Fretta ed allarmismo: i danni collaterali delle misure antivirus

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È ancora presto per fare un bilancio definitivo sull’impatto del Coronavirus sull’economia del nostro territorio, ma le evidenze sono chiare. La tempesta perfetta è arrivata. Siamo travolti. E sono i numeri a dircelo.

Il calo dell’80-90% delle prenotazioni alberghiere con disdette che arrivano fino a maggio, il crollo del 50-60% del lavoro di ristoranti e bar e il probabile calo del 50% del commercio una volta che l’impennata dei giorni scorsi sarà depurata della folle corsa alle scorte alimentari, sono il conteggio della disfatta. Il conto lo pagheranno, nei prossimi mesi, centinaia di imprese e migliaia di lavoratori, perché servirà tempo per recuperare quanto perso.

Se una simile situazione di emergenza fosse avvenuta qualche anno, fa le imprese avrebbero avuto una maggiore capacità di resistenza e di rilancio. Oggi dopo anni di “magra”, che ne hanno fiaccato le forze, il compito sembra improbo.

Eppure la sensazione, almeno mia, è che siano stati commessi degli errori. Sicuramente giustificati dal timore della diffusione di un virus per il quale non c’è vaccino. Ritengo anche che la comunicazione poteva tenere un profilo diverso, meno catastrofico. È stato fatto tutto troppo in fretta. Capisco che l’immobilismo cinese, durato quasi due settimane, sia responsabile del propagarsi dell’epidemia ma quanto stabilito in un giorno, tra sabato 22 e domenica 23 febbraio, ha avuto tempi di riflessione e di confronto praticamente nulli.

Il danno collaterale, non in vite umane, delle decisioni prese dal Ministero della Salute e da Regione Lombardia è enorme e le vittime saranno imprese e lavoratori.

I decreti nazionali e l’ordinanza era appropriata e tempestiva per i paesi interessati dal focolaio, “la zona rossa”. Diverso invece il caso dell’”area gialla” e delle restrizioni che toccano l’intera regione Lombardia e le altre regioni del Nord che sono la locomotiva dell’economia nazionale.
Nella stesura di questa ordinanza ha prevalso l’urgenza del contenimento della diffusione del virus, mentre non si è tenuto conto della portata economica e quindi anche sociale del provvedimento. Il documento è scritto male, con differenze ingiustificate tra ipermercati e mercati all’aperto, bar e attività artigianali ed è stato emanato senza averne preventivamente verificato l’impatto sulle imprese.
Le nuove interpretazioni della Regione stanno di fatto smontando gli errori più evidenti e speriamo che l’ordinanza sia ritirata. Anche perché il rischio di assembramenti è ormai limitato per la paura della gente.

Il messaggio di questi giorni è deflagrante. L’allarmismo ha paralizzato l’economia. Per i nostri cittadini il virus è in mezzo a noi ed occorre stare ritirati per non ammalarsi, in barba alle semplici norme di prevenzione diffuse dal Ministero (pulizia, distanza, cautela ecc.).
Il rimbalzo all’estero è apocalittico: l’Italia è inserito nella black list, Milano come Kabul, la Lombardia come l’Afghanistan. I danni sono incalcolabili per tutti i settori produttivi nazionali, dal primario al turismo.

Ora sembra che dalle stesse autorità che hanno governato la questione tendano a ridimensionare il problema o quanto meno a cambiare registro nella comunicazione. Anche se in modo confuso e contraddittorio. Troppo tardi. Ora bisogna pensare a come ripartire di slancio.

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