Grecia, la scarsa credibilità e il rischio svalutazione

Grecia, la scarsa credibilità e il rischio svalutazione

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GrexitDue Paesi, due obiettivi diversi. Da un lato c’è lo Zimbabwe che abdica definitivamente alla sua sovranità monetaria e dall’altro c’è la Grecia che, se non riuscirà a risolvere il problema del pagamento della quota del debito in scadenza a fine mese, dovrà trovarsi un’altra moneta, uscendo dalla “sovranità monetaria condivisa” alla base della rinuncia alle valute nazionali in favore dell’euro. C’è un banale problema tecnico che ostacola il ritorno della dracma. In Grecia non ci sono stampatori di cartamoneta e tra gli operatori esteri non risultano ordini di questo genere. Diventa probabile in questo caso che la Grecia continuerà ad utilizzare l’euro “abusivamente”, da esterno, senza fare parte della Banca centrale europea, come avviene del resto nel vicino Montenegro.

 

A rinunciare volontariamente alla sua moneta è invece lo Zimbabwe, che ha scelto di passare ufficialmente al dollaro americano, come già ha fatto nel settembre 2000 l’Ecuador, dove il biglietto verde ha assunto corso legale e poi ha sostituito definitivamente il 30 marzo 2001 il sucre con il rapporto 25 mila a uno. In effetti il dollaro americano è già dal 2009 la moneta corrente dell’economia zimbabwana, dove circola insieme al rand sudafricano e alla rupia indiana. Le valute straniere hanno ormai completamente sostituito quella locale, tanto che è giunto il momento di ufficializzare la situazione. Fino alla fine di settembre è prevista la possibilità di cambiare il dollaro zimbabwano nel rapporto di 175 milioni di miliardi per 5 dollari americani. A questa schiera di trillionari (in zim-dollari) che con il loro patrimonio non riuscirebbero a comprarsi un hamburger, si è arrivati per problemi di insostenibilità del debito pubblico. Una riforma agraria disastrosa che dopo il sequestro delle terre agli ex coloni della Rhodesia ha ridotto in tre anni il Paese da esportatore a importatore, corruzione, aumento delle spese militari hanno reso lo Zimbabwe insolvibile, con l’azzeramento del credito. A quel punto la prima soluzione è stata quella di stampare moneta, fino ad arrivare alla banconota da 100 trillioni (100 mila miliardi), con conseguente svalutazione e iperinflazione. La seconda soluzione a quel punto è diventata la totale perdita della sovranità monetaria.

 

Quella dello Zimbabwe non è peraltro la maggiore inflazione della storia. Quella si è avuta in Ungheria nel 1946. A luglio di quell’anno i prezzi raddoppiavano ogni 15 ore, con un tasso di inflazione giornaliero superiore al 200% e la banconota di taglio più elevato mai stampata: “Un miliardo di b-pengo”, ovvero mille miliardi di miliardi di pengo, che si scrive con un uno seguito da 21 zeri. La riforma monetaria di agosto con l’introduzione del fiorino che sostituì 400 quadriliardi di pengo (4 seguito da 29 zeri) chiuse quella drammatica fase economica.

Appare difficile che la strada ungherese possa essere percorsa in Grecia, mettendo in atto con la dracma le riforme che non sono stati in grado di far per restare nell’euro. Attualmente ad Atene, come nel caso dello Zimbabwe, ci sono debito pubblico e situazione di possibile insolvenza, ma non c’è inflazione, dato che anzi i prezzi stanno calando per effetto del calo dei consumi dettato dalla austerity. La scarsa credibilità del Paese nell’ottenere credito internazionale una volta dichiarato il default, anche solo per la necessità di pagare gli stipendi pubblici, rischia di condurre inevitabilmente a una svalutazione, fenomeno che la Grecia ha già ben conosciuto durante la Seconda guerra mondiale, dando il colpo di grazia ai risparmi dei cittadini greci (quelli non portati via negli ultimi giorni di caccia al bancomat) e alla sua economia.