Visti i black bloc, forse 100 anni fa era meglio schierarsi con l’Austria

Visti i black bloc, forse 100 anni fa era meglio schierarsi con l’Austria

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No ExpoEsistono due cimmini: uno è quello che scrive queste rubrichette e l’altro è quello normale, che va a fare la spesa, guarda i telegiornali, litiga con sua mamma e passeggia in montagna. Credo che chiunque scriva su di un giornale sia, in fondo, afflitto da questa schizofrenia, se possiede un briciolo di senso di responsabilità. Altrimenti, se si dovessero commentare gli avvenimenti di questa porcaccia vita, senza questo filtro, si scriverebbero spesso pericolose corbellerie: uno, quando scrive, dovrebbe sempre pensare tre volte almeno a ciò che significano le sue parole. L’esempio di venerdì è lampante: se non possedessi questa fortunata capacità dissociativa, se non fossi, insomma, un borderline della scrittura, avrei semplicemente riempito una cartella di contumelie, insulti ed invocazioni a Bava–Beccaris. Già, le immagini dei bambinetti che cantano in coro per l’amato presidente, che fa tanto Corea del Nord, mi hanno rivoltato le budella: se, poi, in un delirio scoutistico, arrivano a cambiare perfino le parole dell’inno nazionale, stravolgendone, in sciropposa chiave catto-buonista, il significato originale, le balle iniziano a girarmi a mille. Solo una gigantesca albagia, soltanto un millenarismo disgustoso possono modificare un inno nazionale: solo gli idioti e i pazzi sognano di cancellare i monumenti eretti in periodi a loro sgraditi. Solo un deficiente sbozza via le corna del Mosè di Michelangelo, perché gli ricordano i tradimenti di sua moglie. Ergo, se avessi scritto dell’inaugurazione dell’Expo a ferro caldo, mi sarebbero uscite dalla tastiera soltanto cose insensate, dettate dalla pazza e bilicante rabbia. Immaginatevi, dunque, cosa avrei potuto concepire, per commentare il rebelotto formidabile messo in piedi, nel centro di Milano, da quei farabutti vestiti di nero che si fanno chiamare “Blackbloc”. Avrei invocato le cannonate del ’98, il Terzo Celere padovano, i tre squilli, la cavalleria umbertina: il mio alter ego, quando lo fanno inverminare, riesce ad essere estremamente pittoresco, nelle sue invettive. Ecco, se non scrivessi sui giornali, avrei minuziosamente indicato quali ossa, e in quale esatto ordine, avrei fracassato all’imbecille che, intervistato da una televisione, inneggiava alla devastazione, con i toni e l’eloquio di un ebefrenico sotto psicofarmaci. Ed avrei tirato in ballo i genitori dei teppisti, additandoli al pubblico ludibrio, all’esecrazione e al ritiro della patria potestà. Avrei rammentato a tutti quei cittadini democratici che plaudono ad ogni poliziotto incriminato per tortura che, per ogni poliziotto incriminato per tortura, ce ne sono cento feriti, sputacchiati, insultati, malmenati, provocati. E che, a forza di subire dalla teppaglia, a forza di arrestare gente che la magistratura rimette subito fuori con tante scuse, a forza di estintori in testa, di camionette bruciate, di colleghi massacrati, purtroppo, può pure capitare che ti saltino i nervi. Specialmente se ti senti solo: se sei un argine messo in mezzo ad una strada, tra dei delinquenti scatenati e la gente perbene. Quella stessa gente perbene che non ti ringrazia mai, ma, anzi, se può, ti schifa e ti denigra. Per fortuna che possiedo questa capacità schizoide, altrimenti, chissà cosa potrei scrivere, vedendo bruciare le automobili dei cittadini, e pensando a come andranno al lavoro lunedì! Per non parlare dei commenti: ce ne fosse uno che colloca la teppa milanese nel suo giusto contesto.

Quelli che hanno distrutto via Carducci sono di tutto, Blackbloc, nazisti, fascisti, teppisti, palombari-ciclisti, antagonisti, no-expo, no-tav: tutto tranne ciò che sono veramente, ossia delinquenti che provengono dai centri sociali, dalle pieghe più nascoste e più coccolate della sinistra estrema. Anarchici, comunisti: mi dispiace perfino usare queste parole, che, un tempo, indicavano gente che ci credeva e, oggi, mascherano semplicemente un vuoto neurale, una rabbiosa demenza. I comunisti, gli anarchici di una volta, erano, in certo qual modo, idealisti: credevano in un mondo migliore. Si sbagliavano, ma meritano il rispetto e la considerazione che si devono a chi lotta per una causa che ritiene giusta. Questi sono solo spazzatura. Per fortuna, non scrivo quel che ho pensato: meno male che possiedo questo servofreno psichiatrico, davvero! Sennò, mi chiederei, vi chiederei: ma che razza di posto è diventato questo, in cui viviamo? In cui quattro cialtroni possono devastare il centro di Milano, con la polizia che può soltanto “contenerli”, per tema di essere immediatamente messa sotto processo. Che razza di paese è l’Italia? Un posto in cui si cambia l’inno nazionale per permettere ad un politico barzellettaio di fare giochini di parole e felici calembour, in cui ci si fanno i “selfie” con le auto bruciate. Ve l’avrei chiesto e me lo sarei chiesto: dove diavolo siamo finiti? E, visto che ci siamo, a cento anni esatti da quel maggio del 1915, se non avessi un forte senso di responsabilità, che mi deriva dal mio ruolo, di fronte a quel che è diventata questa povera Italia, mi verrebbe sicuramente da dire che i nostri fanti sono andati all’assalto nella direzione sbagliata: avrebbero dovuto schierarsi con gli Jaeger austriaci. Oggi, perlomeno, saremmo un Paese civile. Gott erhalte, Gott geschűtze…Sia benedetta la schizofrenia!