“Serve maggiore tutela della nostra professione nei confronti di un Fisco sempre più caotico e, spesso, vessatorio”. A lanciare l’appello è Angelo Pellicioli, membro del Comitato nazionale che gestisce il nuovo “Coordinamento sindacale unitario dei commercialisti”. Già, perché dal 23 marzo scorso i contabili italiani, e quindi anche orobici, possono contare su un’organizzazione che riunisce, sotto una sola sigla, sette associazioni rappresentative della categoria. Una svolta storica per gli addetti alla professione contabile che d’ora in poi avranno un unico referente per le loro istanze. “Con un ritardo di alcuni decenni – spiega Pellicioli – ci si è finalmente resi conto che per essere veramente incisivi con le istituzioni statali e periferiche, occorreva dar vita a un organismo sindacale unitario che intervenisse, compatto e con adeguato peso, in ogni circostanza concernente i problemi della categoria dei commercialisti”.
Pellicioli, la questione fiscale resta uno dei nodi principali da sciogliere per la vostra professione…
“I commercialisti, a differenza degli avvocati, non sono sufficientemente rappresentati, a causa della loro esigua presenza in Parlamento. Quindi non possono far valere in tal sede tutte le loro istanze e le loro indicazioni. Con il risultato che ci si ritrova, da almeno quarant’anni, con una vera e propria babele legislativa fiscale, sempre più caotica e farraginosa. Tutto ciò incide, non di poco, sui rapporti tra fisco e contribuente, rapporti che, rebus sic stantibus, rivelano, purtroppo, da parte del primo una tendenza ad ascoltare sempre meno e a imporre sempre di più”.
Per la prima volta le sigle sindacali dei commercialisti hanno deciso di riunirsi in un unico Coordinamento, al fine di rendere ancora più incisiva l’azione di tutela dei colleghi iscritti all’Ordine. Quali associazioni ne fanno parte?
“Il Coordinamento è composto da sette associazioni che manterranno comunque le loro rispettive autonomie e sigle, ovvero: Adc (Associazione dottori commercialisti), Aidc (Associazione italiana dottori commercialisti), Anc (Associazione nazionale commercialisti, Andoc (Associazione nazionale dottori commercialisti), Ungdcec (Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili); Ungraco (Unione nazionale giovani ragionieri commercialisti) e Unico (Unione italiana commercialisti). Gli iscritti sono oltre 120mila”.
Da chi è gestito il Coordinamento sindacale?
“È gestito da un apposito Comitato a cui partecipano, oltre ai sette presidenti delle rispettive associazioni aderenti, altri quattro membri ricoprenti deleghe istituzionali all’interno di esse”.
Più servizi per gli iscritti ma anche maggiori tutele, quindi?
“Certo. Tra i nostri obiettivi c’è l’istituzione di un osservatorio nazionale permanente che verifichi l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dei rapporti fra istituzioni ordinistiche nazionali e locali e gli iscritti. Questi ultimi contribuiscono, con una sostanziosa quota annua, al mantenimento delle medesime. A fronte del versamento di tale contributo è quindi diritto di tutti gli associati non solo godere di adeguati servizi, di appropriate tutele e di prerogative professionali certe, ma pure conoscere, anche nei minimi dettagli, come tale contributo venga utilizzato”.
