Gennaro Esposito: “Ricerca e avanguardia, con Città Alta nel cuore”

Gennaro Esposito: “Ricerca e avanguardia, con Città Alta nel cuore”

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È un rinomatissimo chef napoletano, diventato famoso al grande pubblico per la partecipazione a tanti programmi televisivi dedicati ai fornelli. Gennaro Esposito, classe 1970, si avvicina alla cucina da giovanissimo: dopo il diploma alla scuola alberghiera, comincia a studiare con Giancarlo Vissani,  incontrato casualmente per i corridoi di Vinitaly. Lo chef umbro invita Gennaro a fare uno stage presso di lui: è la scoperta di un mondo nuovo, fatto di creatività. Poi il napoletano passa a lavorare nei ristoranti dell’alta cucina di Montecarlo e Parigi di Franck Cerutti e Alain Ducasse, imparandone i segreti. Decide di tornare nella sua terra per mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti all’estero e, nel 1992, inaugura il ristorante La Torre del Saracino alla Marina di Seiano, frazione di Vico Equense, che conquista due stelle Michelin e tre forchette Gambero Rosso. Il suo talento è riconosciuto nel forte binomio tra veracità e innovazione. Ma Gennaro Esposito ha anche un passato e ricordi legati a Bergamo.

Esposito, quando ha vissuto a Bergamo e quali sono i suoi ricordi?

Io e la mia famiglia abbiamo vissuto nel cuore di Città Alta, quando allora era considerata un sobborgo e il sogno dei bergamaschi era vivere nei palazzi, nei condomini. Eravamo emigranti, io ero un bambino e mio papà lavorava all’Italcementi. Non era facile integrarsi nel tessuto sociale, ma poi ricordo che ce ne siamo andati piangendo. Si era creata una bellissima chimica. Mia mamma, armata di coraggio e amore, cucinava tanto, per lei era un modo per farci sentire il calore in un momento difficile lontano da casa e dai nostri cari. Ricordo i panini imbottiti che prevarava a me e mio fratello e i panini dei nostri compagni.

E’ stata sua mamma ad appassionarla alla cucina?

Era una bravissima cuoca, come tante mamme, che ti emozionano con poco, anche solo un uovo e una lattuga, con quelle piccole dotazioni che riescono a rendere grande la cucina italiana, caratterizzata da prodotti semplici e interpreti che la rendono incredibile. Bastano fagioli, patate, cipolle e tanta intelligenza e abilità. La nostra è la cucina dei due dopoguerra, del poco e del sacrificio. Oggi deve essere recuperata nel segno della sostenibilita, del rispetto degli ingredienti e contro lo spreco.

A proposito, secondo lei, contano di più gli ingredienti o la fantasia e le idee?

La buona tavola è una magia di tutte queste cose. C’è chi, con gli stessi ingredienti, prepara dieci piatti, chi non riesce a farne nessuno. I prodotti ti danno tanti spunti, però la tecnica, la conoscenza, la sapienza ti aiutano a dipingere degli acquerelli fatti di sapori meravigliosi.

Veniamo all’eterno dilemma: pasta liscia o rigata e perché?

Viviamo nell’epoca delle percezioni e, a volte,  questo porta a credere che la pasta rigata trattenga meglio il sugo. In realtà, la pasta rigata è imperfetta per sua natura perché il rigo, se lo guardiamo al microscopio, ha una punta e una base: quando le punte saranno cotte, la pasta all’interno sarà ancora cruda e quando le punte saranno perfettamente cotte,  all’interno la pasta si sfalderà inevitabilmente nella salsa e appesantirà la magia dell’incontro della salsa con la pasta. E’ come andare a un incontro galante con una bella donna, riempiendosi di profumo. Il troppo storpia, l’eccessiva presenza di amido rende tutto greve, meno elegante e più pesante.

Però, negli scaffali dei supermercati abbonda la pasta rigata, la liscia è quasi introvabile…

Il supermercato compra quello che il consumatore vuole. Si è perso il ruolo della gastronomia e della salumeria, luoghi dove il cliente comprava ciò che veniva selezionato; il salumiere, da persona esperta e competente, ti avrebbe consigliato la pasta liscia, mentre  nella grande distribuzione il tempo è poco, si asseconda il gusto, se ti lasci trasportare dalla corrente non ottieni niente di interessante. Oggi comanda la pubblicità che non ha nulla a che vedere con la qualità. Gli investimenti riguardano il target più ammiccante, lo spot più divertente o che resti più impresso.

