Ict, aumentato 
l’“equo compenso”. 
«A farne 
le spese 
è la distribuzione»

Ict, aumentato l’“equo compenso”. «A farne le spese è la distribuzione»

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Aumentate le quote del diritto d'autore per la copia privata, prevista per tutti i dispositivi elettronici in grado di memorizzare dati, come computer, smartphone, tablet e tv. Confcommercio: «Un onere non giustificato perché oggi le modalità di fruizione sono cambiate. Colpito l'anello più debole della filiera»

Al momento della sua introduzione aveva scatenato le proteste dei produttori e distributori Ict e dei consumatori. Ora, l’aggiornamento delle quote per l’equo compenso per la copia privata le rinnova, sottolineando ancora una volta numerose incongruenze nella misura.
Innanzitutto di cosa si tratta. L’equo compenso è una royalty che produttori e importatori devono versare alla Siae per “risarcire” gli autori dei mancati introiti derivanti dalle copie per uso privato, in pratica il prezzo che i cittadini pagano per copiare ed utilizzare legittimamente musica, video e film coperti da copyright. Poco noto ai fruitori, l’equo compenso era già applicato sulle ormai vetuste audio e video cassette, sugli apparecchi di registrazione, sui Cd e Dvd vergini e sui masterizzatori. A fine 2009 un decreto del ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi ne rideterminava l’entità e lo estendeva a tutti i dispositivi elettronici in grado di memorizzare, e quindi telefonini, pc, chiavette usb o, un’evoluzione dopo l’altra, smartphone e tablet. Dal 7 luglio scorso sono entrate in vigore le nuove tariffe (era previsto un rinnovo dopo tre anni), aggiornate con un decreto del ministro Dario Franceschini.
I valori crescono decisamente, anche perché sono modulati in base alla capacità di memoria. Si passa così dagli 0,90 euro (smartphone) o 1,90 euro (tablet) del 2009 ad un minimo di 3 euro per dispositivi fino ad 8 Gb e un massimo di 5,20 euro oltre i 32 Gb. Il ministro ha tenuto a precisare che si tratta dell’applicazione di una norma vigente e rimarcato la distanza con le tariffe di altri Paesi europei come Francia e Germania, dove per uno smartphone da 16 Gb si pagano 8 euro (Francia) e 36 euro (Germania) e per un tablet, sempre da 16 Gb, 8,40 euro (Francia) e 15,18 euro (Germania). Franceschini ha inoltre evidenziato che il decreto implica un automatico incremento dei prezzi di vendita al pubblico.
Rassicurazioni che non hanno avuto effetto su chi produce e vende gli apparecchi. Nel sistema Confcommercio una posizione comune hanno espresso le diverse associazioni di categoria interessate dal provvedimento, Aires (retailer elettrodomestici specializzati), Ancra (commercio degli elettrodomestici e dell’elettronica di consumo), Andec (importatori e produttori di elettronica civile), Ascofoto, Assintel (imprese Ict), Assoprovider e Comufficio. Le organizzazioni, «pur condividendo pienamente il principio per cui i titolari di diritti d’autore devono essere remunerati per l’utilizzo legittimo delle opere di loro titolarità», ritengono «che una tale decisione costituisca non solo un onere non giustificato, viste le mutate condizioni di fruizione di audio e video nella rete che – basti considerare YouTube – garantiscono con altri mezzi ingenti proventi all’industria musicale e agli autori, ma anche fortemente penalizzante per quei segmenti imprenditoriali che possono garantire sviluppo per l’intero sistema dell’industria culturale. Infatti, la misura, che, come rilevato dallo stesso ministro Franceschini, non graverà sui consumatori, finisce con il penalizzare il solo canale distributivo italiano, vero anello debole della filiera rispetto alle grandi multinazionali straniere produttrici di elettronica, accentuando inoltre ulteriormente la disparità di trattamento con competitor residenti in paesi in cui quest’onere non esiste e che già operano nel mercato elettronico con un vantaggio competitivo dovuto a regimi fiscali di favore».
Con le ulteriori puntualizzazioni dell’Andec, che giudica «discutibili e fuorvianti» due affermazioni del ministro. «Che le nuove risorse serviranno a promuovere esordienti e opere prime, quando è noto che il gettito premia soprattutto le major internazionali e i “big” dello star system – rileva l’Andec -. O anche la negazione che si tratti di una “tassa sui telefonini”, quando poi qualunque smartphone, indipendentemente dalla capacità di memoria e soprattutto dall’uso che ne fa il consumatore finale, verrà assoggettato alla fonte da un costo aggiuntivo pari a 4 euro, applicando cioè esattamente la stessa “logica” delle tasse».
L’associazione di consumatori Altroconsumo ha addirittura avviato una petizione e un’azione presso il Tar per l’annullamento «di questo decreto illogico, illegittimo, contrario agli interessi dei consumatori e contro lo sviluppo dell’innovazione tecnologica». Un meccanismo «obsoleto e ingiusto», in primis perché chi acquista musica e film legalmente da piattaforme online paga già a monte i diritti d’autore per poterne fruire – e fare copie – su un certo numero di supporti. Tassare le memorie – è l’esempio emerso durante il dibattito sulla questione – sarebbe un po’ come tassare gli scaffali su cui un tempo si riponevano vinili, cd e musicassette regolarmente acquistate, e per di più imporre il balzello anche se su quei mobili si decide di piazzarci tutt’altro, vasi, soprammobili o peluche. E che l’utilizzo della copia privata non sia così diffuso lo dice un’indagine commissionata dal precedente ministro Massimo Bray. Si va infatti verso il concetto di fruizione piuttosto che di possesso di un brano musicale o di un video. «Questa indagine – ricorda Altroconsumo – ha dimostrato che solo il 13% dei consumatori fa effettivamente copie private e di questi solo un terzo usa smartphone e tablet per archiviarle, per cui se proprio deve essere aggiornato l’equo compenso va sensibilmente ridotto e non aumentato di cinque volte come ha preteso la Siae». Anche sul confronto con gli altri Paesi l’associazione tiene a precisare che l’equo compenso per copia privata è oggetto di revisione nel più ampio dibattito sulla riforma della Direttiva sul Copyright e, che accanto a Stati in cui è presente e con valori più alti che in Italia, ce ne sono altri dove non si è mai pagato nulla, come nel Regno Unito, o che lo hanno da poco eliminato, come la Spagna.

I nuovi valori
(in vigore dal 7 luglio)

DISPOSITIVO

COMPENSO

smartphone

e tablet

da 3 €

(quelli da 8 GB) 

a 5,20 €

(quelli da 32 GB)

tv con funzione 

di registrazione

4,00 €

computer

5,20 €

telefonini

non smartphone

0,50 €

hard disk

0,01 € per ogni GB (fino a un massimo di 20 €)

schede di memoria

0,09 € per ogni GB (fino a un massimo di 5 €)

chiavette usb

0,10 € per ogni GB (fino a un massimo di 9 €)

 

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