Quanto vale un eroe: quanto vale un vigliacco? Difficile dire: si tratta di due concetti plastici, per nulla identificabili con uno stato esistenziale, quanto, piuttosto, con uno stato dell’animo, che, come è noto, è ondivago nei sensi e nei sentimenti. Insomma, per farla corta, eroi o vigliacchi non si nasce e, forse, neppure si diventa: dipende dalle circostanze, dall’epoca in cui vivi, dall’educazione che ti impartiscono, dalle prove cui vieni sottoposto, dall’età, dal momento, da come ti sei alzato al mattino. Questo, in genere. Esistono, poi, persone o, meglio, personaggi, dotati di una maggior vocazione, eroica o vigliacca, degli altri: sono, in un certo senso, dei predestinati, per indole e per genetica. Antonio Locatelli era uno che, ad un certo punto della sua esistenza, dopo una vita tutto sommato comune, fatta di studio, di lavoro e di camminate in montagna, si è messo a fare l’eroe, e l’ha fatto per tutta la vita: fino a morirne, di eroismo. Cosa lo mosse non so dire: partito da via Paglia, che allora non si chiamava ancora così, approdò alla ricognizione aerea, e divenne il più bravo di tutti. Fece il podestà di Bergamo, ma lo silurarono, perché, già allora, se pestavi qualche callo importante, duravi pochino su quella cadrega.
Trasvolò le Ande, fece il deputato. Poi, venne la guerra d’Abissinia e il nostro, ormai in età da mettere la testa a posto, andò volontario: bombardò gli Abissini, cercando di accopparne il più possibile, come fa un qualunque soldato in qualunque guerra e, negli ultimi scampoli di una ribellione fuori tempo massimo, atterrò in territorio ostile e ci lasciò le penne. Detto così, sembrerebbe l’apoteosi dell’andarsela a cercare. Ma cosa ne sappiamo di come funziona un eroe? Cosa possiamo dire di uno che, dopo aver perso il carissimo fratello sulle groppe del Presena ed aver svolazzato per mezzo mondo, aveva ancora voglia di mettersi in gioco, a quarant’anni suonati, ed è andato a farsi ammazzare in Africa orientale? Magari, da bravi borghesi, potremmo anche fare spallucce e chiuderla lì: ma il Locatelli è anche il militare italiano più decorato d’oro che ci sia. Tre medaglie d’oro: Luigi Rizzo, l’affondatore della Vienna e della Santo Stefano, se n’ebbe due, si fa per dire, soltanto. E, allora, hai poco da fare spallucce, caro borghese: giù il cappello e alè!
Oggi, c’è il suo busto nella torre dei caduti, c’è una strada intitolata al suo nome, c’è una fontana che sembra un po’ un cifone di marmo, ci sono parchi, lapidi: c’è perfino il suo aeroplano, restaurato così e così, e conservato ad Almenno, mercè la sensibilità del museo del falegname “Tino Sana” (si vede che a Bergamo di gente sensibile ce n’era troppo poca!). Locatelli, da un po’ di tempo in qua, ossia da quando il solito organetto di Barberìa dell’antifascismo e della Resistenza si è un tantino sfiatato, un po’ per l’oggettiva senescenza dei suoi suonatori, un po’ per l’altrettanto oggettiva indigestione collettiva, che ha reso un filo inappetente il pubblico, è diventato il nuovo oggetto di culto delle vestali antifasciste. Va detto che queste vestali sono sempre alla cerca di qualche vulnere alla democrazia e che, come cani da trifola, si gettano con rara bramosia su qualunque soggetto possa prestarsi alle loro geremiadi o alla loro indignazione. In fondo vanno capite: leva loro l’indignazione e cosa ti resta? Qualche camicia dal colletto un po’ al limite, dei pantaloni di velluto a coste, due o tre libri che nessuno mai leggerà e un’autentica miniera di materiale d’archivio, composta, perloppiù, da indignazioni precedenti. Roba buona da conservare ad una posterità che, con perfetta nonchalance, al momento opportuno, adibirà alla ruera tutto il malloppo indignativo, unitamente alle camicie lise e a tutti i maledetti velluti. Eppure, nonostante l’incombere del bargnìf ed il mutar dei tempi, questi malmostosi professionali trovano sempre qualche battaglia da combattere, qualche trincea da difendere: in senso figurato, ovvìa, giacchè sono tutti rigorosamente antimilitaristi, obiettori o riformati alla leva. E si sono inventati l’antilocatellismo, nella parata di antiquesto ed antiquello su cui hanno costruito le proprie fortune: Locatelli era un fascista, la sua memoria è indegna di un paese civile! Eggià che era fascista: come lo erano quasi tutti gli Italiani di allora. Come lo era Eugenio Scalfari, che si pavoneggiava in divisa della GUF, come lo era Dario Fo, volontario della Rsi, come lo erano Bobbio, Bocca, il recentemente defunto Ingrao e via discorrendo. E così, care le mie vestali?
L’Italia era fascista, durante il fascismo: fatevene una ragione. Così come è diventata antifascista subito dopo. Volete sradicare le memorie del fascismo? Benissimo: faremo a meno delle Poste, del Lussana, della Borsa: cosa volete che sia? E andiamo, care le mie vestali: fatela finita! Pensate al futuro, anziché crogiolarvi in una guerra che è terminata da settant’anni: voi e i ragazzini che ascoltano le vostre bambocciate come fossero vangelo, e poi imbrattano fontane e monumenti. Tra non molto, sarete di fronte al Padreterno: e lì non sarà questione di fascismo o antifascismo, ma di umanità ed inumanità. Pensateci.