Da inizio anno sono sbarcati in Italia 160 mila migranti, secondo i dati Unhcr, la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. In tutta Europa, contando in particolare anche la Grecia, sono in tutto poco più di 330 mila. Come è noto, questa è considerata un’autentica emergenza, più nel Sud Europa che nel Nord Europa, a dire il vero, tanto da essere considerata dall’Italia un possibile grimaldello per riuscire ad ottenere maggiore flessibilità per il bilancio, alla pari di un disastro, questo sì riconosciuto da tutti, come i terremoti.
Intanto il ministro dell’Immigrazione del Canada, John McCallum, ha annunciato che l’anno prossimo il suo Paese accoglierà altri 300 mila immigrati (più di un terzo dei quali rifugiati), lo stesso numero di quest’anno.
Questa notizia, che il Canada annuncia con soddisfazione, appare in contrasto con la precedente, ma serve anche a rimettere in linea il fenomeno dell’immigrazione, che non è italiano o europeo, ma globale. Quello che appare un problema in Europa, in ogni caso non lo è dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Il Canada, con il quale è stato appena firmato dalla Ue un accordo di libero scambio commerciale, non ha, per motivi geografici, il problema dei barconi, ma ha anche un approccio di rigidità totale nella sua lunghissima frontiera con gli Stati Uniti per quanto riguarda i clandestini.
Questo fa già la differenza, ma c’è però soprattutto rispetto all’Italia, un diverso atteggiamento, legato anche ad una diversa modalità di gestione e impostazione sulla questione immigrazione (non solo clandestina), che fa vivere diversamente la questione da parte del Canada, Paese del G7, che pur avendo un numero di abitanti inferiore a quello dell’Italia, anche se una superficie ben più ampia, ha una percentuale maggiore di stranieri. Questo, innanzitutto, perché il Canada ha un ministro dell’Immigrazione. E poi perché il ministro dichiara che “i livelli di immigrazione stabiliti nel 2017 favoriranno la crescita economica e l’innovazione in Canada permettendo di riunire un gran numero di famiglie”.
Secondo il governo canadese l’immigrazione ha un ruolo fondamentale nel mantenimento della competitività del Paese nell’economia mondiale, compensando l’invecchiamento della popolazione. Di fatto, secondo il governo “l’immigrazione rappresenterà presto la crescita netta della popolazione attiva”, perché le uscite in pensione sono superiori all’ingresso di giovani canadesi nel mercato del lavoro.
In Italia la questione è affrontata in maniera capovolta, guardando sempre alla questione del lavoro, ma rivolgendosi più all’emergenza del presente (pensioni) che alle prospettive del futuro (lavoro per i giovani e quindi risorse per il Paese, pensioni incluse).
In Italia si è lanciato il Fertility day, del quale si ricordano più le polemiche della vigilia che l’evento in sé. L’iniziativa, visto che siamo in Italia, ricorda inevitabilmente l’invito mussoliniano alla procreazione perché il “numero è potenza”. Anche se adesso i figli non devono essere dati alla Patria, ma all’Inps.
Vero che le nascite sono al numero più basso dall’Unità d’Italia, ma il controllo demografico di Stato, in via diretta, non dà grandi risultati, come conferma la Cina che con la politica del figlio unico ha creato milioni di non registrati. Se avessimo veramente bisogno di più persone non dovremmo rifiutare gli immigrati, forza lavoro giù pronta, ma seguire l’esempio del Canada.
Se invece servono nuovi italiani per permettere il pagamento delle pensioni, almeno a chiusura della previdenza regolata con il retributivo, allora bisognerebbe ragionare in maniera differente. Se già i giovani che ci sono non trovano lavoro in Italia e sono costretti ad emigrare, aumentarne il numero vorrebbe dire crescere persone che andranno a produrre in un altro Paese. Canada compreso.
Ma ci sono altri elementi che preoccupano. Sta anche diminuendo la speranza di vita alla nascita (per gli uomini si è ridotta a 80,1 anni dagli 80,3 del 2014 e per le donne a 85, dagli 84,7 dell’anno precedente) e c’è stato un picco di mortalità, tanto che per la prima volta non è stato necessario adeguare l’età pensionabile alla maggiore aspettativa di vita. L’aumento della mortalità è legato anche al fatto che con l’aumento dell’invecchiamento della popolazione si allarga progressivamente il numero delle persone che per età sono statisticamente più a probabile rischio decesso. Abbiamo comunque meno giovani e più anziani. L’età media della popolazione è salita a 44,5 anni. Più anziani vuol dire più costi per la sanità e per la previdenza, meno giovani vuol dire meno produzione di ricchezza (anche per gli anziani). Il Canada sembra averlo capito, mentre noi continuiamo a preoccuparci dell’immigrazione, spaventandoci per numeri che andrebbero visti con altri occhi. Secondo i dati Istat nel 2015 in Italia sono stati concessi meno di 240 mila permessi di soggiorno (con riduzione del 4% rispetto all’anno prima), mentre il totale degli extracomunitari è inferiore a 4 milioni su un totale di oltre 60,5 milioni di residenti. La percentuale ufficiale è di 8,3% di stranieri (includendo un milione di non italiani comunitari): ampiamente sotto la media dei Paesi sviluppati.