Uno degli argomenti più dibattuti è quello della mancata osservanza della Legge 212/2000, il cosiddetto “Statuto del Contribuente”, che l’ordine dei commercialisti ha proposto a più riprese di elevare a legge costituzionale…
“Ad oltre dieci anni dalla sua entrata in vigore, il contenuto normativo dello Statuto del contribuente è stato più volte (oltre 200) vanificato e violato da deroghe espresse contenute in altrettante successive Leggi ordinarie dello Stato. Con la conseguenza che uno strumento che doveva garantire ai contribuenti certezza del diritto tributario e piena trasparenza nei rapporti fra contribuenti e fisco ha finito per essere relegato ad una semplice dichiarazione d’intenti. Occorre quindi provvedere, al più presto, per far sì che tale Statuto svolga, effettivamente e pienamente, le funzioni per le quali è stato emanato. E questo lo si può fare solo elevandolo al rango di legge costituzionale. Di modo che nessun’altra legge ordinaria dello Stato possa sminuirne la portata. Senza tale improrogabile intervento, questioni quali, per esempio, l’abuso del diritto, l’elusione fiscale, l’interposizione soggettiva fiscale, e quant’altro, non faranno altro che accrescere caos ed incertezze interpretative in un campo già oberato, di suo, di innumerevoli incomprensioni e di palesi contraddizioni in termini”.
Cosa ne pensa degli attuali criteri relativi alla formazione permanente obbligatoria degli iscritti?
“Nel pieno rispetto delle nuove norme che hanno recepito le più recenti direttive europee, occorre intervenire, sostanzialmente, sul modo, sui metodi e sulle esclusive nell’organizzare e gestire i corsi di formazione professionale. Corsi che oggi non solo non godono, purtroppo, della loro caratteristica peculiare: cioè di un riscontro effettivo sul grado di adeguata preparazione, non essendo previsti alcuna prova o esame finale, ma che spesso non riescono neppure ad accertare l’effettiva presenza dei corsisti. Di questo si è reso conto anche l’Ordine di Bergamo che, con una recente informativa agli iscritti, è intervenuto sulla questione, avvalorando, in tal modo tale notevole defaillance. Ma questo è ben poca cosa”.
Quali cambiamenti servirebbero?
“Devono essere, per esempio, accettati come validi ai fini formativi, i titoli di laurea e gli esami universitari, o master, avvenuti successivamente all’iscrizione all’albo, e relativi a materie inerenti la professione (unici corsi peraltro dotati, in forza di esami, di reale riscontro sulla preparazione del professionista); ciò che, invece, ora non avviene o avviene in misura del tutto insignificante. Occorre pure, a mezzo dei suddetti corsi formativi, scendere in campo pratico coinvolgendo cioè professionisti e aziende in percorsi comunemente formativi, utili soprattutto per far emergere e segnalare realtà e problemi comuni ad ambedue le categorie. Ho già steso, a riguardo, un progetto in merito denominato “progetto ponte” che presenterò quanto prima al Comitato”.
Di cosa si tratta?
“Il progetto si propone di eliminare lo scollamento esistente fra scuola e lavoro e, più in specifico, fra professionisti e azienda. Altri argomenti oggetto di studio e di approfondimento da parte del Comitato riguardano la revisione legale, secondo le più recenti norme emanate, una seria riforma del Contenzioso tributario, dell’istituto della mediazione tributaria, della conciliazione tributaria e dell’autotutela”.
È vero che i commercialisti sono fra i pochi che si salvano in questo momento particolarmente difficile per la nostra economia?
“No, nel modo più assoluto. La nostra categoria è stata sì, l’ultima, in ordine di tempo, a soffrire della crisi in atto, ma ne è stata pienamente coinvolta. I ritardi nei pagamenti delle prestazioni, da parte dei clienti, sono ormai all’ordine del giorno e così pure gli insoluti, che aumentano sempre di più. Conosco situazioni precarie di piccoli studi ove i colleghi, per lo più giovani, pensano seriamente di abbandonare la professione”.
Chi se la cava?
“Si stanno salvando i grossi studi storici e quelli che hanno impostato, già da anni, il lavoro su appropriate specializzazioni. Proliferano, invece, gli incarichi di procedure concorsuali, peraltro riserva di pochi iscritti, ma questo è un aspetto della professione che non mi è mai interessato. Sono sempre stato convinto, infatti, che il commercialista eserciti veramente la sua professione quando contribuisce, con imprese e lavoratori, ad incentivare il progresso economico e sociale del Paese; e non diversamente. Ma questa, lo ribadisco, resta una mia personale opinione”.