No, nein, niet, non voglio parlare di Vendola e del suo bambino comprato sul catalogo Postalmarket: l’eugenetica o la tratta degli schiavi non sono argomenti adatti alla mia rubrichetta senza pretese e a me. Parlerò di Svizzeri: un bel pezzullo sugli Svizzeri in Italia. No, no, tranquilli: non mi riferisco a quelli venuti qui con le pezze al sedere e diventati ricchi e spocchiosi con l’acquisto dei beni espropriati alla Chiesa, e nemmeno a quelli che hanno trasformato un tratto di città, sotto le Mura, in un condominio, con tanto di cancello, ad evitare che qualche aborigeno possa mescolarsi alla crème cantonale. Parlo degli Svizzeri di passaggio, non di quelli immigrati. Perché, ogni volta che torno da Pinzolo, verso le sette di sera della domenica, ne incontro a vagonate, che sfrecciano sulla A4, e, quasi sempre, si comportano da veri scavezzacolli del traffico, nemmeno fossero degli Italiani qualunque.
Un tempo, lo Svizzero in autostrada era una curiosità: faceva quasi tenerezza, con quelle auto giapponesi dai colori improbabili, che da noi erano ancora di là da attecchire, e quelle camicette, quei cappellini di paglia, quegli occhialoni polaroid. Lo superavi, ma con simpatia: non c’erano ancora i limiti di velocità, per cui oggi ti tocca viaggiare senza riuscire mai a mettere, non si dice la sesta, ma neppure la cara vecchia quinta, eppure, lui si faceva centinaia e centinaia di chilometri a novanta all’ora. Era grigio, ligio alle regole, compassato: te lo immaginavi di una noia mortale, nelle conversazioni sotto l’ombrellone, coi bambinetti biondi e educati, le caramelle Sugus e il Toblerone. Adesso, lo Svizzero è cambiato: si è, diciamo così, evoluto. Insomma, è diventato un cafone come tutti gli altri. O, perlomeno, è un cafone in trasferta, perchè, a casa sua, se solo si azzardasse, non si dice a fare, ma semplicemente a pensare le manovre che esegue qui da noi, lo blinderebbero in men che non si dica. Provate voi ad andare a fare i ganassa su di un’autostrada svizzera: a zigzagare col Porsche tra un’auto e l’altra. Sareste carne morta, nel giro di un quarto d’ora. Per questo, forse, lo Svizzero, ultravessato entro gli angusti confini della Confederazione, quando entra in Italia, si scatena: è un po’ come quei mariti con la moglie arpia, che, quella volta all’anno che vanno alla festa per soli uomini della Loggia del Leopardo, si trasformano, si agitano, iniziano a sudare e a dire parolacce o a raccontare barzellette spinte. Fatto si è che, quando sto tornandomene a casina bella, lemme lemme, con la velocità automatica bloccata sui centotrenta, capita sempre che mi arrivi alle spalle, come una pantera famelica, qualche Audi, qualche Mercedes, qualche Maserati e perfino qualche sorella BMW, a velocità stellare, sfanalando come una petroliera nella nebbia, e dandomi solo il tempo di spostarmi sulla corsia di destra, prima di essere carambolato via dal proiettile in arrivo.
Sempre più spesso, e con crescente stupore, anziché le proverbiali targhe dei pirati della strada, milanesi di Cesano Maderno o brianzoli di Lissone, quando non bresciani di Valtrompia o bergamaschi, osservo automobili targate TI o VD e financo ZH. Ora, che un Ticinese possa comportarsi da Italiano, ci può anche stare: in fondo, dicono ‘ciumbia’ e parlano, più o meno, come Massimo Boldi. Passino anche quelli di Vaud: si sa che i Francesi sono cugini degli Italiani in materia di vini, formaggi e cattive abitudini. Ma uno Schwyzerdütsch: uno cresciuto a pane e strisce pedonali, come può trasformarsi al punto da insidiare perfino un tranquillo viaggiatore che torna a casa a velocità codice? Eppure, la cosa è positiva: tra le cafomobili sfreccianti ci sono anche gli zurighesi. Passano, imponenti e velocissimi, con l’aria tronfia e placida dell’impunito impenitente, nemmeno venissero dalla Garbatella, anziché dallo Wiedikon: e questo, un tantino, mi induce a riflettere. Siccome i costumi confederali, in materia di circolazione perlomeno, non sono diventati affatto più lassi e, anzi, semmai, si sono irrigiditi, questo fenomeno deve avere un’altra spiegazione. E, onestamente, l’unica che mi venga in mente è che, ormai, abbiamo una tale nomea di Paese in cui ognuno può fare quello che vuole, che perfino i viaggiatori di commercio di Wintherthur e di Glarona hanno introiettato il messaggio. Insomma, mica solo i Romeni o gli Albanesi si sono accorti che in Italia ognuno può infrangere la legge impunemente, senza che gli succeda nulla: l’hanno capito anche gli Svizzeri. Tra qualche estate, potrebbe accadere che i bambinetti biondi della famigliola vicina d’ombrellone, appena ti capiti di distrarti, ti freghino il cellulare dalla borsetta: altro che Sugus e Toblerone! Uno ad uno, i miei miti stanno crollando: adesso tocca agli Svizzeri, che incarnavano la mia idea di cittadino modello e che si sono dimostrati scascioni quanto e più degli altri, almeno sulle quattro ruote. Manca solo che trovi un Norvegese che mi sta svaligiando l’appartamento, e la mia crisi d’identità sarà compiuta!