Una influencer australiana ha scatenato una polemica per un menù “blind”, ovvero senza i prezzi per le donne in un ristorante a Venezia, bollandolo come sessista. Cosa ne pensa?

Abbiamo ereditato un catalogo delle buone maniere, lo stesso galateo oggi appare superato, anche se sono regole che hanno un loro fascino. Non ne farei una polemica, conoscere il prezzo è un’informazione che completa la visione di un ristorante, però, se invito una signora a pranzo o cena, vorrei farle capire che non voglio volgarmente mostrare quanto spenderò per lei, ma voglio semplicemente che si senta bene. Se andiamo io e lei a gustarci uno spaghetto in un locale la situazione è diversa e può starci che portino a entrambi il menù con i prezzi. Non esiste un modo, ma esistono tanti modi, purché abbiano a che fare con intelligenza, coerenza e un proprio modo di vedere la vita».

Ha cucinato per i Rolling Stones 

Sì tutto è nato in occasione del concerto evento al Lucca Summer Festival del 2017, quando ci siamo occupati della parte “family and friends”. C’erano ospiti stravip come Madonna e Vasco Rossi che assaggiavano i piatti del nostro brunch (in particolare ci chiesero un pasticcio di carne o shepherd’s pie e della limonata). Mick Jagger, da divo quale è, non uscì dal camerino. A un certo punto, uno dei suoi assistenti gli portò, prima del concerto, un piatto con il mio risotto agli agrumi, zafferano, gamberi e salsa al finocchietto. Quando iniziò il live e i fan si scatenarono sotto le note della storica rock band inglese, mi avvicinò un collaboratore dei Rolling Stones, domandandomi se avessi cucinato io il risotto. Venne da me con un tegamino con il coperchio, tipo schiscetta, chiedendomi quanto ci volesse per ripetere il piatto, risposi 20 minuti. Allora mi disse: “Quando sentirai “I can’t get no satisfaction”, la quart’ultima canzone, vai a prepararlo perché il signor Jagger vuole portarselo via e gustarselo durante il viaggio”. Ha voluto una vaschetta da tre porzioni, la band era rimasta talmente soddisfatta che ha voluto, quest’anno, fortemente ripetere il servizio di catering.

Chi le piacerebbe avere come ospite nel suo ristorante? E cosa gli preparerebbe?

Avevo promesso a Gualtiero Marchesi di cucinargli uno spaghetto alle vongole in bianco e, quando ci sentivamo al telefono, continuavamo a fare tutta una serie di teorie su come andava fatto e cosa bisognasse evitare di fare, perché è un piatto di grande semplicità e di una raffinatezza estrema. Mi dispiace moltissimo non esserci riuscito. Sarebbe stata un’occasione piacevole. Resta, per me, un grande rimpianto.

Lei è stato giudice di “Junior MasterChef Italia”, “Cuochi d’’Italia”, “Piatto Ricco”, conquistando con la sua simpatia il grande pubblico. Quando la rivedremo in tv?

Dico solo che ci sono diversi progetti, ma mi va anche bene dedicarmi di più al mio ristorante.

Qual è il piatto di Gennaro Esposito da provare almeno una volta nella vita?

Adoro la ricerca, l’avanguardia, la tecnica. Mi piace provare accostamenti diversi, anche con gusti a volte estremi, non “diritti”. Ma ho anche un’anima tradizionale che mi scalda tanto, ho un posto nel mio cuore, dove conservo gelosamente le mie visioni di come si interpreta la tradizione, ho sempre provato a migliorarla anche di un millesimo perché mi diverte centrare il gusto primordiale di una ricetta. In tal senso, se pensiamo alla tradizione, potrebbe essere la genovese, il ragù con cipolla e stracotto di carne, piatti che mi ha divertito tanto recuperare. E poi vale la pena sicuramente provare la zuppa di pesce “minestra di pasta mista” con crostacei e diverse varietà di pesce di scoglio, che quando la mangi ti sembra di averla già incontrata nella tua vita. Racconta il territorio, il pesce, la zuppa. Conquista il palato di un bambino come quello di un ottantenne. E tutti sono felici.

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