Forse si è ricreduta. Il sospiro di sollievo che tirò, poco meno di due anni fa quando, dopo aver gestito dalla prima linea di Lampedusa l’emergenza sbarchi, il ministero degli Interni le comunicò il trasferimento a Bergamo, oggi Francesca Ferrandino se lo terrebbe ben serrato in gola. L’esperienza da prefetto in via Tasso, infatti, si sta rivelando ben più impervia di quanto potesse immaginare. Il problema da affrontare è il medesimo con cui si è fatta le ossa sull’isola, ma seppure il numero dei migranti da gestire sia infinitamente minore le difficoltà che sta incontrando sono notevoli. Anche per responsabilità sua, bisogna dirlo chiaro. Che non potesse trovare il tappeto rosso da parte della Lega era evidente, anche se la virulenza e la volgarità di certe manifestazioni dovrebbe far riflettere chi pensa che l’attuale dirigenza del Carroccio (a partire da quel segretario che va in giro in bermuda e t-shirt come un perditempo qualsiasi incurante che anche la forma è sostanza) abbia le capacità per passare dalla protesta al governo delle situazioni complesse e delicate. Così come non c’è da stupirsi, dato il livello a cui è precipitata anche la politica locale, nell’assistere alla spregiudicatezza con cui il coordinatore provinciale di Forza Italia Alessandro Sorte accorre con le truppe cammellate nei luoghi in cui si presenta Salvini per cercare di dimostrare di non essere da meno nella caccia allo straniero. Il soggetto in questione, che per soprammercato è pure assessore regionale ai Trasporti, forse cerca di distogliere l’attenzione dalle vergognose condizioni in cui versa il servizio ferroviario, messo sempre peggio nonostante le quotidiane sparate propagandistiche del medesimo Sorte a cui una parte della stampa locale riserva spazi a profusione in barba alle prese per i fondelli inflitte ai poveri lettori.
Ma proprio perché il livello di chi alza le barricate è questo, chi rappresenta le istituzioni ha il dovere di muoversi con accortezza e sensibilità, cercando di non offrire ai detrattori occasioni per alzare la voce con qualche valida ragione. Purtroppo, il prefetto, per ragioni che non è dato conoscere, ha mostrato più di una battuta a vuoto. Che senso ha costringere i sindaci ad aspettare mesi prima di essere ricevuti? Perché comunicare ai primi cittadini l’arrivo dei migranti con poche ore di preavviso mentre altri soggetti da giorni erano a conoscenza della sistemazione? Più in generale, è mai pensabile pensare di gestire il tema dell’accoglienza a prescindere, se non contro, il territorio e i soggetti che, democraticamente, lo rappresentano? Sono domande che anche chi non condivide né modi né toni della campagna leghista si deve porre. Il prefetto è il rappresentante del ministero degli Interni, un funzionario di alto grado cui spetta indubbiamente un ruolo delicato. Ma non è e non può trasformarsi in una sorta di plenipotenziario che tutto decide è tutto dispone. Perché il risultato di un modo di procedere così inutilmente decisionista è di infoltire la schiera degli “avversari” (vedi il fuggi fuggi di molti sindaci del Pd…), di alzare ulteriormente una temperatura già torrida e di rendere ingestibile una situazione che, Dio non voglia, potrebbe anche sfociare in qualche gesto sconsiderato.
Nessuno discute il valore e le qualità di Francesca Ferrandino. Chi scrive ha avuto l’opportunità di intervistarla per il Corriere della Sera in occasione del suo insediamento a Bergamo. Una chiacchierata veloce ma intensa, uno scambio di opinioni su diversi problemi che avevano messo in luce una personalità forte, la determinazione di una donna che si era fatta valere su un terreno in cui tanti avevano fatto flop. Non vorremmo che la becera accoglienza di qualcuno che le aveva ricordato le sue origini meridionali le abbia fatto scattare una reazione d’orgoglio che, magari inconsciamente, l’ha portata a coltivare un disagio rispetto al territorio in cui si è trovata a lavorare. Se così è, si tolga ogni preoccupazione. La stragrande maggioranza dei bergamaschi rispetta fino in fondo il ruolo del prefetto e la persona che lo riveste. Ma ci vuole collaborazione, confronto, apertura al dialogo. Senza condivisione anche il potere più forte, sulla carta, non costruisce nulla di duraturo.