L’editoriale con cui Indro Montanelli invitò gli elettori a turarsi il naso e a votare Dc fece epoca. Correva l’anno 1976 e si disse, anche se nessuno poteva garantire una controprova, che grazie a quell’appello la Balena bianca riuscì ad evitare il sorpasso da parte del Partito comunista. Domanda: c’è qualcuno, oggi, che possa ripetere una “impresa” del genere?
La risposta è un semplice: no. Sono passati quasi quarant’anni, certo. E di Montanelli, purtroppo, ce n’è stato (e ce ne sarà) uno solo. Ma c’è una evidenza che non si può negare: giornali e giornalisti non contano più nulla. Sono consegnati, in buona parte per loro responsabilità, ad una sostanziale irrilevanza. La controprova è di questi giorni. Nel suo editoriale d’addio, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ha consegnato ai lettori apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti di Matteo Renzi (“caudillo” e “maleducato di successo”) e si è augurato che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non firmasse il via libera all’Italicum. Nelle stesse ore, contro il premier e il suo decisionismo si scagliava anche il direttore di Repubblica Ezio Mauro (caso inedito), aggiungendo la sua voce al coro della stampa critica che vede schierati con piglio guerresco anche testate come Il Fatto Quotidiano a sinistra e Il Giornale e Libero a destra.
Bene, vi risulta che il Giovin Signore di Firenze abbia fatto un passo indietro o che il Capo dello Stato abbia rifiutato di apporre la sua firma autografa? Manco per sogno, alla faccia di cotanto fuoco di sbarramento. Segno che il peso della stampa, e dei suoi massimi interpreti, è davvero ridotto ai minimi termini. Inutile nascondersi dietro la “maleducazione” di Renzi, peraltro piuttosto evidente. C’è molto di più, e di peggio, se la classe politica e i cittadini non attribuiscono più alcuna importanza agli organi di informazione. Evidentemente, non li ritengono più credibili e, quindi, affidabili. Monsieur de La Palisse, forse, non avrebbe potuto dir meglio. Tuttavia, la categoria (chi scrive ne fa parte, naturalmente, anche se aborre lo spirito corporativo) non pare rendersene conto. Eppure, basta guardarli (se non si ha il “privilegio” di viverli dal di dentro) i giornali per capire se non tutte almeno le principali cause di un così marcato distacco. Anzitutto, c’è la abissale distanza dai temi e dai problemi che stanno a cuore ai lettori. E poi ci sono le singole declinazioni. Per esempio, ci si impanca a censori della politica, salvo poi riempire pagine e pagine di puro chiacchiericcio autoreferenziale. La cronaca nera e giudiziaria non si limita più a raccontare i fatti nudi e crudi ma si inoltra, guidata da una irrefrenabile morbosità, nei meandri più reconditi della vita delle persone, non fermandosi mai di fronte a niente e a nessuno. E le pagine cosiddette di evasione? Divagazioni intellettuali, soffietti pubblicitari mascherati da notizie, sfoghi per cronisti impossibilitati a dare il meglio di sé nelle sedi più consone.
Sempre più rinchiusi nelle redazioni, costretti dalle aziende ma anche dalle proprie pigrizie a passare le loro giornate davanti al computer, i giornalisti faticano sempre più a mantenere il contatto con la realtà. Quel che si chiamava marciapiede oggi non esiste più. Facebook e Twitter sono le nuove strade su cui ci si illude viaggino le notizie. Basta una battuta, una provocazione, una immagine curiosa e il gioco è fatto. Tutto diventa leggero, impalpabile. E tutti, non fosse che per la capacità di buttarsi nella rete, diventano per ciò stessi comunicatori. O giornalisti, che tanto è lo stesso. Soprattutto se chi si fregia del titolo asseconda, consapevole o no, lo scadimento della sua qualità professionale. Quando tutto è uguale, quando non si colgono le differenze, la moneta cattiva scaccia quella buona. Salire sul piedestallo può forse regalare l’ebbrezza di guardare gli altri dall’alto in basso. Ma non si sfugge alla realtà. Montanelli ha vissuto a lungo e ne ha viste tante. Per sua fortuna, si è risparmiato di assistere all’agonia del suo amato mestiere.