Stipendi dei parlamentari, ecco la mia ricetta per eliminare furbi e opportunisti

Stipendi dei parlamentari, ecco la mia ricetta per eliminare furbi e opportunisti

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L'aula di Montecitorio
L’aula di Montecitorio

Lo stipendio ai parlamentari, ossia, in pratica, la somma dell’indennizzo e della diaria, fu introdotto con l’articolo 69 della Costituzione, per permettere anche ai meno abbienti di dedicarsi alla politica attiva: l’ampliamento dell’elettorato e la comparsa dei partiti popolari, dopo la seconda guerra mondiale, rese, di fatto, inevitabile questo provvedimento. Invece, per i cento anni in cui restò in vigore lo Statuto albertino, valse l’articolo 50 del medesimo, che escludeva ogni forma di stipendio per i deputati ed i senatori. È antistorica, oltre che colpevolmente mutila, la citazione che spesso si legge su internet del ‘lodo Roncalli’ del 1861, sull’introduzione del rimborso delle spese di viaggio per i parlamentari, che venne bocciato dal Senato: allora votava il 2% della Nazione e gli eletti erano tutti rentiers o benestanti. Nel 1948, si prese, perciò, esempio dall’obolo ateniese e si previdero uno stipendio ed una diaria per deputati e senatori. La riforma introdotta dai padri costituenti, dunque, andò decisamente in direzione di una maggiore democrazia e civiltà politica. Un poco alla volta, però, con la scusa dell’incorruttibilità, che sarebbe garantita (vien da ridere) dagli altissimi emolumenti, e della necessità di mantenere uno stile di vita consono alla dignità del ruolo, l’indennità si è gonfiata a dismisura, anno dopo anno e con decisione interna ed autonoma dei parlamentari, e oggi supera di molte volte un normale stipendio, per quanto corposo.

Ne deriva che, per un individuo senz’arte né parte, si tratti di una golosissima soluzione al problema di far quadrare il pranzo con la cena: un giovane, magari pluribocciato a scuola, potrebbe riscattare la propria grama esistenza ed il proprio gramiore futuro, gettandosi nell’agone politico: solo che il sacro fuoco che lo animerebbe risulterebbe più a vocazione privata che pubblica, se mi spiego. E troppi ne abbiamo visti, di finti laureati, di universitari mancati, di impiegati di concetto divenuti supermanager della politica. In taluni casi, invece di attirare i migliori, i disinteressati, gli amanti del bene comune, la politica attrae, insomma, soprattutto i mediocri, gli interessati, gli amanti del bene proprio. Come risolvere la questione, conciliando il diritto di fare politica con l’eliminazione del movente lucroso? Basterebbe garantire al neoeletto il medesimo stipendio o lo stesso reddito di cui godeva prima dell’elezione, mantenendogli contributi, scatti di anzianità ed adeguamenti, in modo che, alla fine del mandato, si ritrovasse come se avesse continuato a lavorare. Oppure, come propone un mio amico, tener conto della media delle ultime tre denunce dei redditi, introducendo un tetto per i ricchissimi: sarebbe impensabile pagare a Berlusconi o a Della Valle l’equivalente delle loro entrate annuali. Anzi, sull’esempio delle aliquote fiscali alla rovescia, si dovrebbe prevedere che, oltre una certa cifra dichiarata, al neoeletto non tocchi alcun emolumento.

Onde evitare, poi, che qualche furbacchione si facesse fintamente assumere, prima delle votazioni, a stipendi stellari, bisognerebbe prevedere controlli capillari ed implacabili sui neoletti: in fondo, non sono nemmeno mille persone e non dovrebbe essere un’impresa impossibile accertare se qualcuno di loro fosse passato, nei mesi precedenti le elezioni, da 10mila a 10milioni di euro all’anno, senza giustificazioni apparenti. E, naturalmente, introdurre meccanismi di tutela e garanzia per chi rischi, diventando deputato, di sospendere un’attività che minacciasse di andare a remengo per la prolungata assenza del titolare, come suggerisce un mio cuginetto, che gestisce un bar e che, secondo me, un pensierino a Montecitorio l’ha anche fatto. Insomma, si tratterebbe di dedicarsi alla propria passione per il bene del Paese, senza rimetterci e senza guadagnarci e tenendo presente che fare il parlamentare non è prescritto da un  medico, ma è una libera scelta: per il bene, appunto della comunità, e non del proprio portafoglio. Per ottenere una bella sfoltita di incapaci, disutili, maneggioni ed intrallazzatori, basterebbe introdurre una legge che preveda una riforma del tipo di quella che ho testè suggerito, magari in forma più compiuta di quella che le ho dato io, alzandomi dal letto di domenica mattina, e con tutte le addizioni migliorative possibili ed immaginabili. Nulla di più, semplice, immediato, definitivo. L’alloggio a Roma? Fornito dallo Stato. I trasporti? Documentati e rimborsati. E così via. C’è un solo, gigantesco, problema: come pensare che sia chi gode di immensi privilegi, conquistati callidamente, a legiferare onestamente per toglierseli? Ed eccoci qua: hic Rhodus, hic salta.