Becco e bastonato, così m’ha ridotto la Giustizia italiana

Becco e bastonato, così m’ha ridotto la Giustizia italiana

image_pdfimage_print

Posso dire che non ci capisco niente? Di come funziona la giustizia in Italia, intendo dire: davvero non mi ci raccapezzo. Non capisco se sono io che ho un’idea un po’ troppo astratta dell’applicazione del diritto e delle procedure, oppure sono proprio i meccanismi ad essere inceppati, fino a ribaltare il senso delle cose. Eppure, un tantino di giurisprudenza l’ho masticata anch’io: prima di laurearmi in storia medievale, ho studiato legge,e non ero nemmeno tanto male, come studente. Si vede che non avevo colto il senso ultimo di quello che studiavo: colpa mia. Però, qualcuno mi dovrebbe spiegare quello che mi è successo, perché, sinceramente, da solo non riesco a spiegarmelo. Qualcuno tra i più affezionati dei miei tre lettori, forse, ricorderà quella faccenduola di cui ho già scritto tempo fa: la mia querela ad un pazzo che mi aveva insultato ferocemente in un suo blog su internet e che aveva nuociuto notevolmente alla mia, già scarsa del suo, carriera professionale. Allora, mi lamentavo della lentezza con cui il magistrato incaricato di esaminare la causa pareva operare: se avessi saputo come sarebbe andata a finire, probabilmente, mi sarei risparmiato la fatica di scrivere. Perché, qualche giorno fa, mi è arrivata una notifica della polizia locale, in cui mi si invitava a passare a ritirare una comunicazione che mi riguardava.

Dati i tempi e i miei rapporti notoriamente splendidi con il comando dei vigili urbani, mi sono un filo preoccupato, pensando a qualche multa non pagata o simili. Invece, era la notifica del tribunale di Bergamo, in cui mi si diceva che si comunicava alla parte offesa, cioè al vostro affezionatissimo, che la sua querela era stata archiviata, per l’impossibilità di identificare il querelato. Il che potrebbe pure starci: un sostituto procuratore avrà di sicuro cose più importanti da fare che indagare sul nome e cognome di un matto che insulta pubblicamente un galantuomo. Il fatto è che il predetto querelato, forte di non si sa bene quali certezze circa la sua impunità, non è affatto ignoto: si è firmato per esteso con nome, cognome e, perfino, secondo cognome. Bastava semplicemente aprire il link di quel blog per leggerne le generalità: mancavano solo il suo numero di scarpe e il colore degli occhi. Ne deduco che l’incaricato a questo tipo di operazioni, che immagino essere un agente della polizia giudiziaria o di quella postale, non ha neppure cercato il blog in oggetto, limitandosi ad una metaforica alzata di spalle. L’effetto di questa metafora è stata l’archiviazione della mia querela, con il precipuo risultato di avermi fatto spendere dei bei soldini, visto che gli avvocati, anche se sono tuoi amici, bene o male li devi pure pagare. E, come se non bastasse, a distanza di anni, su internet la pagina in cui mi si dà del mezzo uomo, dell’analfabeta e di tutta una serie di altre amene varietà antropologiche è lì, che campeggia trionfalmente, appena uno digiti il mio nome.

Il bello è che sembra che questo gentiluomo, sul quale ho raccolto privatamente qualche informazione, dato che è stato querelato (spero con miglior fortuna), per altre ragioni, anche da un mio amico, che mi ha spiegato di che genere di soggetto si tratti, stia preparandosi ad entrare in magistratura, se non ci è già entrato, visti gli anni trascorsi. La cosa ha, naturalmente, rafforzato a dismisura la mia ammirazione per la categoria, come potrete facilmente immaginare. Insomma, per riassumervi l’ennesima disavventura cimminiana: ho trovato un soggetto disturbato, che, in seguito a futile discussione su Facebook, ha pubblicato un articolo fortemente diffamatorio nei miei confronti, che da almeno tre anni campeggia in rete. Dopo due anni e mezzo abbondanti dalla presentazione di querela da parte del mio avvocato, mi si comunica che non si può risalire all’identità di uno che si firma con nome e cognome e che, per questo, la mia querela viene archiviata. Dunque, mi tocca pagare le spese legali, e gli insulti rimarranno per chissà quanto, a perenne memoria del mio scorno. Becco e bastonato: altro che parte offesa! Ora, miei buoni lettori, ditemi voi: cosa dovrei pensare di una giustizia che funziona così? Certo, questa è una questione minima: una diatriba sfociata in querela, nulla di più. Ma non posso evitare di pensare che, se le offese avessero riguardato il magistrato che ha archiviato la mia querela, adesso, probabilmente, sarebbero, perlomeno, sparite da internet. E, se la giustizia non è uguale per tutti nelle piccole cose, duro fatica a pensare che lo sia nelle grandi. La prossima volta che mi dovessero diffamare, immagino che sceglierò un’altra strada. Intelligenti pauca.