Più che la pruderie di conoscere chi si nascondesse dietro lo scontrino senza l’intestazione del locale, sventagliato su Facebook come prova “del delitto gastronomico”, ha potuto un frigo vuoto all’una e mezza di una giornata feriale. Chiusa la gastronomia dell’Angelino Mangili, fornitrice di bresaola, che si fa? Vivere in Città Alta ha i suoi (s)vantaggi, non si trova mai posteggio, ma perlomeno non si muore di fame. In zona Piazza Mercato delle Scarpe, si contano dieci tra bar e ristoranti nel brevissimo raggio di cento metri, sempre aperti. Ebbene sì, ho mangiato nel ristorante “incriminato”. Quello dove Lara Magoni, consigliera regionale si era attovagliata lo scorso 9 marzo per un pranzetto riassunto in un cahier de doleances, postato con indignazione su Facebook. “Personale maleducato, qualità del cibo scandalosa. Hamburger crudo…la bambina non l’ha mangiato…(€ 14.00), la mia bresaola era secca…(€ 16.50)» scrive la Magoni. «La mia amica una piadina tipo-autogrill…€ 12.00; un piattino di zucchine surgelate-grigliate per € 12.50… Una torta “industriale” € 6.00; coperto e tre coche… per un totale di € 77.50».
Confesso, ho peccato. Pardon, ho mangiato. Non tutto, ovviamente, solo la bresaola che anche la Magoni aveva ordinato. Ed è vero. E’ secca, ma semplicemente perché la Cecina de Leon è così. “Leggermente affumicata e secca”, mi ha spiegato il cameriere porgendomi un piatto composto da un tris di bresaole, in quantità accettabili, oltre a quella spagnola anche quella della Val Brembana e della Valtellina (trattasi di bresaole “morbide” e non secche, in questi due casi, garantiamo). Trilogia perfettamente descritta, anche in inglese, nel menù dove il prezzo, 16.50 euro è scritto nero su bianco. A dire il vero ero stata tentata anche da “Mac-che-bù” il goloso maxi hamburger della casa (14 euro, anche in questo caso scritto nero su bianco), ma la dicitura sottostante “tempo di preparazione da 10 minuti a tre ore” mi ha fatto desistere. Tre ore? “Maciniamo la carne al momento e, quando il locale è pieno – si è affrettato a spiegare il cameriere – è possibile che i tempi di attesa si allunghino. Tutto qui”. Niente coca (cola, per carità, troppo zuccherina), ma solo acqua minerale gasata. Non posso dire delle torte della casa, ma la carrellata dei dolci in bella vista su fronte strada era abbastanza allettante per giustificare i 6 euro messi in conto alla consigliera. Sulle zucchine ci asteniamo. La verdura non ci piace. Sono grigliate–surgelate quelle che vengono servite? Ai posteri l’ardua sentenza.
Servizio veloce e nel più perfetto stile bergamasco. Cioè senza grandi sorrisi, né profusioni ma nella norma di una… normale cortesia, appunto, con la piccola sorpresa di uno sconticino nel conto finale. Non che l’avessi chiesto. La mia è stata una puntatina casuale modello “cliente misterioso”(rubrichetta che il direttore della Rassegna.it, ai tempi mi faceva curare per BergamoSette, spedendomi in avanscoperta anonima nei locali di Bergamo; si mangiava, si pagava e si recensiva senza mai rivelare l’identità onde evitare captatio benevolentiae gastronomiche al recensore). «Per ovvi motivi non mostro il nome del locale sperando che «qualcuno» di loro si riconosca e si vergogni” aveva concluso la Magoni. Il commento, sia il mio che quello di Lara, vale come una recensione su TripAdvisor, né più ne meno. Non ci trovo nulla di scandaloso. Esiste la libertà, vivaddio, di stampa e pure di tavola. Ognuno è libero di esercitarla come crede. “Questi atteggiamenti rovinano tutti: chi per sbaglio ci capiterà, si porterà con sé un pessimo ricordo di Bergamo» aveva concluso laconicamente la Magoni. Ci sono capitata, per sbaglio, ma il mio ricordo e il mio parere della Bergamo della ristorazione, in questo caso, resta quello che è. Per inciso, tutt’altro che pessimo.