E’ un Paese infelice quello che vota per protestare e non per progredire

E’ un Paese infelice quello che vota per protestare e non per progredire

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referendumottobre-600Io ci speravo: giuro che ci speravo. Dopo due mesi di strombazzate e di bufale, di dichiarazioni di voto e di invocazioni accorate al popolo, alla democrazia, alla costituzione, alla resistenza e alla mistica fascista, mi auguravo sommessamente che fosse finita: che la nottata fosse passata e che potessimo, una volta tanto, comportarci da persone normali. Sì, ciao: non era ancora terminato lo scrutinio che già cominciavano le luminarie. A cominciare dal presidente del Consiglio, che deve aver passato la giornata elettorale davanti allo specchio a fare le facce, per vedere quale era la più adatta ad esprimere la legittima soddisfazione del vincitore o il composto cordoglio dello sconfitto: radiosa ma non esultante, seria ma non doma, un sorrisetto, una lacrimuccia appena accennata e subito detersa col ditino. Cose già viste: italianerie da commedia dell’arte, in fondo. Per poi passare alla fiera del delirio, quando si è trattato di commentare il risultato, in verità piuttosto clamoroso, del referendum. Grillo, Salvini e la Meloni che, in preda ad una tempesta ormonale, farneticavano di elezioni immediate, mi sono sembrati tre congedanti alla cena di fine naja: ubriachi di vino e di euforia. Reclamare elezioni a breve scadenza, prima che la Consulta ci dica, perlomeno, come andare a votare, più che intempestivo mi sembra stupido: capisco l’entusiasmo per quella che, a loro, deve essere sembrata una schiacciante vittoria politica, ma sarebbe meglio, quando ci si propone al Paese come possibili timonieri, dimostrare un po’ meno di pulsioni infantili e un minimo di senso realistico della politica.

Siccome i nostri, fino a poco prima, si presentavano proprio come paladini del realismo, io avrei suggerito loro di smaltire la sbornia referendaria, prima di abbandonarsi alla sicinnide. Lo stesso dicasi per gli sconfitti, che, sprezzando eroicamente il ridicolo, hanno attaccato con la solfa dell’“adesso tocca a voi!” dimostrando di essersi dimenticati che il voto riguardava la Costituzione e non la composizione del Parlamento, che rimane saldamente nelle loro mani, insieme al novanta per cento degli organi decisionali, dei mezzi di comunicazione e dell’impianto governativo di questa povera Italia. Il giochetto, da un punto di vista comunicativo, è semplicissimo: dare la colpa ad altri delle proprie marachelle. Chi ha rubato la marmellata? Gigino: è stato Gigino, io ero in bagno a lavarmi i denti! La verità, purtroppo, è che tutti quelli che ci hanno provato, negli ultimi anni, hanno miseramente fallito: il marmoreo Monti, telecomandato da Bruxelles, l’etereo Letta, reso simpatico solo dal fatto che si è fatto fregare come un fesso qualsiasi, e il nostro Leporello piangieridi, che, dopo la scenetta strappacuore, non ha la minima voglia di mettersi da parte. E, poi, c’è Berlusconi: quello che, col suo ritorno in campo, ha mosso almeno il 5% dei voti e senza il quale non si può decidere un bel nulla. L’ha detto davvero e l’ha detto proprio in questi termini: vi assicuro che non è un’iperbole cimminiana! Dopo avere distrutto quella parvenza di serietà e di civiltà che il nostro popolo poteva ancora esibire e, soprattutto, dopo aver proposto un modello di politicante che ha fatto scuola, cinico, disamorato, votato al proprio successo personale e all’esibizione sconcia del medesimo, adesso Berlusconi vorrebbe tornare in auge, col suo caravanserraglio di cortigiani?

Io mi chiedo se non siano tutti impazziti: l’Italia è ancora largamente ultima nella crescita, malgovernata, paralizzata da una burocrazia demente, scuoiata da una pressione fiscale intollerabile, invasa da torme di sconosciuti, tra i quali una buona fetta è composta da nullafacenti e nullavolenti fare, quando non di malandrini tout court, disoccupata, demotivata, deculturata, e questi stanno già giocandosi la tunica di uno che, non solo non è stato crocefisso, ma ha ancora in mano i chiodi e il martello. E’ la riprova, casomai ne servisse una, dell’incolmabile distanza tra la politica, che, ormai, si fa solo in televisione (anche fisicamente, visto che i nostri parlamentari ci bivaccano in pianta stabile, anziché legiferare), e un popolo che va per conto suo. Io credo che il risultato di questo referendum significhi soprattutto questo: ci avete rotto le balle! E temo che, d’ora in avanti, gli Italiani voteranno sempre meno per avere un governo e sempre più per non averlo: certo, ci saranno sempre i trinariciuti, le casalinghe di Voghera, i compagni emiliani, ma la maggioranza vota perché è l’unico modo di fare arrivare ai palazzi del potere il suo colossale vaffanculo. E, lasciatelo dire a uno che non ha mai accettato di candidarsi ad una carica (per la verità, fui eletto rappresentante di classe alle medie, battendo il candidato avversario, che era Giorgio Gori…altri tempi!): un Paese che vota per protestare e non per progredire è un Paese infelice e disperato. E noi, a parte Grillo, Salvini e la Meloni, siamo certamente più infelici che felici e più disperati che pieni di speranza. Anche se la sconfitta di Renzi, uno sgrisolo piacevolissimo, lo confesso, me l’ha fatto provare…

 

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