Ne abbiamo parlato con Luca Catalfamo, unico chef non giapponese che è rimasto per due anni nella food court del Museo del ramen di Shin-Yokohama
Il ramen è un piatto unico, semplice ma saporito, diventato lo street food per eccellenza in Giappone. Esistono decine e decine di varianti della ricetta, dal brodo di carne a quello di pesce, dalle spezie alle verdure, e in Giappone ogni regione ha la propria specialità. Fino agli anni ‘50 era chiamato shina soba cioè zuppa cinese, in quanto servito dai ristoratori cinesi. Il piatto simboleggiava l’imperialismo giapponese; gustare una ciotola di shina soba in quegli anni significava ingurgitare la stessa Cina. Il nome fu cambiato in ramen, che richiama la parola cinese lamian, ossia tagliolini tirati a mano. A introdurre la specialità, per primo, in Italia è stato lo chef Luca Catalfamo, 46 anni, di Vignate, che nel 2013 ha aperto a Milano Casa Ramen e poi Casa Ramen Super, ristorante dove si possono prenotare altri piatti, abbinando un bicchiere vino o birra. Nel libro Casa Ramen, pubblicato da Giunti, Catalfamo racconta la sua storia, una giornata nei suoi locali e non manca la ricetta per preparare un ottimo ramen a casa.
La scoperta del Ramen
«Una dozzina di anni fa lavoravo nelle cucine dei ristoranti di New York quando ho scoperto il ramen per caso, come accade per tutte le cose belle – racconta Catalfamo -. Finito il turno, passando fuori dai locali nell’Est Village, mi colpì una lunghissima coda. Era gente che aspettava di entrare a Ippudo, iconico ramen bar. Entrai e fu un colpo di fulmine». Lo chef si è messo a ricercare, ha studiato, assaggiato, testato, ponendo fin da subito un confine netto tra la sua attività culinaria tradizionale e la sua passione. «Il mio approccio era da cliente affezionato, cercavo di assaggiare più tipologie differenti – dice –. Così sono volato a Sidney e a Londra, l’idea era di aprire un ramen bar a Milano. E così è stato, nel 2013, con Casa Ramen, quando nessuno sapeva cosa fosse questo piatto: ho spianato la strada a tanti professionisti, dando un’impostazione». Dopodiché è ripartito per il Giappone per un’immersione totale nella cultura che ha dato origine al ramen per poterne catturare l’anima.
Definizione e categorie
Il ramen è una zuppa calda. «Questo secondo la visione italiana il ramen – afferma Catalfamo -. Ma è riduttivo definirlo tale, è molto di più: è il comfort food asiatico, composto da noodles freschi fatti con farina di frumento, brodo di carne o pesce e tanti altri ingredienti come pollo, uova sode, alghe. Si definisce da solo». Ci sono quattro macrocategorie: shio (brodo chiaro e molto saporito che combina carne di pollo con pesce, verdure e alghe, spesso guarnito con prugne sotto aceto), shoyu (brodo di carne scuro con salsa di soia, alghe, germogli di bambù, fagioli, uova sode e spezie), miso (brodo di miso con pesce o pollo) e tonkotsu (brodo di maiale, spesso servito con zenzero sotto aceto). «Ma non c’è una regola, la differenza la fa chi lo cucina, in base al proprio gusto, esperienza e anche umore – afferma l’esperto -. Varia a seconda del luogo, come accade in Italia per i piatti regionali. Il sapore del brodo non è mai identico. La regola semplice è cercare di non copiare, ma riprodurre l’anima con gli ingredienti del territorio. Il fine è portare chi lo gusta in Giappone o regalare un assaggio a chi desidera andarci».
Tonkotsu Ramen
Si narra che il ramen sia uno dei pochissimi piatti che consente di sentire l’umami, il quinto sapore, separato rispetto al dolce, al salato, all’aspro e all’amaro, che noi occidentali non conosciamo affatto. In questo caso, la prova è dimostrata facilmente assaporando il tonkotsu ramen. «Il migliore, quello che ho introdotto per primo, dal brodo denso, lattiginoso, preparato con carne e ossa di maiale che cuoce per 12-14 ore e riposa un’intera notte – conferma lo chef -. E’ anche la variante più diffusa e gustosa».
I segreti per gustarlo
Il ramen è anche divertente da mangiare: si usano la bacchette, ma anche un mestolino per il brodo. Ecco alcune regole per gustarlo al meglio. «Girare i noodles con bacchette e cucchiaio fa molto spaghetto all’italiana, ma è parte della nostra cultura, dunque è bello da vedere – sorride Catalfamo -. Poi suggerisco di consumarli al dente e velocemente, altrimenti la pasta si ammorbidisce. Prima però si assaggia il brodo e prima ancora, lo si annusa. Gli ingredienti non vanno mescolati per godere di tutti i sapori e delle diverse sfumature, ma si mangiano uno alla volta, partendo dal topping. Seconda cosa: il brodo si beve alla fine, alzando la ciotola, senza badare all’etichetta».
Dal dilm Ramen Heads al Museo del Ramen
“Ramen heads” di Koki Shigeno, più che un documentario è un atto d’amore verso questa pietanza che rivela, passo dopo passo, i segreti dei migliori chef di questa zuppa, a partire da Tomita Osamu considerato l’imperatore indiscusso del ramen. Per far capire quanto è grande la sua fama, il Tomita Ramen, a Matsudo, ha solo undici posti ed è un luogo di culto tra i più visitati in Giappone tanto che ha dovuto sviluppare un sistema di biglietteria digitalizzato per le prenotazioni. Esiste anche il Museo del ramen di Shin-Yokohama, vero parco a tema dedicato a questo piatto. Luca Catalfamo è stato invitato a presenziare nella food court, dove è rimasto per due anni, unico chef non giapponese.