il sapere che Bergamo si difende, per evitare che questi, che sono poi ragazzini, non ci ricaschino. Il punto è che Bergamo non si difende, perchè pare poco bello difendersi: in questo mondo rovesciato, difendersi equivale ad aggredire. In ogni caso, io un modo per salvarsi le chiappe senza troppe tragedie ve l’ho suggerito: adesso fate voi.