La svolta del dirigente: 
«Addio 
Bergamo Mercati, 
ora “alleno” 
imprenditori e manager»

La svolta del dirigente: «Addio Bergamo Mercati, ora “alleno” imprenditori e manager»

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Il primo a «non irrigidirsi in schemi», come consiglia di fare ai manager che ora affianca, è stato lui. Dopo 15 anni da amministratore delegato di Bergamo Mercati, la società pubblico-privata che gestisce il mercato ortofrutticolo di Bergamo, Mattia Rossi ha scelto di voltare pagina. Un cambiamento netto, che lo proietta nel mondo della formazione aziendale, del coaching in particolare, ossia quel supporto personalizzato che aiuta ad esprimere al meglio le potenzialità e a raggiungere gli obiettivi. In scadenza di mandato, d’accordo con gli azionisti privati, ha deciso di non presentare la propria candidatura per il prossimo triennio all’assemblea che lo scorso 22 maggio ha rinnovato il Consiglio di amministrazione della società e confermato alla presidenza Renzo Casati. Nella prima riunione del Consiglio saranno assegnate le deleghe e la sua potrebbe andare al neoeletto Andrea Chiodi, responsabile prezzi e qualità, professionalmente cresciuto al suo fianco.
Quarantasette anni, giornalista della carta stampata e televisivo dall’87 al ’95, poi addetto stampa della Provincia con presidente Ceruti e per due anni responsabile della comunicazione della Bas, ha guidato Bergamo Mercati dal ’98, in pratica dai primi passi della nuova società. «Far partire da zero Bergamo Mercati è stato stimolante e divertente – racconta Rossi –, ma sono una persona sempre alla ricerca di nuove sfide e negli ultimi quattro-cinque anni mi sono appassionato alle tematiche legate allo sviluppo della capacità manageriali e imprenditoriali e sono stato sempre più attirato da questo mondo».
Scegliere di lasciare una carriera avviata per una tutta da costruire può però non essere così scontato, soprattutto in un Paese in cui le poltrone si cerca di tenerle ben strette. E la crisi aggiunge instabilità. «L’incarico di amministratore viene rinnovato ogni tre anni – precisa -, è perciò un lavoro “precario” e la crisi non è, dal mio punto di vista, un freno ma una situazione che rende semmai più facile trovare nuove opportunità, perché non ci sono più schemi fissi e si è di fronte ad un flusso continuo di cambiamento. Credo che stiamo attraversando una svolta epocale – rimarca –, di quelle che capitano pochissime volte nella storia, si può stare a guardare ciò che finisce o pensare che siamo all’inizio di ciò che verrà. Io sto cercando di dare il mio contributo in questa direzione». Già, perché davanti all’emergenza, il rischio è che si perda la bussola, la visione a lungo termine. «Ovviamente gli imprenditori hanno oggi problemi immediati e concreti – rileva Rossi -, su tutti ottenere ossigeno dalle banche e mettere in sicurezza i conti, ma occorre anche mantenere spazi per progettare una linea strategica. Non bisogna pensare che le capacità che hanno consentito di far crescere un’azienda nel tempo siano scomparse, le potenzialità ci sono ancora, si tratta magari di fare le cose in modo diverso».
Ed è qui che può essere d’aiuto il coach, termine con cui nel mondo anglosassone si indica l’allenatore sportivo, esteso poi alla figura che supporta lo sviluppo personale e professionale. «Un’attività che negli Stati Uniti è già presente da almeno vent’anni – ricorda – e che si sta diffondendo anche in Italia. Proprio come l’allenatore di un atleta, il coach individua le potenzialità, stila un programma d’azione ed offre il supporto da bordo campo, ossia un diverso punto di vista della situazione. La gara poi se la deve giocare il singolo».
Rossi si occupa, in particolare, di sviluppo della leadership, delle relazioni interpersonali e dell’organizzazione. «Gli interventi – spiega – prevedono una parte di formazione in aula e un vero e proprio accompagnamento per alcuni mesi su obiettivi operativi, in modo concreto e pratico. Sono mirati al miglioramento delle cosiddette soft skills, non le competenze specifiche in una materia ma le capacità personali e di relazione». Non ha dato vita ad una società, ma può contare su una rete di colleghi con cui collaborare su progetti. «Nelle grandi aziende, dove la formazione è un’attività più strutturata  – dice –, il coaching è una metodologia conosciuta, ma ho avuto modo di incontrare anche giovani imprenditori di piccole e medie aziende molto preparati e con una mentalità aperta su questi temi, l’interesse c’è e questo è importante, soprattutto in prospettiva». Attualmente sta lavorando con aziende a Milano e privati in Bergamasca. «Le criticità maggiori? La mancanza di autenticità nelle relazioni interpersonali – evidenzia -. Si sta troppo sulla difensiva, c’è sospetto, diffidenza. Lo si nota nelle difficoltà nel processo di delega, quando si dimentica che è grazie alla crescita di tutti che possono migliorare la redditività e la competitività. La vera leadership è creare una visione condivisa e farsi seguire».
E sulla sua scelta rimarca: «Fare il coach vuol dire essere prima di tutto essere chiari con se stessi. L’esperienza in Bergamo Mercati si è conclusa naturalmente quando ho capito che potevo dare di più in quest’altro settore».   

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