Che fortuna essere un italiano nella capitale inglese

Che fortuna essere un italiano nella capitale inglese

image_pdfimage_print

LondraChe a Londra ci siano molti italiani non è una novità. Che tutti questi italiani pensino di essere gli unici a parlare una lingua esotica e poco conosciuta, è qualcosa che non smette mai di stupirmi. Quante volte, in giro per strada, sui mezzi pubblici, nei bar, mi è capitato di sentire conversazioni a voce alta, con pensieri e commenti che solitamente si tengono per sé, o si sussurrano a voce bassa. Commenti, lamentele, giudizi, apprezzamenti volgari. Tutto senza filtri, con la sicurezza che “tanto nessuno mi capisce”. Invece gli italiani a Londra sono 500 mila, e questo numero è per difetto. Tanti sono quelli regolarmente registrati con l’AIRE, in migliaia non vengono inclusi in questa statistica. Un paio di volte, armata di coraggio sono intervenuta, senza ribattere i loro commenti, solo ricordando loro di non essere gli unici capaci di parlare e capire l’italiano. In entrambi i casi, i responsabili avrebbero preferito sparire. Di certo li ho fatti arrossire e sono pronta a farlo ancora. Nella città dove essere eccentrici non desta scompiglio, dove indossare un tutù per andare a comperare il latte o aggirarsi per il centro con due pappagalli sulle spalle non crea imbarazzi, i commenti e le opinioni non passano inosservati.

Fortunatamente noi italiani ci distinguiamo per molto di più delle opinioni forti, espresse ad alta voce. Nella ristorazione, abbigliamento e cosmetica, oltre che naturalmente architettura e design, il passaporto Italiano apre porte ed è visto come un sigillo di qualità. Le cucine e i bar parlano italiano, i negozi di vestiti e i saloni dei parrucchieri non sono da meno. Tanta manodopera giovane e intraprendente trova lavoro nelle grandi catene di ristorazione e caffetterie, dove essere straniero è un punto di forza. Parlando con il direttore di un grande albergo, mi spiegava che la sua catena di hotel a cinque stelle impiega esclusivamente certe nazionalità per certi servizi: gli italiani in cucina, gli spagnoli alla reception. Non mi stupisce.

Mostrare la propria nazionalità, anche con un po’ di orgoglio, è divenuta una cosa comune in tanti settori dove l’interazione con il cliente è importante. Un tempo riservato alle boutique di alta moda, dove commessi in divisa indossavano una targhetta con la bandierina della lingua parlata, la spilletta con la bandierina viene ora utilizzata largamente in molti bar, caffetterie e fast food. In una città che parla tantissime lingue, è un modo in più per far sentire il cliente a casa. Non importa se anche solo per un caffè. A volte il badge non serve: non appena gli italiani aprono bocca, li si riconosce subito. Il nostro accento è apprezzato ed è facile da individuare, ma impossibile da sradicare. Ci battono solo gli spagnoli, con cui a volte ci confondono.

Per quanto riguarda la mia esperienza diretta, chi mi taglia i capelli è di Bergamo, mentre la manicure è curata grazie ad una ragazza di Brescia. Ogni volta che visito il salone in cui lavorano, mi accorgo di non essere l’unica italiana. Non sono l’unica a cui piace sentire la voce di casa.