L’Italia funziona così: a scandali fittizi. Uno scandalo serve a far dimenticare lo scandalo precedente, in un gioco di scatole cinesi. Tutti fingono di scandalizzarsi, ma è sempre una tempesta in un bicchier d’acqua: alla fine, nessuno fa nulla, segno inequivocabile di come lo status quo, in fondo vada bene a tutti. O, almeno, a tutti quelli che, sopra l’acqua del bicchiere, sono capaci di galleggiare con sugherea leggerezza. Prendiamo quest’ultima faccenda del funerale di Casamonica a Roma. Cosa c’è da scandalizzarsi? In un’Italia pacchiana all’inverosimile, tatuata, con le zeppe e le frasi d’amore sgrammaticate sbombolettate sui muri, un matrimonio con carrozza e cavalli, elicottero che lancia petali rossi, manifestoni sulla chiesa e con la banda di paese che suona l’aria de “Il Padrino”, in fondo, è solo la quintessenza dello spirito nazionale. Voi mi direte: ma quello è stato un segnale inequivocabile del fatto che, a Roma, la mafia fa quello che vuole!
Ma veramente? E chi l’avrebbe detto: in una città in cui ti chiedono il pizzo per i biglietti della metro, in cui metà dei negozi sono centrali di riciclaggio, in cui ogni cosa funziona a mazzette, che la mafia faccia quello che vuole mi pare il minimo. Il punto non è la mafia: il punto siamo noi. Che stiamo sprofondando un poco alla volta, credo che sia un dato sotto gli occhi di tutti: proviamo un po’ anche a chiederci perché stiamo sprofondando. E torniamo al funerale del boss. Dunque: muore un signore che tutti quanti sanno essere in odore di mafia. Uno che viene proclamato “Re di Roma” dallo stesso clan parentale. I consanguinei, presumibilmente affranti, si rivolgono ad una serie di istituzioni, per dare seguito alle esequie. Innanzi tutto, vanno dal prete: il parroco della parrocchia in cui si svolgeranno i funerali. E gli dicono: buongiorno, siamo i parenti del tal dei tali, vorremmo fare un funerale così e cosà, appendere sulla facciata della chiesa un bel manifestone tre metri per quattro, far suonare la banda dei picciotti e così via. Siamo a Roma: vescovo è quel tale che maledice chi non accoglie i migranti e che lancia anatemi contro i mafiosi. Il buon prevosto, però, non se ne dà per inteso, e accorda piena libertà d’azione a decoratori e musicanti. Poi, il parentado si reca in Comune, per i permessi: occupazione di suolo pubblico, manifestazione musicale, sì, insomma, avete presente. Di nuovo, non ci vanno mica in incognito: danno nome e cognome. Come se, a Corleone, chiedessero il nome del defunto e gli rispondessero: Riina, Salvatore, detto Totò.
Il municipio responsabile, senza batter ciglio, concede permessi, annota decessi, permette accessi. Infine, il colpo di genio: l’elicottero. Ci sarà bene un aeroporto da cui lo si faccia decollare, ci sarà pure un permesso speciale per sganciare materiale su di un centro urbano, esisterà un piano di volo, avranno domandato all’aviazione civile…Quando tutto è a posto, con le cartebolle bene in vista, la kermesse può andare in scena: hai conquistato Roma, tarazum zum zum. E scoppia lo scandalo: apriti cielo! Il Sindaco, ossia lo stesso da cui dipende il municipio dei permessi a gogo, lancia la sua intemerata, facendoci la solita figura del fesso che non sa cosa succede sotto il suo tavolo. La chiesa difende il parroco, poi no, poi sì: anche lì, nessuno sapeva con chi avevano a che fare. Tutte le autorità, che prima facevano il nesci, adesso insorgono: i mezzibusti strombettano indignazione da tutti i pori e le reti unificate condannano la provocazione. Avvenuta a Roma, poi: la capitale! Ma capitale de che? Del malaffare, senza dubbio, vista la trafila di cui sopra, che si ripete, invariata, dai parcheggiatori abusivi su su fino al traffico di esseri umani.
E i mezzi di comunicazione, che sono il vero scandalo degli scandali, sentite un po’ come la danno, questa sconvolgente notizia del funerale del boss. Prima di tutto, si aprono dibattiti sul fatto che questa mafia sia romana-romana e non d’importazione: seguono analisi sociali, disamine legislative, aria fritta. A nessuno passa per la testa di dire che il clan in questione è composto da cingani: divieto assoluto di associare a questa brutta faccenda gli zingari. La correttezza politica viene prima di qualunque cosa. Dunque, a Roma esiste una mafia indigena e gli indigeni sono zingari, ma guai a dirlo: la gente potrebbe cominciare ad associare gli zingari alla delinquenza, pensa un po’! Subito dopo, si passa a Mafia-Capitale, dove la colpa di tutto è di Carminati, il neofascista neomafioso, capo dei capi. Tanto capo dei capi che si fa blindare dopo cinque minuti da quattro carabinieri: sveglio, come capo dei capi! Nessuno che dica una sillaba sulle decine e decine di politici filogovernativi implicati: non un fiato sul marciume che trabocca dal Campidoglio e che puzza lontano un miglio di Pd. Infine, promesse di iniziative, minacce di azioni, sogni di giustizia e libertà. E voi vi stupite se un boss si fa seppellire in pompa magna? Datemi retta, andiamo a farci un bel bagnetto nei laghetti della Trucca: nei giorni scorsi è piovuto e la risorgiva promette scintille. A buon intenditor….